da Daniele Poto | Ott 27, 2022
(Teatro 7 Off – Roma, 26 ottobre/6 novembre 2022)
Un pepato divertissement che irrida alle gabbie del politicamente corretto e scatena la verve travolgente dell’attrice ciclonica Frazzetto, assistita da partner all’altezza della situazione.
Tutti pazzi per Mary? No, per la mamma. Che non è Cameron Diaz ma Luciana Frazzetto, attrice garanzia che caratterizza fortemente tutte le pochade di cui è anima e corpo (e che corpo!). La donna al centro di tutto. Con un segno nel cuore, un ruolo da controfigura in Beatiful rinnegando i legami con figlio, marito e con una possibile nuora. Nel mirino la gaytudine, il fiato cattivo, l’astinenza sessuale del marito in vigore dal 1998. Insomma un quadro familiare poco soddisfacente. Ma la voglia di evasione della protagonista, dopo aver coltivato il sogno americano, si placa con un malinconico ma sentimentale ritorno a casa. Un happy end che ricuce i buchi del disagio. Così dopo tanto ridere quasi ci si commuove. Il copione scatena la verve e non ci si preoccupa certo per qualche parola fuori dall’ordinario. Questo teatro, a torto considerato minore, funzionerà sempre. Gli attori si donano generosamente e qualche arguta macchietta non stona all’interno di una storia che è un pretesto per una serie di gang senza soluzione di continuità. Spettacolo che è una girandola di colpi di scena, di travolgenti risate e di sanguigni scontri. Del resto il mammismo sembra una malattia delle famiglie italiane e senza pretese sociologiche la piéce ruota attorno al tema senza pretendere di sviscerarlo. Il partner della “prima” era pieno di stelline o aspiranti tali con al centro della platea il consacrato Mattioli. Per la Frazzetto la riconferma di doti in mostra che nessuno può discutere in un funzionale teatro di genere che non nutre complessi rispetto alla “scena alta e altra”.
data di pubblicazione:27/10/2022
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Ott 25, 2022
(Teatro Vascello – Roma, serata unica 24 ottobre 2022)
In scena per una sola serata lo spettacolo che ha vinto il Fringe Festival 2021. Clima rarefatto, vocalità impercettibile ma crescita emotiva con il passare dei minuti (50’). La vita e le percezioni emotive di Camille Claudel. Supporti multimediali fondamentali su un fondale pittorico e scultoreo ricco e seducente..
Le voci interne e quelle esterne nella parabola di Camille Claudel, proto-femminista che cerca di combinare la predisposizione artistica con il complicato e ingombrante rapporto con Auguste Rodin. Timori e palpiti, voglia di realizzazione. Arte e vita sono perfettamente fusi nel tentativo minimalistico di restituire il senso di un’esistenza e di una profonda sofferenza. Camille combatte e alla fine perderà ma non rinuncia a combattere la sua battaglia di emancipazione e realizzazione. Il clima d’epoca viene restituito in uno spettacolo per una sola attrice e tante voci e contributi a margine. L’anima di Camille urla incessantemente con il delirio delle proprie visioni interiori e cerca una difficile salvezza. L’insanità mentale è il bivio da cui separa la propria normalità. L’attrice protagonista al centro della scena domina con continui cambiamenti di tono e di ritmo, con improvvise corse, con il gridato manifestato al microfono, simile a un urlo lanciato verso e contro il mondo. In scena la solitudine, il desiderio di indipendenza, la pesantezza del legame amoroso con una personalità soprabbondante, evocata e in fondo temuta. La rappresentazione dell’intimo sentimentale approda a brividi sottilmente erotici nella perfetta idealizzazione tra corpo e anima, tensione costante. Le vie per l’affermazione di un talento femminile nel mondo dell’arte tutt’altro che scontate.
data di pubblicazione: 25/10/2022
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Ott 17, 2022
(Teatro Vascello – Roma, 11/16 ottobre 2022)
Il crudo naturalismo di Strindberg portato su una scena essenziale con sintesi bergmaniana per un vivo successo di pubblico fino all’ultima replica.
Ci vuole coraggio per approcciare un testo del 1888, proposto in Italia per la prima volta nel 1897, tra discussioni e polemiche. La disinvolta signorina Giulia creca un corto circuito di classe tra padrone e servi, tra la famiglia del conte e il proletariato. Il debutto è come il finale: contrassegnato da una scenografia opprimente. Un muro nero che occupa tutta la scena e da cui salgono e scendono i tre protagonisti. La vicenda è sfrondata di personaggi e situazioni, calata in un clima di ambigua e ammiccante sinteticità con speculazioni evocative. Con il linguaggio dell’ottocento che acquista una sua durezza con scoppi di turpiloquio e l’affabulare istintivo e ferino del servo. Vicenda che nell’originale termina con un suicidio e che qui invece veicola un finale aperto. I tre attori sono bravi ad acuire la tensione in un crescendo di dialoghi convulsi dove l’apparente normalità sembra garantirà dall’iper-religiosità della cuoca, sempre più scandalizzata dalle evoluzioni degli altri due protagonisti ma comunque partecipe del loro rapporto. Balletto dialettico a tre. Con il servo eccitato e una Giulia che vuole e non vuole, irretita ma anche provocatrice in un gioco a specchio in cui non si sa bene chi sia la vittima e chi il carnefice nella manifesta volontà di uscire dagli schermi. Il testo di Strindberg, rivoluzionario per l’epoca in realtà era destinato a stupire la classe media e fu il grimaldello per la fama del drammaturgo svedese che si affaccia sul crinale dei quaranta anni con questa proposta estremamente scandalizzante per l’epoca, comprensiva del fatto che la Signorina Giulia era interpretata da sua moglie. Si respirano temperature del nord, quelle non troppo dissimili dal norvegese Ibsen.
data di pubblicazione:17/10/2022
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Ott 11, 2022
La scrittura bulimica di una candidata non premiata allo Strega si diffonde per quasi 700 pagine chiedendo uno sforzo supplementare al lettore per una conclusione che non si prevede in poche ore, stante anche la scansione in capitoli, tessere di un puzzle molto diverse le une dalle altre. La confusione che induce nel lettore è di tipo primordiale. Se gli episodi raccontati sono legati a un percorso personale la bulimia è anche sentimental/amorosa/sessuale. Se invece è tutta opera della fantasia tanto di cappello alla fantasiosa creatività dell’antropologa che, giornalisticamente, non sbaglia un colpo e che brilla per l’eccedenza della propria personalità. La chiara rivendicazione di una posizione femminile (non diremo propriamente femminista) è garanzia di continui colpi di scena. Scriviamo che i maschi non escono bene dal confronto anche se sono più spesso quelli che lasciano il personaggio principale. Che si da anche molte colpe e qualche meno generosa assoluzione per un ending che raramente è happy. Chi resiste è l’amico M. , immancabile conforto nelle situazioni di crisi, indispensabile stampella psicologica. Dove più abbiamo penato per mancata conoscenza della materia è nelle labirintiche dissertazioni sui profumi, più che una passione una vera e propria monomania. Bene fa la Ranieri a precisare a fine volume che non c’è alcun coinvolgimento affaristico nelle citazioni dei prodotti eviscerati. In quei capitoli ci si arrampica sull’Everest per poi planare in placide colline nelle scorribande amorose dove la simpatia per la protagonista irride alla ritualità eterodiretta di tanti comportamenti maschili. Il personaggio dell’amante trascurata troneggia ma le sfumature se non sono cinquanta e non sono grigie sono pluricolore. A un certo punto il reticolo avvolge anche un prete che molto abilmente riesce a uscire dal cunicolo della seduzione. In definitiva un libro vario, eccessivo, a tratti travolgente e definitivo.
data di pubblicazione:11/10/2022
da Daniele Poto | Set 6, 2022
Un romanzo di formazione del 1999, riscoperto per l’improvviso rilancio di popolarità dell’autore. Ricordate, era il docente di letteratura russa che fu bloccato all’insegna del politicamente corretto per un ciclo di lezioni su Dostoevsky all’altezza dell’avvio del conflitto bellico con l’Ucraina. Nori è anche quello scrittore dato per morto per colpa di un grave incidente stradale. Uscirono coccodrilli e necrologi sulla sua scomparsa, un atto simbolico atto ad allungargli l’esistenza e a spalancargli le porte del successo. Nel romanzo di cui vi parliamo Nori adotta uno stile alla Salinger: scrittura mossa, semplice, accattivante, adatta a tutti. In prima persona, restituendo un mondo padano facilmente intuibile. Un apprendistato gavetta come magazziniere non privo di avventure sentimentali ed erotiche. Come dire, a leggere Nori, a vivere come Nori, non ci si annoia. Un buon viatico per una letteratura troppo spesso vittima di onanismi e di indulgenti auto-assoluzioni. Bassotuba è il soprannome della compagna che scompare, riappare, di nuovo scompare. Un personaggio di cui l’autore sentimentalmente non riesce a fare a meno. Un filo rosso galleggiante che continuamente viene in superficie ed è il bersaglio, vittima, carnefice, di interminabili soliloqui del protagonista. Sorprendentemente simile a Nori. Ma non pensate a un’autobiografia perché l’autore è capace di smarcarsi da immedesimazioni troppo repentine. Il registro del satirico e del grottesco alimenta la narrazioni e ci fa scoprire un autore per vocazione anti-accademico, ottimo affabulatore, un buon compagno di viaggio per scorribande esistenziali fuori dall’ordinario. Che nell’occasione gioca con la fantomatica antipatia per il pensiero debole di Vattimo. Difatti un assistente del professore torinese è quello che gli contende l’amore di Bassotuba. Scherzi della filosofia! Autore di mille risorse, capace di cavarsela efficace mente nella vita, come nella stesura di un libro. E capace di divertire e non stancare il suo lettore.
data di pubblicazione:06/09/2022
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