IL CAPPOTTO DI JANIS di Alain Teuillè
con Rocio Munoz Morales e Pietro Longhi, regia di Enrico Maria Lamanna
(Teatro Manzoni – Roma, 20 febbraio/9 marzo 2025)
Sembra prosaico l’incontro tra uno scrittore in carrozzella e un’avvenente simil badante spagnola. Routine? Niente affatto, La missione che le viene affidata non è propriamente domestica ma la riconverte nel ruolo di spia. Deve scoprire il mistero dell’interruzione del rapporto dell’uomo con Chloe. Ed ogni mezzo è buono per farlo.
Attraverso molti quadri con cambi di luce e due tempi racconto per accumulo in attesa dell’ovvia sorpresa finale. Non tutto è come appare. Dunque una vicenda sentimentale che può essere ascoltata e vista come un giallo. Senza qui ovviamente raccontare l’imprevedibile finale. Scontro a due che diventa quasi un’occasione seducente tra l’uomo e la donna, separati nella realtà da quaranta anni di professione ma, sulla scena, da plausibile venti anni. Morales spagnoleggia a proprio agio ma quando nel pezzo conclusivo si libera dell’inflessione iberica è al suo meglio nel momento più intenso dello spettacolo. Avvampa l’attrice con la propria sensualità e la capacità di stregare lo scrittore che da parte sua rivela tutta la propria fragilità. Longhi è pacato e a tratti soccombente nonostante che, almeno formalmente, sia il datore di lavoro dell’intraprendente collaboratrice familiare. E nel senso che capirà chi vedrà lo spettacolo si salva la vita perché ha qualcosa di importante da farsi perdonare. Tutto esaurito per la prima folla plaudente con presenze intergenerazionali e lunga prosecuzione in scena, inusuale per i teatri italiani: quasi venti giorni. Il risvolto positivo è nel segno dello scioglimento del giallo e delle vicende esistenziali dei due protagonisti, ben caratterizzati. La seconda donna, solo evocata, è una presenza ammiccante e subliminale.
data di pubblicazione:21/02/2025
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