da Daniele Poto | Feb 11, 2024
traduzione di Masolino D’Amico, regia di Giorgio Sangari, con Maria Paiato, Mariangela Granelli, Lorenza D’Auria
(Teatro India – Roma, 6/11 febbraio 2024)
Il Mamet che non ti aspetti per una grande prova d’attrice di Maria Paiato. Qui chiamata efficacemente a esagerare in un’esilarante parte dove la sovrabbondanza di movimenti e la ridondanza del linguaggio culmina spesso in una battuta fulminante. Assistita da college egregie. Il titolo allude a una sorte di emancipazione femminile del XIX secolo riferendosi a donne capaci economicamente di evadere dalla dipendenza maschile.
Maliziosi legami tra donne con allusioni al voyeurismo in una società che, chissà perché, immaginiamo puritana e persino bacchettona. Donne di costumi a volte facili che s’ingelosiscono, progettano menagè a trois ma con la morbidezza di sentimenti che scivolano sulla pelle della trama. In fondo non succede niente in scena quando in realtà succede tutto. Nei cambiamenti umorali scatenati da una collana traditrice. Mamet, se fosse presente, sarebbe entusiasta della Paiato, una sorta di contraltare al femminile della leadership virile di Popolizio. Non si lascia sfuggire neanche l’efficace di una sola battuta l’attrice veneta, magnifica padrona dell’assunto. La commedia è anche farsa, resistente a 25 anni di un invecchiamento che sa di maturazione. Le citazioni di scena di Oscar Wilde (lo snobismo), Henry James (l’atmosfera), Tennesse Williams (la morbosità) sono piuttosto pertinenti nel cocktail mametiano he vuole essere un morbido omaggio ai tempi. Il contraltare delle due protagoniste i cui dialoghi sono la scena portante del set è l’apparentemente ingenua cameriera, ingiuriata, bistrattata, sospettata di furto ma anche licenziata. Messa incinta in pochi secondi di contatto sessuale, perdendo la verginità. Il suo ruolo non marginale viene ribadito dall’ultima scena in cui, mollemente sdraiata sul divano padronale, fa veramente per la prima volta nella sua vita la signora. A trovare difetti c’è un quarto d’ora di troppo perché il tentativo di trovare una spiegazione alla disponibilità della collana è arzigogolata e la pratica delle chiromante non stimola affatto gli umori del pubblico, decretando un ovvio calo di tensione.
data di pubblicazione:11/02/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Feb 9, 2024
UNA SKETCH COMEDY CON Gianni Ferreri e Danila Stalteri, regia e drammaturgia di Roberto D’Alessandro
(Teatro degli Audaci – Roma, 8/11 febbraio 2024)
Un forsennato ritmo comico per una coppia che scoppia. In un matrimonio c’è sempre qualcosa che non funziona. Attori e spettacolo collaudato, ritmi frenetici, cambi d’abito e di situazioni. Risate a volte crasse con l’allarme del politicamente corretto. In tempi di femminicidio la rivisitazione è d’obbligo.
La perfetta empatia attoriale tra gli interpreti è la chiave una serie di siparietti brillanti. A dimostrazione che il teatro leggero ha una sua precisa dignità e cifra. Dunque c’è una moglie sempre cangiante. Ricca e racchia, petulante, gelosa fino all’esasperazione. Sembra una commedia dalla parte degli uomini. Ma la risata non ha simpatie perché la sirena d’allarme censura le parole scabrose evitando però la cassazione sul titolo, ispirato a una scrittura antica. Copione funzionale con ricchezza di abiti e sfumature. Con Ferreri che si con cede un paio di recitazioni poetiche sul canovaccio dell’amore. La Stalteri nelle sue trasformazioni è quasi irriconoscibile in virtù di parrucche e colori mutevoli. Anche finti errori di scena vengono strumentalizzati ai fini delle gag. Comedy brillante in cui il turpiloquio non è mai osceno ma inevitabilmente rappresenta un’esca per applausi a scena aperta. Giusta alternativa al festival di Sanremo a cui viene inoltrata una virtuale sfida con la prima in un giorno cardine per la rassegna. La scena finale riconsegna al titolo. La moglie vieta al marito il giusto sonno e dunque non c’è altra situazione che ricorrere al gas. Naturalmente dopo aver trovato la via di fuga fuori di casa. Per gli spettatori un inevitabile riconoscimento nella temperie del matrimonio e della sua inevitabile routine. Il richiamo al sesso è inevitabile per qualche gag di grana più grossa. Amori calanti che fanno i conti con il vivere quotidiano e s’imbarcano in contrasti di varie portate.
data di pubblicazione:09/02/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Feb 7, 2024
con Gabriella Silvestri e Valentina Marziali, aiuto regia Mariana Higuita Tamayo, direzione di scena Umberto Pischedda, luci Valerio Camelin, scene e costumi Area5lab – Produzione APS Teatro E
(Teatro De’ Servi – Roma, 6/18 febbraio 2024)
Duetto al femminile, madre/figlia. Antagoniste ma fino a un certo punto. I maschi stanno sullo sfondo. Negativi, usurai, violenti, sul fondale di un quartiere di una Roma degradato. Romanesco, sagace uso di parole forti. Un’antica professione (vero signora Warren?) che si riaffaccia. La protagonista a tratti sembra Anna Magnani, la ragazza dimostra i 17 anni della storia anche se rivela di essere molto più grande.
Un altro passo in avanti nel curriculum di Gabriella Silvestri. Assemblatrice del resto, regista e interprete. Popolana che si destreggia tra la poco redditizia gestione di un banco alimentare (tempi duri!) e il rimpianto accorato per il mestiere più antico del mondo. Però economicamente ha fatto il passo più lungo della gamba e, vedendosi rifiutato un mutuo dalla banca, ricorre ad autentici efferati strozzini. La figlia la contraddice continuamente e sembra aspirare solo al festeggiamento del compleanno che potrebbe farla riappacificare al suo ex, rivelando tutta la propria inesperienza nelle schermaglie amorose. Favola nera con sottofondi comici e scioglimento inaspettato che non riveleremo. Quando apre la valigia del mestiere, ricca di abiti provocanti e seducenti, per la passata disponibilità mercenaria, Silvestri quasi commuove nel tentativo di giustificare un mestiere che è anche apparizione, commedia, travestimento. Già, proprio come il teatro Quando si ubriaca e non è più cosciente, la figlia farà un gesto che risolverà la situazione dimostrando piena solidarietà per la sofferenza familiare. Confronto di generazioni e durezza della vita contemporanea. Un affresco riuscito. E la Silvestri è talmente padrona del dopo scena che si cimenta alla fine, dopo la prima, anche nel difficile esercizio, assai inconsueto e lodevole, di rispondere alle domande del pubblico. La pièce peraltro può significativamente funzionare anche fuori dai confini del raccordo anulare.
data di pubblicazione:07/02/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Feb 5, 2024
dal romanzo di Delphine De Vigan, adattamento e regisa di Paolo Triestino, con Lucia Vasini, Lorenzo Lavia, Paolo Triestino e Valentina Bartolo, scene di Francesco Montanario, movimenti coreografici di Elena Puddu, produzione Artisti Associati
(Teatro Tor Bella Monaca – Roma, 30 gennaio/4 febbraio 2024)
Da un commovente romanzo francese di una scrittrice emergente un inno alla gratitudine. Almeno prima di spirare l’ultimo soffio vitale. Lo spettacolo è anche un ritratto non mesto dell’universo concentrazionario di una residenza per anziani dove la solitudine è colmata dai ricordi del passato che si devono saldare con il ringraziamento per chi ti ha salvato la vita. Con l’inevitabile rimando alla ferocia nazista e al mito tramontato della razza.
La sala periferica di un quartiere di Roma giudicato borderline continua a offrire piacevoli sorprese. Quante volte pronunciamo la parola grazie nella nostra esistenza? La vuol scandire con toni forti la protagonista dell’intreccio. Una signora che deforma le parole, che avanza verso la fine ma vuole saldare i conti con il passato aggrappandosi nel presente alla figura giovane di una ex vicina e di un ortofonista. Paolo Triestino si ritaglia il ruolo minore ma fondamentale del responsabile della struttura sanitaria in cui è confinata cavalcando la gentilezza mista alla ferocia double face di un ufficiale nazista, metafora della dura vita in questi luoghi a volte pregni di contrizione e dolore. Pièce per quattro con gli accompagnatori del gioco teatrale che appaiono e scompaiono, mutano abiti in scena, a volte palesandosi persino con il pancione (è il caso della giovane incinta). Esemplare come attori vocati al comico come Triestino e Vasini riescano a varcare la soglia del dramma con disinvoltura. E in questa loro nuova vita teatrale sono accompagnati da partner di pregio come Lavia jr e Bartolo. Una bella atmosfera permea la rappresentazione, fatta di sentimenti non smaccati e non buonisti. Finché c’è vita tutto è possibile. Anche rintracciare la donna ormai novantaseienne che ha salvato l’anziana dal sicuro internamento in un campo di concentramento. Dunque mai troppo tardi per pronunciare l’ultimo sentito “grazie”. La conclusione con un elegante ballo è un invito alla speranza.
data di pubblicazione:05/02/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Feb 3, 2024
scritto da Paolo Hendel e Marco Vicari, con Paolo Hendel, regia di Gioele Dix
(Teatro Vittoria – Roma, 30 gennaio/4 febbraio 2024)
One man show con l’indefettibile inflessione toscana di un comico di provata resistenza che ha aggiornato il repertorio liberandosi del complesso berlusconiano (materia fervida per il genere). Così ora ironico-drammaticamente è il tema della morte a prendere il sopravvento. Ma senza pietismi e indulgenze per 70 minuti di tirate che somigliano a una chiacchierata tra amici con efficacissimo ed empatico bis.
Da over 70 Hendel si preoccupa del fine vita e, sfruttando lo stratagemma della visita in ospedale all’amico Filippo, si produce in una rivisitazione metafisica, che non è tristanzuola ma realistica. Fa ridere quando parla dell’homo erecuts e della temperatura percepita. Mancano le vampate passionali di un tempo ma l’affabulazione è diesel, conquista alla distanza. Con omaggi agli amici che ci sono (Gioele Dix, accomunato al protagonista dalle perlustrazioni prostatiche) a quelli che non ci sono più (Staino) ma che rimangono nel cuore. Platea dai capelli brizzolati ma estremamente partecipata. In fondo il tema che risuona è quello della nostra attuale fragilità, sballottati tra l’incerta temperie politica e il cambiamento climatico, sull’orlo della terza guerra mondiale, paventata per prima da quell’impossibile terrorista che Papa Francesco. En passant divagazioni su Salvini, Vannacci e il partito democratico, logiche strizzatine d’occhio all’attualità. E dunque alla fine il messaggio è incoraggiante: non facciamoci prendere dal panico e teniamo la barra dritta di fronte a qualunque possibile accidente. La risata è l’antidoto migliore e un gioviale sorriso è la fotografia di una possibile ritrovata serenità. Hendel è di casa nel Teatro di Testaccio: il parlare dell’ansia scaccia la paura in un rito atropopaico, come suggerisce il buon teatro. Che Dio ci mantenga in vita questa felice generazione di comici a cui appartengono i Paolo Rossi e i Claudio Bisio. Fuori dagli schemi e dal mainstream dello stand up comico.
data di pubblicazione:03/02/2024
Il nostro voto:
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