da Daniele Poto | Ott 19, 2023
Scende a Roma la mitica e carismatica Ruth Andrè Shammah per presentare il congruo paccheto di iniziative del Teatro Parenti in provvisoria residenza a Roma. Cinquanta anni di vita di una istituzione cultura milanese e degno zigzagare tra cinema e teatro. Il Teatro anzitutto partecipa alle Festa del Cinema di Roma con un docufilm di coproduzione con Rai Cinema ovvero Scarrozzanti e Spiriteli che documenta il mezzo secolo di esistenza di una delle più solide intraprese milanesi. E poi a macchia di leopardo diffusione di spettacoli collaudati nei teatri romani, passando per l’Ambra Jovinelli che ha ospitato la conferenza stampa, il Parioli caro al direttore artistico Piero Maccarinelli, l’India (in mancanza di meglio, l’Argentina, senza direttore artistico da più di un anno, ha latitato) e il Vascello, immancabile per questi appuntamenti. Al centro della scena sul palcoscenico e ieri in presenza Massimo Dapporto e e Antonello Fassari. Il primo è il mattatore de Il Delitto di via dell’Orsina da Labiche, una farsa come quelle “che non si fanno più”. In combinato disposto con Fassari che si palesa anche in Farà giorno dove, sulla scia, dell’interpretazione di un Gianrico Tedeschi a suo tempo over aged, discute con un naziskin e con una figlia brigatista sui destini della vita. E’ invece una coproduzione con il Teatro dei Gordi Sulla morte senza esagerare in prima romana. Ma forse la maggiore attesa si concentra su uno spettacolo molto milanese, una sorta di ritratto reale di Giovanni Testori: la Maria Brasca è uno spaccato meneghino a cui la protagonista Marina Rocco, erede di Adrianaa Asti, contribuisce con grande vivacità. Nell’occasione si è discussa sulla scarsa comunicazione distributiva e produttiva tra il teatro romano e quello milanese. Gli spettacoli del Piccolo sono inaccessibili nella capitale. Le carenze sono quelle logistiche anche legate alla chiusura di Eliseo e Piccolo Eliseo, della mancata riapertura del Valle, già libero da nove anni, della cancellazione de La Cometa e della fatiscenza del Ghione. Tutte tare che rimandano alla gestione colpevole del Comune di Roma. Prima con Raggi e poi con Gualtieri, sindaci sordi e immobili.
data di pubblicazione:19/10/2023
da Daniele Poto | Ott 16, 2023
Un goffo finale di carriera per il pluriottantenne regista polacco a cui solo l’antica fama evita sapide stroncature da parte della critica internazionale. Sceneggiatura rimasticata e banale con la concentrazione della vicenda in un solo ambiente, un albergo di lusso. Wes Anderson ha saputo ben altro valore da questo modulo. Qui l’unità di luogo non deflagra e non regala valore aggiunto. Una satira che ricorda alcune volgari cadute della commedia all’italiana.
Ci si meraviglia come una pellicola del genere trovi ospitalità in festival di eccellente lignaggio. Un film girato con la mano destra o, trattandosi di opera visiva, con una benda sull’occhio buono. Una serie di gag non fanno cinema, storia e plot ma immiseriscono la narrazione con beceraggini assortite. Una palesa mancanza di ispirazione permea l’andamento. Luca Barbareschi, bontà sua, ci dice che il film è anticipo sul tempo attuale e che sarà capito solo tra venti anni. Intanto ci regala un pessimo cammeo in tandem e combinato disposto con il personaggio inconsistente tratteggiato dal sempre più irriconoscibile Mickey Rourke. Caricature che vanno di pari passo con la caricatura di un film che avrebbe voluto essere sferzante Ma la deformazione è la caratteristica costante di un film che assemblea peraltro un cast di prestigio. Anche Fanny Ardant, partecipando, rovina la propria filmografia. Lo spunto della fine del secolo e del millennio con l’atteso big bang o bug telematico non decolla. E anche la truffa bancaria manca di sale e di mordente. In questo raduno di vecchie glorie una folla di visi devastati dalla chirurgia estetica tra cui spicca quello belluino, di Sydne Rome. Il paragone con la critica alla borghesia di Luis Bunuel è lontano le mille miglia, ahinoi.
data di pubblicazione:16/10/2023
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da Daniele Poto | Ott 11, 2023
Più che dignitoso esordio alla regia di Claudio Bisio in un film drammatico dove però le note comiche alleggeriscono la tensione secondo una lezione appresa da Benighi e da Mihaileanu. Il tema del fascismo e dell’apartheid razziale vengono trattati con delicatezza e il necessario distacco per prendere le distanze storiche dall’accaduto.
Accettata la scommessa di partire con handicap affidando la responsabilità delle parti più importante a un poker di giovani ragazzi che, pur con tutta la buona volontà, a tratti fanno decadere le tensione per ovvia inesperienza recitativa. Bisio gioca le proprie carte sul plot ambientando la narrazione nel ghetto romano tra i chiaroscuri dell’adesione al fascismo e l’ovvio profumo di un futuro più incoraggiante. Film con toni da fiaba a cui accedere concedendo qualche debito alla verosimiglianza. Il gioco alla guerra degli adolescenti è la metafora di una guerra crudele tra grandi che lascia sul campo morti, feriti e deportati. Nel quanto mai vago tentativo di raggiungere il loro amichetto ebreo i tre scapestrati fuggiaschi ci portano a osservare divagazioni picaresche con abbondanti noti di costume. Più che l’orbace contano i sentimenti che rendono scostumata persino una suora tutta casa e Chiesa. Così l’esperienza è una pagina aperta sulla vita dei grandi e sull’Italia che si apre a una nuova stagione. Il film esce nelle sale il 12 ottobre, in occasione degli ottanta anni dal rastrellamento del Ghetto di Roma avvenuto il 16 ottobre 1943. L’omaggio è implicito e regalato con toni non pesanti, estremamente disincantati ma sinceri. La colonna sonora di Pivio & Aldo De Scalzi è qualcosa di più di un piacevole sottofondo ed è una sorta di segnalibro per il montaggio.
data di pubblicazione:11/10/2023
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da Daniele Poto | Ott 11, 2023
(Teatro Vascello – Roma, 10/22 ottobre 2023)
Karamazov è un vestito cucito addosso al quasi novantenne Umberto Orsini che contende a Glauco Mauri l’elisir di longevità sulla scena teatrale. Un’ora di accorato one man show, mai sopra le righe per cinque minuti di ininterrotti applausi finali. Per una conferma (se mai ce ne fosse bisogno) sulla grandezza di un attore.
Folgorante avvio di stagione per il prestigioso teatro romano che esordisce con un sold out e, contravvenendo alle proprie abitudini, (proposte di breve durata) allunga a quasi due settimane le esibizioni di Orsini, sopravvissuto di punta di un teatro dalle proposte sempre più esangui. Qui si va sul sicuro con un antico cavallo di battaglia. Ivan racconta la propria storia cercando di chiarire le scaturigini di un delitto che ha radici profonde all’interno della propria famiglia. Una lunga allucinazione tra delitto e castigo, con il tentativo di fare chiarezza sul’esistenza di Dio, sulla compassione e la colpa. Se ci si converte all’amoralità del mondo tutto diventa possibile. E dunque la mano dell’assassino è guidata da un mandante occulto che piano piano si manifesta. Non è un baedeker del romanzo ma la ricerca del suo tema più intricato e sentito. Alla fine dello spettacolo com’è giusto Orsini è provato dalla fatica e dalla tensione respirata in scena ma evidentemente confortato dall’entusiastica reazione di un pubblico assorto e rapito. Spettacolo di memoria, di tensione, di esasperato vitalismo dove Dio e diavolo sono poli della stessa medaglia. L’immersione nel sottosuolo dei retro pensieri dopo un parricidio riporta al senso delle contraddizioni, l’Abc ovvio di un buon teatro dove sogno, realtà, proiezione immaginaria continuamente si confondano. E la scena serve egregiamente il nostro gagliardo protagonista attoriale.
data di pubblicazione:11/10/2023
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Ott 9, 2023
(Teatro delle Muse – Roma, 5/15 ottobre)
Difficile immaginare il carattere malizioso del ridimensionamento. Questioni di corpo più che di cuore. In effetti la farsa mira alla pancia dello spettatore, non si pone questioni di politicamente corretto ma attinge alla polpa popolare della comicità. In questo senso lo spettacolo, nei limiti riconoscibilii del genere, va pienamente a segno.
Onore al merito di Geppi De Stasio che quasi monopolizza la stagione in fieri del Teatro di cui è fiero protagonista. In scena un chirurgo plastico che fa uso e abuso della professione ma che impatta in un cliente particolare, un mafioso che vuole ritoccare i propri parametri sessuali e nella massima segretezza. Una morale spregiudicata di pura attrazione fisica domina lo spettacolo con le figure femminili della moglie e della suocera che non si pongono troppi problemi di legame nel reclamare la propria agognata soddisfazione. Due tempi snelli con un secondo ellittico che risparmia inutili tergiversamenti e va dritto al sodo verso un inaspettato colpo di scena che rovescia perentoriamente i rapporti di forza. Si ride, a volte senza ritegno, per l’originalità del plot. all’altezza del mainstream e dei tempi. Di Stasio tocca vari registri del proprio repertorio: arroganza, sudditanza, furbizia e, alla fine, segna un gol in contropiede. Non c’è volgarità nella trama nonostante la delicatezza del tema trattato. Un sorriso sulle labbra è la richiesta che viene inconsciamente fatta al pubblico e la risposta della platea è positiva. Cast affiatato e brava la Sanzò a recitare double face: dai modesti panni di una donna sciatta e dimessa allo sfarfallante look da pin up in cui rivela tutta la propria seducente procacità, qualcosa di praticamente irresistibile. Quanto ai malviventi sono anch’essi pienamente in parte.
data di pubblicazione:09/10/2023
Il nostro voto:
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