da Daniele Poto | Nov 18, 2024
L’opera prima nella fiction di Millet ha le porte spalancate per il successo. Primo Premio nel Concorso Amore e Psiche del concluso e riuscito MedFilm Festival 2024, sta entrando nel circuito italiano della grande distribuzione dopo essere stato presentato a Cannes nel luglio scorso. Inoltre si sprecano i rumor per una possibile nomination nella selezione europea degli Oscar.
Storie di spie ma soprattutto di un’ossessione. Quella montante in progressione geometrica di Hamid, un profugo siriano, girovago tra Francia e Germania, inserito in un network spionistico che cerca di rintracciare nel vecchio continente i torturatori dell’odiato regime di Assad. La sua missione riguarda l’identità di uno di questi. La motivazione è forte come la rabbia che lo ispira. Ma la missione gli prende la mano e ne travalica intenzione e incarico. Così il pedinamento diventa paranoico e lo spinge ai confini di una possibile frequentazione con il potenziale carnefice rintracciato grazie a una foto non troppo chiara. L’ispirazione di un thriller, assecondata da una colonna sonora ritmica e pregnante, è il forte biglietto da visita del film. Incertezza e tensione montano improvvisamente anche se alla fine l’unico sangue che scorrerà sarà proprio quello del protagonista, trafitto dall’incauta coltellata di una collega troppo zelante nel desiderio di vendetta. Il film avvince per il fascino del mood ed è contrassegnata dalla scarsità dei dialoghi. Pochi ma significativi. Le azioni e i sottotesti coprono i buchi di una narrazione coerente e ispirata fino all’epilogo finale che, per ovvie ragioni, non riveleremo. Il network spionistico è chiamato a mettere ai voti la risoluzione sul torturatore: esecuzione o processo? E’ il dubbio che ha agitato anche i sonni del protagonista che nella vita privata è un professore di letteratura ormai senza famiglia e completamente sradicato dalla Siria.
data di pubblicazione:18/11/2024
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da Daniele Poto | Nov 16, 2024
intorno alle opere di J.R. Wilcock, drammaturgia di Tommaso Cardelli e Tommaso Emiliani, regia di Alessandro Di Murro, con Jacopo Cinque, Alessio Esposito, Amedeo Monda, Laura Pannio. Produzione Gruppo della Crosta e Fattore K
(Teatro Basilica -Roma, 14/17 novembre 2024)
Eccentrico ispirato accumulo di contributi legati alla figura di Wilcock, dimenticato santone dell’Intellighentsia morto nell’anonimato perché trapassato nello stesso giorno del rapimento di Aldo Moro. Tormentone sulla morte e poi sul prototipo del bravo padre di famiglia, all’occasione violentatore e latore di alcun i dei peggiori istinti umani.
Spettacolo di corpo e di mozione con largo spazio all’improvvisazione. In meno di un’ora podismo, provocazioni, strizzatine d’occhio al pubblico che con il passaparola alimenta gli entusiasmi di una platea che più giovane non si può. Caricatura della pornografia, gli uomini messi in mutande (anzi in boxer) da una donna che sa essere feroce. Più ridicoli del solito per l’occasione con le gambe sghembe e un’impressione perplessa sul volto. Come si intuisce mise en scene vivace e irraccontabile. Il meglio in avvio perché l’intervista su come debba svolgersi il fine vita è ricca di richiami tanatologici. Il divano è il baricentro dell’azione e finirà male, preso a calci come per dissipare tutto quello che è avvenuto al suo cospetto, prima. Il parlarsi addosso è quello di una generazione che spesso presume troppo da se, smarrita e incerta. Si discetta sull’idea di progresso e sulle variabili che le ruotano attorno: crescere vivere, morire, mangiare e dormire: elenco di bisogni primari. Spettacolo generazionale per un una nuova ancora non troppo chiarita idea di teatro. Che finisce e sgorga con pasticcini e caffè. Del secondo si sente l’odore, i primi vengono offerti anche al pubblico in un empito di ritrovato ottimismo.
data di pubblicazione:16/11/2024
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da Daniele Poto | Nov 16, 2024
Prima internazionale nel contesto della XXX edizione del MedFilm Festival. Opera che ci mostra un Iran diverso a quello diffuso dai nostri stereotipi occidentali. Una settimana di vita a Tehran, città caotica la cui dimensione metropolitana si innesta sulle vicenda private di quattro protagonisti: una coppia in crisi e due giovani agli albori di una relazione.
Cinema anti-holywoodiano dai ritmi lenti (v. Kiarostami). Coniugi dai sentimenti declinanti che cercano di sciogliere le ambiguità del proprio rapporto e due giovani dal sentimento nascente. Lei, la ragazza è la figlia della coppia e ha un rapporto ambivalente e reticente con il padre. Film ricchissimo di dialoghi: in casa, in auto, nel caos del traffico. Budget essenziale e ricerca di atmosfera. Per scoprire che le questioni amorose in Iran non sono poi troppo diverse da quelle nostrane e che la repressione della donna non è un caso all’ordine del giorno nella quotidianità abitudinaria della vita nella capitale. Interminabile piano sequenza nel deserto con vista lago sfuggendo per un momento al caos metropolitano di Tehran. Senza entrare nel merito politico questo è il miglior merito dell’opera, un biglietto da visita quasi antropologico, per mostrarci un altro punto di vista su un Paese che conosciamo poco. L’istantanea sulla nazione non contiene giudizi di valore ma vuole solo fotografare una realtà privata. Il finale è estremamente aperto. Dopo un intenso tentativo di spiegazione con il marito la donna perlustra la possibilità di affittare un appartamento per se per la figlia, prodromo di una possibile separazione. Ma rimane sul balcone, incerta mentre scorrono i titoli di coda. Cambierà vita, lascerà il marito o si rassegnerà al quieto declino di coppia? Il loro caso esemplificativo, come quello di novanta milioni di connazionali. Incerto il futuro distributivo visto lo scarso appeal commerciale.
data di pubblicazione:16/11/2024
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da Daniele Poto | Nov 14, 2024
uno spettacolo di Massimiliano Civica, con Maria Vittoria Argenti, Ilaria Martinelli, Aldo Ottobrino, Francesco Rotelli, scene di Luca Baldini, costumi di Daniela Salernitano, luci di Gianni Staropoli, produzione Teatro Metastasio di Prato
(Teatro Vascello – Roma, 12/17 novembre 2024)
Il Capitolo due riguarda il tentativo di ritrovamento sentimentale di uno scrittore colpito dal lutto importante della moglie. Ispirato da una dolorosa esperienza personale Simon trasfonde nel plot il proprio spiazzamento mettendo a regime la grande disinvoltura drammaturgica dei suoi scoppiettanti dialoghi..
Il Simon che non ti aspetti e in versione double face. Perché a un primo tempo sulfureo, ricco di battute che arrivano al cervello e alla pancia dello spettatore succede una ripresa meditabonda e tristanzuola. Le due ore di spettacolo annunciate dallo speaker diventano quasi tre ed è un po’ difficile scrollarsi di dosso la vivacità piacevole dell’avvio per inoltrarsi nell’imbarazzo di un viaggio di nozze poco riuscito con il nuovo amore. La complessità del personaggio (uno scrittore di successo, brillante ma imbranato) richiede tempo e un cammino cosparso di chiodi. E non tutto fila liscio nell’illustrazione del cambiamento che si traduce in brusche giravolte in cui la donna sposata sembra preda dei suoi mutamenti repentini d’umore. Dunque due gusti contrastanti in scena con chiara preferenza per l’amabilità del primo. E la conclusione è una captatio benevolentiae un po’ troppo facile. Una canzone di Battisti sciorinata dalla prima nota all’ultimo per chiudere la vicenda della riconciliazione mentre le luci di scena progressivamente si spengono. L’autore più rappresentato a Broadway ci presenta il suo lato oscuro con un testo vecchio di 47 anni. Permane l’ambientazione americana. Efficace la compartecipazione attoriale. Gli interpreti simulano il suono del telefono e del campanello saltando l’artificiosità del gesto. La sinergia che stabiliscono è puramente dialettica e mentale, i loro corpi raramente intereagiscono.
data di pubblicazione:14/11/2024
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da Daniele Poto | Nov 12, 2024
allestimento e scenofonia di Roberto Tarasco, regia di Gabriele Vacis, attori della compagnia teatrale PoEM
(Teatro Ateneo – Roma,11/12 novembre 2024)
Un classico della drammaturgia molto caro a Manuela Kustermann e al compianto Giancarlo Nanni in una sobria e levigata rappresentazione di una compagnia di giovani formati al Teatro Stabile di Torino e magnificamente assemblati da Roberto Tarasco e Gabriele Vacis. Uno spettacolo in cui funziona tutto con lineare semplicità.
Diede scandalo Wedekind, il primo uomo di teatro a interessarsi (qualcuno suggerì “morbosamente) dello sboccio della pubertà giovanile alla fine dell’800. Il testo fu scritto nel 1891 ma rappresentato solo nel 1906 (in scena però si parla del 1901) proprio per il carattere giudicato scandaloso del plot. Tutto parte dalla misurazione della gonna di una quattordicenne. La scoperta del sesso, le fantasticherie in ambiente scolastico, il difficile passaggio a un’era di transizione e contrasto in cui non è troppo chiaro come nascono i bambini, è la contraddizione esulcerante nel rapporto con i genitori. Scarno gioco di luci ma uso coreutico dell’ensemble con ragionato uso della musica. La rivisitazione contempla tocchi d’attualità e persino la riscoperta di un pezzo vintage di De Gregori risalente a cinquanta anni fa. Il dolore di un’età difficile sboccia con passaggi veloci in cui si sfronda il testo originario e si riduce l’ingombro dei personaggi contemplati in originale. Ragazzi Under 30 tutti molto bravi, solidali e affiatati per il compiacimento del pubblico più giovane che si possa rinvenire sulla piazza di Roma. La violenza viene mostrata con discrezione simbolica congruamente efficace. Godibile anche il pre-scena con il pubblico in affluenza ed esercizi di riscaldamento che sanno essere già spettacolo. Una stagione quella del Teatro Ateneo che è partita con il piede giusta e che promette a breve altre congrue sorprese.
data di pubblicazione:12/11/2024
Il nostro voto:
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