da Daniele Poto | Mag 19, 2022
Un originale tentativo di uscire dai talvolta ristretti canoni di genere del cinema italiano grazie a una sceneggiatura vivace e alla perfetta scelta di un cast di attori, magnificamente incastonati nei propri ruoli. Meno nuova e più battuta (vedi anche Tre Piani) la scelta programmata di far interagire le storie. Fatta salva questa chiave però il quadro d’assieme tiene e il finale aperto è un barlume di intelligenza registica.
Una sorte di settembre dell’anima, una mezza stagione autunnale. Una ricerca della felicità declinata meno banalmente che nei film di Muccino. Tre storie molto italiane, molto romane, molto vere, con una stratificazione generazionale varia e un approccio non convenzionale ai sentimenti e al sesso. C’è un Bentivoglio più stazzonato che mai, dove il sale e pepe di una volta è diventato, puro sale, abile nel designare un personaggio demotivato e a disagio nella vita. C’è la giovane e misteriosa prostituta dell’est che aspira a qualcosa di diverso. Ci sono soprattutto due donne amiche, profondamente divise dai propri uomini che non le ascoltano, che non le curano, alla stessa maniera se giocano a poker o le tradiscono con un’altra donna. Poi adolescenti molto credibili ai primi passi nella conoscenza dell’altro. Era da tempo che non vedevamo resi così credibilmente adolescenti sullo scherma in virtù di una recitazione semplice e naturale che non è pura immedesimazione. Escono male, molto male gli uomini da queste storia, disegnando un possibile mondo futuro salvato dalle donne. Sartoretti è bravo nel definire l’assoluta insipienza di un personaggio vuoto e negativo, incapace di ogni reazione emotiva. E Barbara Ronchi forse è all’interpretazione di una carriera, quella che rimane. Tutto questo a merito di una regista evidentemente poco nota che ma padroneggia con piglio eccellente la materia filmica. Opera di respiro, di futuro, di valori montanti.
data di pubblicazione:18/05/2022
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da Daniele Poto | Mag 5, 2022
(Teatro Sala Umberto – Roma, 4/15 maggio 2022)
Partita a quattro con un progetto didascalico e sorpresa finale che non spoileremo. Spettacolo collaudato con qualche difetto strutturale di fondo.
Tre sorelle come in Cechov. Ma una in carrozzella. Per colpa di un’altra. Ma due del quadrettto di famiglia non sanno, anche se sembrano intuire. Poi compare in scena l’unico uomo, una sorta di potenziale angelo vendicatore buneliano. Con un’oscura missione che potrebbe sembrare un ricatto. In ballo un premio definito immeritato, a scelta della sorella colpevole. Ma l’alternativa del potenziale miracolo sarà restituire la piena mobilità alla parente in carrozzella, ricompensare con la vita i due bambini periti per l’incidente da lei stessa provocato oppure soddisfare la propria malattia patologica con una colossale vincita al Superenalotto? Su questo pratico materiale dilemma, un po’ onirico, un po’ reale, si dipana la trama in una scena spoglia dove la disabilità è incarnata dai movimenti della carrozzella. In un coro di chiara fama (la Ferzetti è la moglie di Favino, la Scalera è stata Imma Tataranni, Bellocchio è discendente di illustre famiglia) la rivelazione è proprio la più giovane e meno conosciuta Marra che incarna la disabile. Convincenti i suoi toni rispetto ai momenti di disagio, rispetto al testo, degli altri interpreti. In effetti la drammaturgia si auto-battezza da sola in un crescendo largamente prevedibile, riscattata dalla imprevedibile fuga finale. Spettacolo su inguaribili sensi di colpa, una tragedia italiana con tanti risvolti. Metafisica la possibilità di riscatto dalla colpa. Dialoghi con ampi momenti di vuoto con la pretesa di rendere significativi silenzio e pause. La conferma che alla nuova drammaturgia italiana, volenterosa, manca sempre qualcosa per un pieno e realizzato approdo al un teatro di serie A.
data di pubblicazione:05/05/2022
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da Daniele Poto | Mag 4, 2022
Il sottotitolo completa un’informazione che potrebbe apparire sibillina, La storia, i delitti, i retroscena, l’ultima testimonianza del capo della Banda della Magliana. Da Romanzo Criminale in avanti la figura di Maurizio Abbatino è perentoriamente venuta a galla nell’immaginario iconico, forte della propria violenza e di un carisma che le fiction hanno ulteriormente ribadito. Questo è un libro-intervista ma ricco di approfondimenti e vicoli illegali infiniti. Vedi le connessioni con la mafia e la massoneria, non escluso il circolo della P 2. Per accorgersi della centralità della Banda, dal primo sequestro per auto-finanziamento di Grazioli fino ai legami con i servizi segreti e con i tanti misteri della storia italiana degli ultimi quaranta anni. Abbatino, uscito dai ranghi della protezione, fa la figura oggi di una sorta di irredente pecora nera di sistema la cui testimonianza non è stata convenientemente messa a fuoco. E l’autrice lo interroga sulla strage di Bologna, sulla sparizione di Emanuela Orlandi, sul delitto Pecorelli, sulla tante sentenze aggiustate anche grazie all’opera di prezzolati specialisti. Dalle origini della banda come espressione di un quartiere ai legami con i gruppi di Testaccio e Val Melaina, con una serie di regolamenti di conti senza pietà. Un racconto crudo e spiegato di violenza, di un codice dell’onore perverso che ha attraversato la storia politica italiano e non solo quella, limitata, della cronaca nera. Abbatino racconta i segreti dell’organizzazione, le oscure trame di compiacenze in un romanzo verità che vale anche la possibilità di una grande riscatto etico, di un esercizio di memoria. E alla fine ti chiedi se non siano più pericolose le parabole di killer come Giuseppucci o Diotallevi e non invece il compassato cinismo di un politico come Andreotti, scampato a probabili condanne solo grazie all’esercizio della prescrizione. Quel periodo evidentemente non è ancora alle spalle perché tutti i conti con la giustizia non sono stati fatti o, ancora peggio, sono stati truccati.
data di pubblicazione:04/05/2022
da Daniele Poto | Apr 21, 2022
(Teatro Sala Umberto –Roma, 20/24 aprile 2022)
Rivisitazione post-cinquantennale di uno spettacolo che diede scandalo e ancora lo dà. Cercando a piè sospinto l’oscenità e il trash. Del resto la pubblicità della locandina non lascia adito a dubbi: censurato, ironico, spudorato.
Chi avrebbe potuto immaginare Marisa Laurito come unico volto femminile nel ruolo che fu di Pupella Maggio per una proposta che fu oggetto di oltraggio al pudore. La provocazione è manifesta e sfuma piacevolmente in toni leggeri quando le battute sono pronunciato da un travestito che dispensa perle di saggezza tra le vampe di una denunciata stupidità. Il resto rivela i suoi limiti quando mette troppa carne al fuoco. Dopo due ore di recitazione gli intellettualismi sul razzismo dell’afro-americano risultano un sovrappiù che è valore un sottratto più che aggiunto alla combinazione alchemica di quattro piuttosto desolanti esistenze. La notte di Capodanno è la cartina di tornasole di un resoconto esistenziale fatto di fragilità, di sesso, di isolamento, con il fondale di una Napoli raggelante. Definite “quattro persone naturali e strafottenti” che intereagiscono anche con una violenza oggi più che mai politicamente scorretta. La simulazione dell’atto sessuale è il prologo a una vera e propria violenza maschile, accusata con una rassegnazione docile che oggi stupirebbe. In platea per la prima una platea omogenea al tema ricca di gaytudine. Si può immaginare retrospettivamente lo sconcerto di mezzo secolo prima quando certe tematiche erano inaffrontabili, ben prima dell’avvento mainstream di Annibale Ruccello e del suo consolidato mito. Consonanza del plot a parte, meritano un vivo applauso gli attori immersi in parti estremamente impegnative. Chi confinava la Laurito in ruoli leggermente comici ora sarà costretto a ricredersi mentre Anzaldo si conferma come uno dei prototipi attoriali più interessanti del nuovo teatro italiano. L’ultima parola pronunciata (“Spettacolo”) è la metafora della finzione a cui si è assistito.
data di pubblicazione:21/04/2022
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Apr 6, 2022
Carlotto si è conquistato un meritato spazio nell’editoria noir italiana e, per una volta, ha accettato l’invito di una casa editrice mainstream, ricadendo sotto l’egida del prestigioso Giallo Mondadori. La chiamata, vantaggiosa per l’interessato, richiede qualche non trascurabile contropartita perché il libro risponde alle necessità di una chiamata e sembra meno ispirato rispetto alla saga dell’Alligatore oltre a richiedere un notevole esborso per l’acquirente del libro. E’ evidente l’esigenza dell’autore di uscire da uno schema seriale collaudato e di battere nuove piste. Il personaggio del macrò, tanto caro a tanta fiction francese (Manchette, Le Breton) nasce da studi di settore, interviste, frequentazioni, ma non si può dire che Carlotto ci restituisca un personaggio troppo credibile soprattutto quando questa attività borderline di protezione, tollerata dalla legge, sfocia in imprese delinquenziali senza limiti. Ovviamente il libro pullula di caratterizzazioni di donne prostitute, più o meno fidate o alleata del Francese, il protagonista. Ci si tuffa nei meandri di una vicenda ingarbugliata e in una trama e non sempre facilmente decifrabile che Carlotto colora con la consueta vivacità e con qualche compiacimento erotico. La caduta nell’inferno di vendette incrociata e para-mafiose è inevitabile. Il personaggio del commissario donna è di una durezza senza precedenti ma nel suo conclamato cinismo si attira pure qualche simpatia. L’ambientazione è come di consueto nel Veneto bigotto ma peccatore, ricco di devianze e di ipocrita borghesia. E’ la provincia nel cui torbido Carlotto sguazza da tempo. Come documentarista che chiaramente illustra senza avere la pretesa di indicare una via d’uscita. La Maison del Francese accontenta tutti ma è in un equilibrio precario che presto si rompe. Ed i destini delle 12 donne che gli sono legate per interesse si collocano su un precario asse di resilienza. Senza indulgenza e pietà.
data di pubblicazione:06/04/2022
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