da Daniele Poto | Set 6, 2022
Un romanzo di formazione del 1999, riscoperto per l’improvviso rilancio di popolarità dell’autore. Ricordate, era il docente di letteratura russa che fu bloccato all’insegna del politicamente corretto per un ciclo di lezioni su Dostoevsky all’altezza dell’avvio del conflitto bellico con l’Ucraina. Nori è anche quello scrittore dato per morto per colpa di un grave incidente stradale. Uscirono coccodrilli e necrologi sulla sua scomparsa, un atto simbolico atto ad allungargli l’esistenza e a spalancargli le porte del successo. Nel romanzo di cui vi parliamo Nori adotta uno stile alla Salinger: scrittura mossa, semplice, accattivante, adatta a tutti. In prima persona, restituendo un mondo padano facilmente intuibile. Un apprendistato gavetta come magazziniere non privo di avventure sentimentali ed erotiche. Come dire, a leggere Nori, a vivere come Nori, non ci si annoia. Un buon viatico per una letteratura troppo spesso vittima di onanismi e di indulgenti auto-assoluzioni. Bassotuba è il soprannome della compagna che scompare, riappare, di nuovo scompare. Un personaggio di cui l’autore sentimentalmente non riesce a fare a meno. Un filo rosso galleggiante che continuamente viene in superficie ed è il bersaglio, vittima, carnefice, di interminabili soliloqui del protagonista. Sorprendentemente simile a Nori. Ma non pensate a un’autobiografia perché l’autore è capace di smarcarsi da immedesimazioni troppo repentine. Il registro del satirico e del grottesco alimenta la narrazioni e ci fa scoprire un autore per vocazione anti-accademico, ottimo affabulatore, un buon compagno di viaggio per scorribande esistenziali fuori dall’ordinario. Che nell’occasione gioca con la fantomatica antipatia per il pensiero debole di Vattimo. Difatti un assistente del professore torinese è quello che gli contende l’amore di Bassotuba. Scherzi della filosofia! Autore di mille risorse, capace di cavarsela efficace mente nella vita, come nella stesura di un libro. E capace di divertire e non stancare il suo lettore.
data di pubblicazione:06/09/2022
da Daniele Poto | Ago 10, 2022
A dieci anni di distanza dal suo ultimo lavoro il maestro decaduto del thriller si ripropone in una pellicola che nulla aggiunge alla sua filmografia. Con un’immagine metaforicamente efficace nel film, un autentico splatter senza capo né coda, c’è il peggio del suo inconfondibile touch, dando per scontato la perdita del meglio.
C’è voluta una sorta di catena di Sant’Antonio di sette produttori (compresa la volenterosa figlia Asia) per consentire a Dario Argento di tornare alla ribalta con un film che ha resistito poche ore nelle sale, ancora meno a pagamento su Sky, introdotto ora quasi di soppiatto e senza enfasi nella programmazione ordinaria della tivù a pagamento. 84 minuti di noia con una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti abdicando a un minimo di verosimiglianza. La Pastorelli, sbalzata da Verdone ad Argento, è una escort di lusso poco credibile. Quale il motivo dello scatenamento del serial killer? Un apprezzamento della ragazza sulla sua scarsa pulizia prima di intrattenere un rapporto. Non scherziamo, è quello il movente. E poco importa se il killer uccide prima, dopo e durante questo match a due, altre colleghe professionali della protagonista. Argento copia i suoi predecessori (Bava and company) per l’abbinamento eclisse/cecità ma i suoi personaggi sono maschere vaniloquenti che si distinguono per la povertà dei dialoghi. Poi il partner della escort è un ragazzino cinese che appare e scompare senza preavviso, come il cane da compagnia. In compenso circola tanto sangue e un pizzico di nudo per cercare di rialzare la pressione di un pubblico presumibilmente annoiato e depresso da tanta prevedibilità della sinossi narrativa. Badate bene, il killer per farsi individuare meglio gira con un vistoso furgone bianco. E nell’ambientazione romana capita che a un certo punto la Pastorelli finisca in una pozza d’acqua, quasi stritolata da una ventina di serpenti. Succede a Roma? Attinenza con la trama? Nessuna. Chiamare happy end la morte dell’assassino sembra quasi un ossimoro. Provvede il cane, misteriosamente liberatosi. L’ultima scena girata all’aeroporto romano è di rara banalità. La sceneggiatura è stata scritta nel 2002 ma sarebbe sembrata modesta anche 20 anni prima. Al momento il film ha incassato 170.000 euro, un decimo di quanto è costato. Con queste premesse sarà anche l’ultimo film di Dario Argento.
data di pubblicazione:10/08/2022
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da Daniele Poto | Lug 5, 2022
Biopic di pretta impronta americana. Il primo tempo scorre come una videoclip adrenalina condita di effetti speciali. Veloce e impressionista come l’ascesa del popolare Elvis Presley. Nel secondo tempo la storia si fa racconto e scivola nella maniera. In effetti la rottura sentimentale con la consorte e lo scivolamento del mondo anfetaminico degli psicofarmaci è espressa esteticamente con modi trasandati e superficiali..
Il cinema americano non dimentica i suoi miti. 42 anni di veloce parabola con escalation fulminante (e ancheggiante), uno scandalo per l’America puritana e razzista, fondendo il talento individuale con l’ammiccamento alla musica nera (BB King, Mahalia Jackson). Il film si snoda esclusivamente con il racconto del discusso manager che decretò trionfi e cadute di Elvis the Pelvis. E questo il pregio ma anche il limite della ricostruzione che, ripercorrendo i fatti reali, è fedele ed accurata quantunque necessariamente stringata. Il regista senza limiti di budget e di racconto visto che il film si snoda per 160 minuti anche se qualche taglio finale avrebbe evitato ripetizioni e maniera. Ad ogni modo lo snodo è affascinante e, ovviamente, condito da ottima musica. Presley è stato il cantante solista che ha venduto più dischi nella storia del vinile frazionando la propria carriera con 61 dischi incisi e una parentesi non esigua di 29 film, per la verità nessuno dei quali memorabile. Si può dire che sia stata vittima del suo successo. E non è un caso che i film ci ricorda le morti di Marthin Luther King e di Bob Kennedy. L’America uccide i suoi eroi anche se il cinico manager vieterà per sempre a Elvis le trasferta oltreoceano per presunti e indimostrabili motivi di sicurezza, relativi in realtà al proprio discusso status di apolide, impossibilitato a viaggiare. Per la cronaca fuori dagli States Presley ha suonato e cantato solo in sei concerti in Canada. Anche per questo il suo mito oggi, 45 anni dopo la morte, si riverbera più nell’altro continente che in Europa. Austin Butler è un perfetto Presley anche se appare meno bolso dell’originale nel finale di carriera e di vita. Tom Hanks, quasi irriconoscibile, offre una delle sue interpretazioni più mature e convincenti.
data di pubblicazione:05/07/2022
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da Daniele Poto | Lug 1, 2022
(Teatro Olimpico di Roma, 29 e 30 giugno, in coincidenza del compleanno del comico)
Amato e odiato, non lascia indifferenti il comico del’Appio Tuscolano in una sorta di festosa auto-celebrazione per il genetliaco. Due giorni di teatro pieno con fan entusiasti per una maratona celebrativa di tre ore.
Tre mesi di tournèe con capolinea romano nell’insolita data di fine giugno. Perché Battista, malumori della critica a parte, è sempre sold out con la sua comicità virale e di pancia, bassa e proletaria. Di fronte alla quale persino l’intellettuale più engagé non può rifiutarsi alla risata. Lo spettacolo ha vari condimenti spettacolari e si può dire che valga il prezzo del biglietto tra divagazioni, imitazioni, balletti e persino una torta riservata agli oltre mille spettatori presenti creando un problema logistico-organizzativo non da poco. Battista straripa con le sue felici interazioni con gli utenti delle prime file, tra cui amici della prim’ora. Incurante della sovraesposizione cabarettistica (con forti riflessi televisivi) offre sempre novità aggiornate. Possiamo dire che solo il 10% del repertorio della scena recente fa parte di antichi copioni (vedi Covid, vaccini). Battista si tiene prudentemente lontano dai temi politici (la guerra, per carità..) ma picchia forte sui malesseri di Roma. Tanto è vero che uno dei momenti più incisivi dello spettacolo è il confronto tra le metropolitana di Roma e quelle invocate dal pubblico (Londra, Parigi, Barcellona). Roma sfigurerebbe anche al confronto di Paesi meno ricchi come la Grecia e la Russia. Con il suo eterno problema delle scale mobili, delle stazioni chiuse con navette sostitutive con gli orari da autentico coprifuoco. Un altro leit motiv vincente è ovviamente il rapporto con le donne. Irrisolto perché Battista in queste settimane è alle prese con l’ennesima separazione. I refrain dei battibecchi coniugali possono apparire scontati e brignaneschi ma portano a un riconoscimento che provoca buonumore. E del resto nulla si chiede di più a uno spettacolo per definizione disimpegnato.
data di pubblicazione:01/07/2022
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da Daniele Poto | Giu 15, 2022
Franco Battiato ha lasciato un’eredità di affetti che a poco più di un anno dalla sua scomparsa, dopo quattro anni di effettivo silenzio pre-morte a causa di una devastante malattia neurodegenerativa, non accenna a spegnersi. Il sottotitolo del libro indica la latitudine: “Voli imprevedibili e ascese velocissime…”. Dunque l’omaggio non è un instant book per fare cassa in una bibliografia di suo già abbastanza vasta. Scanzi, si sa, è giornalista polemico che incontra simpatizzanti e detrattori per la secchezza delle proprie scelte. E se ha voluto parlarci di Battiato in questo ennesimo libro è per una sorta di ipnotico gemellaggio, peraltro non accompagnato da una diretta simpatia personale. Figurarsi, Battiato a suo tempo aveva proceduto a una querela per un’acida recensione dell’autore sul film Musikanten. Poi, auspice Travaglio, lo strappo era stato ricucito. Con spirito dichiaratamente di parte Scanzi attua le scelte su una filmografia profonda indicandoci predilezioni e hit. La riproposizione dei testi di Battiato mostra un lessico che non è abituale all’ormai scomparsa generazione di cantautori. I richiami a Guenon, Gurdjieff, le collaborazioni con il filosofo Sgalambro e con il pluri-specialista Giusto Pio (sodalizio che ha resistito fino al 1996) fanno di Battiato un vero e proprio unicum nell’ossificato repertorio della musica leggera italiana. E’ un mondo che l’artista siciliano travalica perché le sue partiture meriterebbero una riscoperta. Un cammino lungo iniziato con la musica sperimentale elettronica all’inizio degli anni ’70. Gavetta dura, a Milano, concerti che neanche cominciavano per mancanza di pubblico. E poi il successo con arrangiamenti felici e mai banali. Un successo meritato mai veramente agognato. E Battiato ha consolidato amicizie, collaborazioni inaspettate, realisticamente adattandosi a tre cd di cover (Fleurs) quando l’ispirazione declinava. Ma è un qualcosa di già vissuto: De Gregori, Guccini e Paolo Conte non sfornano ormai da tempo dischi dal vivo arrendendosi a un’impotenza creativa molto naturale e di cui non bisogna vergognarsi.
data di pubblicazione:15/06/2022
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