da Daniele Poto | Feb 7, 2023
Come da una grande amicizia può nascere una grande inimicizia di sedimento quasi mortale. Una sorta di Malavoglia all’irlandese con esiti anche cinematografici insospettabili. Bella prova di cinema con risultati insperati al box office e nove nomination per gli Oscar 2023.
L’Irlanda poverissima di qualche decennio fa, anzi più povera perché siamo nelle isole Aran dove si vive di allevamento e di agricoltura e dove il massimo divertimento è recarsi in un pub, fare quattro chiacchiere con un amico davanti a una pinta di birra Guinness. Ecco perciò quando l’amico viene meno perché non gli vai più a genio che nasce una crisi di rapporti profonda che si riverbera su tutto il paese. Caratteri tagliati con l’accetta tratteggiando una vita dura, essenziale, scabra, paleo-primitiva. Farrell è un sempliciotto che va in tilt quando il suo schema amicale salta in aria. Il contraddittore è di una feroce coerenza nel rifiutarlo. E gli altri, in mezzo, comparse di questo duello proto-western rusticano. Paesaggi indimenticabili che ben illustrano la durezza del luogo, tutt’altro che balneare. Quando gli esseri umani vengono meno i migliori amici sono cani, asini e mucche che si aggirano indisturbati nelle case dei protagonisti. Il film ti porta dove non ti aspetti e non faremo torto ai lettori nello spoilerarlo. Senz’altro vietato ai minori per la crudezza di alcune scene. Il sottotesto non troppo specificato documenta in maniera sottotitolo la piaga dell’alcolismo, dell’incesto, della solitudine, ma senza pronunciare giudizi morali. I miracolo del cinema: da una piccola storia, da un plot essenziale nasce un grande film. Ci stupisce che nel doppiaggio a un certo punto venga messa in bocca a Farrell la parola Epitome certo inaccessibile al suo scarso vocabolario. La conclusione? Basti dire che siamo lontanissimi dalla prospettiva dell’happy end. Il regista ci fa capire che per certe situazioni non c’è possibilità di redenzione.
data di pubblicazione:07/02/2023
Scopri con un click il nostro voto:
da Daniele Poto | Feb 6, 2023
(Teatro Porta Portese – Roma, 3/5 febbraio 2023)
Gioco a due per una coppia di attori compagni anche nella vita e dunque in perfetta sinergia. Un’ originale testo italiano che sembra mutato dalla nuiova scena inglese. Dramma e un pizzico di giallo per un finale a sorpresa.
Un’attrice che sulle prime sembra sprovveduta si presenta una sera a casa di un quotato autore teatrale, forse su suggerimento di un manager misterioso che compare solo al telefono. E’ in cerca di un copione per un proprio laboratorio teatrale, meglio se gratuito. Lo scrittore prima la irride e non la prende sul serio, poi si fa irretire e le concede un testo incompleto, appunto Il tempo supplementare. Nella trattativa tra i due si affaccia la proposta di concludere con un finale in collaborazione. Lo scrittore si sente offeso più che lusingato. Ma l’attrice che ha grande capacità seduttiva lo convince, lo strega, lo seduce, lo bacia e ci finisce a letto. Scenograficamente il salotto della discussione si trasforma nell’improvvisata alcova. Ma alla fine del rapporto lo scrittore minimizza, si sforza di credere che per lui sia stata solo un’avventura, al contrario della sua interlocutrice che fa sempre più sul serio. Lasciamo alla vostra immaginazione la conclusione. Diciamo solo che per l’ennesima volta la componente maschile non ne esce bene. E la metafora del suo flop è l’efficace e spettacolare sgonfiaggio della superficie su cui si è sdraiato il protagonista, tornata salotto. La Ciaramella manipola efficacemente la propria parte. Prima si palesa ingenua, poi novella Circe, quindi delusa, infine vendicatrice: recitazione per tutti i gusti con grande capacità di cambiare il registro. Il personaggio dello scrittore è sufficientemente sprezzante e scostante attingendo a un massimo di volgarità quando deve descriverla dopo aver consumato il rapporto sessuale, il veloce intrattenimento di una sera. Mini-dibattito alla fine per uno spettacolo riuscito.
data di pubblicazione:06/02/2023
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Feb 3, 2023
(Teatro Argot Studio – Roma, 2/5 febbraio 2023)
Una feroce discesa all’inferno introspettiva per attrice sola. L’Arvigo strabilia nel suo pezzo forte, trampolino di lancio di 13 anni fa. Un classico della drammaturgia contemporanea in un monologo senza pudore di 50 minuti.
La prima londinese di 22 anni fa. E non si può dimenticare che l’autrice, dopo aver scritto il testo in ospedale, si tolse la vita l’anno prima, quindi senza poter assistere al successo dell’innovativo tentativo di teatralizzazione di un dolore immenso. Dunque il delirio in scena è fuori dai canoni teatrali, recitato come un non più rinviabile addio al mondo, un censimento delle delusioni, dei sentimenti riposti nelle persone sbagliate, un tragico redde rationem condito di parolacce, pensieri osceni e segreti. Un respingimento esistenziale che l’interprete ci fa vivere stimolando l’intelligenza emotivo dello spettatore che non può compartecipare al senso finale del resoconto ma può assistere con ammirazione a questo intenso flusso di coscienza, recitato con una scena spoglia ed essenziale. Originariamente c’erano margini di dialogo che sono stati espunti da questa versione italiana. L’Arvigo punta alto e alla fine appare sinceramente emozionata per il ritorno da dove in fondo era partita nell’intimità della piccola sala romana, gremita come al solito da giovani. C’è un lirismo di fondo nel testo non sopito ma che va decodificato. Quadri di una scena spezzata. C’è forte pathos ma anche epos. Il suo corpo ci parla e non mente. Cammina sui pezzi di vetro, incurante delle ferite del corpo che sono minime rispetto a quelle dell’anima. Una grande prova di attrice solista, frutto maturo della sua sensibilità a misura di Kane, l’autrice suicida. Teatro che parla di vita e che non ricorre a artifici di alcun genere nella sua scabra rudezza.
data di pubblicazione:03/02/2023
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Gen 26, 2023
(Teatro Il Parioli – Roma, 25 gennaio/5 febbraio 2023)
Teatro di sentimenti, di parole e di drammi. Zeller è specializzato sui temi della famiglia e si è felicemente trapiantato al cinema, germogliando una trilogia di successo. In scena si piange molto (troppo?) e si spara anche.
Incomprensioni universali che non hanno nazioni né continenti. Un figlio al centro del problema. E se il teatro è conflitto e contraddizioni qui le divaricazioni sono stringenti. La vita di un ragazzo liceale sembra interrotta da una brusca sutura: non va più a scuola, è apatico, si aggira tra il letto e qualche passeggiata, disdegnando l’aiuto dei genitori ed eventuali compagnie femminili. Né serve il trapianto dalla casa della madre separata al nido paterno ricco di nuova compagna e di un secondo figlio, fratellastro dell’adolescente. La situazione infatti non migliora fino a un tentativo di suicidio che lo conduce, dopo il salvataggio, a un tentativo di recupero psichiatrico. E nel racconto ci fermiamo qui per non spoilerare un finale piuttosto inatteso ma sempre su registri altamente drammatici. Lo spettacolo già sembra rodato con il buon affiatamento tra gli attori e una scena che divide in due gli ambienti familiari fino a configurarli nel ricovero ospedaliero. Efficace la divisione iniziale in quadri separati per ognuno dei quali inizialmente il pubblico spende un generoso applauso per Bocci e Ranzi interpreti ideali, ma la curiosità maggiore era rivolta a Giulio Pranno che, alla prese con una parte difficile, se la cava magnificamente, figurando come un soggetto di almeno sette anni più giovane. E chissà quante famiglie si riconosceranno nei quadretti familiari assemblati da Maccarinelli per l’ovvio tutto esaurito della prima con un parterre de roi in cui spiccava la presenza dell’ex Ministro dei Beni Culturali Franceschini.
data di pubblicazione:26/01/2023
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Gen 25, 2023
(Teatro in Trastevere – Roma, 24/29 febbraio 2023)
Un titolo aperto per uno spettacolo breve che ha molti labirinti, possibilità di equivoci, trabocchetti ma si apre a una lettura polifonica. Scena stimolante con classico schema duale. Rovesciamento e gioco delle parti invertito in corsa d’opera.
La Roberto ha ideato una grande multiforme metafora dell’esistenza attraverso il rapporto dialettico tra due attori che performano con convinzione ed aggressività. Il più remissivo prende l’iniziativa nella seconda parte e rovescia la dipendenza e il senso d’inferiorità. E sono virtuali anche gli spari che simulano il peso della condizione umana e del carico del mondo. C’è un mondo reale dietro la metafora, forse la crisi dell’occidente, un universo di migranti che si rovesciano sulle spiagge. E in cornice l’individualismo, la voglia di imporsi, di farsi ubbidire, di non deflettere. Un esperimento coraggioso in una sorta di apologo molto dialettico e contraddittorio, come è il teatro nella sua vera essenza. Un’efficace supporto video alimenta fascino alla messinscena. Un rutilante mondo in cambiamento alimenta il tempo sospeso e irreale di un’atmosfera metafisica. Anche il titolo rimanda allo standby, alla messa tra parentesi, all’anelito a una condizione umana diversa, necessariamente migliore. Gli attori generosamente non si risparmiano. Le voci assecondano i corpi e omogeneamente i movimenti scenici, essenziali ma anche abbondanti. Esprimono visioni, cecità, spirito di negazione. Le loro parole spesso cadono nel vuoto o nel contrasto con il partner e, come osserva l’autrice, sono immerse “in un loop drammatico, dalle tinte estreme, dove le voci irridono o violentano”. La tensione verso il meglio indica una speranza e una possibilità che la realtà, fuori dalle quinte teatrali dovrebbe assecondare. Con un grande condizionale conclusivo. Il “forse” della Roberto.
data di pubblicazione:25/01/2023
Il nostro voto:
Gli ultimi commenti…