da Daniele Poto | Lug 15, 2021
(Teatro Sette a Villa Massimo – Roma,14/15 luglio 2021)
(One man show sulla romanità. Con un titolo in doppia accezione: dire tutta la verità, facendo riferimento a un recente intervento cardiologico nel corpo dell’attore, dunque anche vita vissuta).
Il prolifico Gianni Clementi ha fornito al romanissimo Wertmuller un testo a proprio uso e misura per un’immersione completa in un repertorio collaudato con la stampella di qualche testo pregiato (Trilussa, Eco) a cui appoggiarsi in spezzoni di reading. Tutto esaurito per un pubblico di Roma Nord al fresco (anche troppo) di un mini parco romano nella stagione allestita da Michele La Ginestra. Esibizione anche nel segno di Proietti e della finta distonia con gli accompagnatori musicali che costituiscono una pregevole spina dorsale a uno spettacolino ovviamente esile ed estivo. Ma significativo perché i ringraziamenti finali a una lunga lista di cardiologi documentano l’odissea personale del protagonista e la felicità del pubblico nel rivederlo sul palcoscenico. Il pretesto è la nausea di Roma di uno suo cittadino che sta per lasciarla per sempre, prediligendo mari esotici. Spunto per immergersi nella volgarità dei tempi e del linguaggio, per l’imbruttimento del romano tipo il cui cinismo è deflagrato il qualcosa di incontrollabile. La disapprovazione poi offre il destro per un’immersione nostalgica in alcuni topos capitolini, nell’esternata nostalgia per le periferie di Pasolini, per il decadimento morale della città e per l’inesausto gusto della battuta, pallida speranza di palingenesi. La rivisitazione non ha ambizioni politiche, semmai etiche e di costume. Come si può immaginare in un contesto di spettacolo all’aperto, alla fine del secondo lockdown. Wertmuller si offre generosamente, corpo e anima, inequivocabilmente anche a cuore aperto. Tra i cantori della romanità merita un posto di spicco per le capacità di affabulatore, chansonnier, comico aguzzo e dai tempi teatrali invidiabili.
data di pubblicazione:15/07/2021
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Giu 14, 2021
Versione cinematografica del claustrofobico testo teatrale di Griffiths già trampolino di lancio per Kamikazen. Sono passati trentatrè anni e ne hanno fatta di carriera i Bisio e i Rossi. Qui c’è la plumbea Milano e lo scontro tra due filosofie comiche, quella commerciale rappresentata da De Sica e quella umanista/progressista di Balasso. Al pari col passo dei tempi naturalmente vincerà la prima.
Un film di Salvatores che, senza imbarazzi, si può definire minore per la portata ridotta dell’ambizione e per la mutualità da una trama, già abbastanza consunta. Il climax in un minuto di sapiente botta e risposta tra Balasso e De Sica, i due poli dell’attrazione, due diversi maestri (sta a al pubblico individuare quale il buono e il cattivo) in una tenzone fatta di sfottò, un dialogo costruitissimo in cui però invano si rintraccia la plume di Gino e Michele, antichi consigliori del regista milanese. Quelli che provinano non sono “Artisti sotto la tenda di un circo” di klugiana memoria ma semi-dilettanti che cercano il posto al sole di una comparsata in un programma televisivo o un primo contratto professionale. Rientrando sotto la tutela di un impresario senza troppi scrupoli ma con tanto mestiere. Alla fine da questa tonnara senza pudore, ricca di frustrazioni e risentimenti, saranno due a sfrecciare vincitori. Ma con l’amarezza del contorno, della rabbia degli sconfitti. Metafora della vita la parte più interessante è l’approccio alla serata test. Poi dell’esibizione vengono mostrati solo pochi significativi spezzoni. Si attinge senza pudore a un repertorio di barzellette più che note dove il sesso e l’impudicizia la fanno da padroni. A volte con scarso gusto. La musica di Tom Waits apre e chiude il film e rappresenta una stampella non indifferente per un’opera che fa fatica a munirsi di una qualsiasi ambizione di novità. Tentativo resipiscente di un mondo che forse non esiste già più in un film che piacerà soprattutto agli appassionati di teatro e che farà molta fatica a trovare una posizione di rilievo nel box office.
data di pubblicazione:14/06/2021
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da Daniele Poto | Giu 8, 2021
L’imminente quanto auspicabile fine del periodo più duro di confinamento dovuto alla pandemia ha liberato trame attinenti al periodo più difficile vissuto globalmente dall’umanità dalla seconda guerra mondiale in avanti.
Mara Fux sdogana in questo agile volumetto la quotidianità dell’anormalità intrecciando i destini paralleli di varie coppie e famiglie, sull’argine del politicamente corretto in un alveo che non può prescindere da Roma nord, tranne qualche scorribanda della perduta movida sognata a San Lorenzo o al Pigneto. Ne risalta un affresco con varie cifre e colori, con piccole comuni storie vissute nel lockdown. Rigurgiti di crisi di coppia, difficile accettazione morale o moralistica di coppie omosessuali, routine che si sbriciolano nella non semplice divisione dei compiti di casa, overdose bulimica di libri cucinati, di serie televisive infinite, più raramente di libri letti. Si dipana così un piacevole romanzo breve la cui epitome si può decifrare nelle pagine finali, quanto mai istruttive.
C’è molto dell’autobiografia dell’autrice che deve intervistare un uomo di spettacolo che racconta il suo approccio originale all’isolamento, un periodo anti-creativo ma quasi un antidoto a quello che c’è prima e quello che verrà dopo. Il segno di una diversità da abbracciare e di un cambiamento da cogliere. Scontato che non saremo più eguali a prima dopo un periodo del genere e il dialogo terminale né è la perfetta quanto consistente metafora situazionale.
Questo libro è anche un transfer liberatorio per un vissuto che non vorremo più rivivere ma dal quale ancora non siamo pienamente usciti. Dunque un libro fortemente confitto in un’attualità dialettica che ora ci fa finalmente intravedere una via d’uscita. Parlando di questo abbiamo anche esorcizzato e ci siamo tuffati nell’avventura del futuro. Opera seconda ma non ultima di una fresca cronachista del nostro tempo, fortemente con i piedi poggiati sul reale.
data di pubblicazione: 8/06/2021
da Daniele Poto | Mag 24, 2021
Un libro che sconvolge e destabilizza una certa iconografia del fascismo. Claretta Petacci non è solo la fedele amante (una delle tante, ma la più importante) del Duce ma una politica intrigante che più che fascista ha cercato di essere hitleriana. Per salvare l’amato, se stessa e tutti i capitali lucrati dalla situazione di comodo che era riuscita a creare. Per se e per la propria famiglia. La Serri, critica letteraria ma più frequentemente storica revisionista, rilegge la storia alla luce di documenti inoppugnabili, assemblati in un incalzante excursus cronologico. Che non trascura sesso, guerra, trattative comportamenti intriganti e un’infinita di colpi bassi. A latere c’è la progressiva caduta di un Mussolini sempre più anziano, iroso, irretito nell’ambiguità del rapporto con il nazismo e con un’Italia che non è più sua. La memoria storica ci ricorda che fu, tra gli altri, Sandro Pertini, a decretare la condanna a morte del Duce anche se le modalità dell’atto rimasero avvolte a lungo nel mistero come una sorta di segreto di Stato o di complesso di colpa per l’efferatezza delle violenza sul corpo stesso della Petacci. Così la lettura di un saggio è appagante quanto quella di un romanzo per descrivere l’arcobaleno cangiante dell’attività di questa trentenne figlia di famiglia, prediletta dell’alcova ducesca. Abile nel trarre vantaggi dalla situazione ma anche estremamente compromessa con il regime. Tanto da non vedersi risparmiata l’ingloriosa ma tanto ricercata sorte di morire accanto a Benito Mussolini. Il libro è un grande affresco d’epoca su un decennio di lento scivolamento verso la catastrofe. Ma un declino non privo di lussi, di orpelli, di una vertigine insensata. Oltre Claretta si descrivono le ambizioni del clan di famiglia: opportunista e servile ma anch’esso inevitabilmente precipitato nella catastrofe collettiva della fine del fascismo. Claretta comunque emerge come lucida e calcolatrice, nonché fedelissima servitrice dell’ideologia di destra, anche estrema. Il sottotitolo è estremamente eloquente: “Storia della donna che non morì per amore di Mussolini”.
data di pubblicazione:24/05/2021
da Daniele Poto | Mag 24, 2021
(Teatro Vascello – Roma, 15/23 maggio 2021)
Dramma domestico con iterazioni sceniche. Un canovaccio per saggiare l’espressionismo del testo e la validità della sinergia attoriale. Con un vivo successo di pubblico.
Un’acclamata autrice inglese su cui una lungimirante casa editrice ha investito addirittura un pezzo di futuro con la pubblicazione di sei volumi dedicati alla sua produzione, nella disponibilità di regia di uno dei talenti più apprezzati del magro parco italico. L’effetto è deflagrante nel sempre vivo teatro della Kustermann che si appresta a celebrare Giancarlo Nanni, indimenticato demiurgo del teatro e dei suoi originali spazi. Il testo è seminale e lo dirige dentro la scena uno degli attori, precisamente quello che interpreta il figlio ubriaco. Ed è un deterrente che ovviamente serve a coinvolgere il pubblico. Ed è un continuo avant’indrè, a ritmo veloce o a ritmo lento. Con gli attori come automi condannati a replicare sempre lo stesso inesausto copione con variazione di stile, di ritmo, di intenzioni. Una sorta di prolungati Esercizi di stile (come non pensare a Queneau). Dunque una tensione che si taglia con il coltello e che presuppone una durata che non vada oltre l’ora. Il realismo di una scena nuda e spoglia mette l’accento sul particolare tecnico dei microfoni vintage,. Il linguaggio è scarnificato, la tensione tra i componenti di una famiglia che attende, diremo quasi invano, la figlia dall’Australia, evidente. I dialoghi sono sempre sull’orlo dell’esplosione. L’attesa è pari a quella di un Godot, l’evocazione di un cadavere, di un’amica, di un tradimento, disseminano nel plot gli elementi di una vita e di un dramma in fieri. Uno spettacolo inquietante che sonda le paure e sembra enuclearle come un messaggio di speranza del post pandemia. La riflessione sul teatro trasmette allo spettatore una sorta di ineluttabile grado zero.
data di pubblicazione:24/05/2021
Il nostro voto:
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