da Paolo Talone | Apr 19, 2019
(Teatro Trastevere – Roma, 16/20 aprile 2019)
Capita che la vita si stalli in situazioni di apparente sicurezza e un appartamento può diventare la scusa per non scegliere e diventare finalmente grandi.
Il principio della rana bollita del filosofo statunitense Noam Chomsky, secondo il quale un individuo può rimane per spirito di adattamento e abitudine in situazioni scomode e dannose senza mai reagire se non quando ormai è troppo tardi – come una rana che perde la capacità di saltare lasciata nuotare in una pentola sotto la quale si è acceso un bel fuoco che lentamente manda in ebollizione l’acqua – è la metafora, chiara nel titolo, dalla quale prende spunto questa divertente pièce teatrale.
Tre amici intorno alla trentina condividono da dieci anni lo stesso appartamento e per certi aspetti la stessa insoddisfazione e inabilità alla vita. Mauro è un intellettuale che non è riuscito a concludere il suo romanzo, fermo a pagina 27 da anni; Andrea è confuso e indeciso, di lavori ne ha provati molti ma senza raggiungere mai un soddisfacente obiettivo; Carlo è un autista di autobus nel trasporto pubblico, deluso dall’amore in perenne ricerca di donne. Caos, polvere e disordine abitano il loro alloggio nel pieno rispetto delle regole di un’abitazione condivisa. Anche la tavola è perennemente apparecchiata da un mucchio di cose e foto sbiadite sul muro raccontano un tempo che è stato e che non tornerà più.
L’appartamento è il contenitore claustrofobico e soffocante dove i tre amici sguazzano tiepidi e inconsapevoli, fino a quando la fiamma che porterà a bollire l’acqua non viene accesa dal padrone di casa che improvvisamente decide di vendere tutto e di mandarli via. Un mese di tempo per traslocare altrove. Inizia una ricerca ansiosa su internet delle varie possibilità abitative nella speranza di trovarne una che abbia le stesse caratteristiche di quella che si accingono a lasciare, ma nessuna di queste sembra soddisfare le aspettative. In realtà manca la voglia di cambiare e di crescere e così si finisce per rimanere dove si è senza compiere atti catartici di coraggio e di riscatto.
La scrittura drammaturgica soffre nel linguaggio e nella struttura dell’imitazione di tanti numerosi sketch, anche divertenti, che ci appaiono in video quotidianamente sui social. Tuttavia il gruppo di attori dimostra di avere un’ottima complicità e buon affiatamento sulla scena, merito forse anche di una reale amicizia tra loro. Il risultato nella sua leggerezza è divertente.
data di pubblicazione: 19/04/2019
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Apr 17, 2019
(Teatro Argentina – Roma, 15 aprile 2019)
A 75 anni dal rastrellamento del Quadraro, il Teatro di Roma e il Comitato Q44 rendono omaggio alla memoria dei 947 uomini deportati e alle loro famiglie. Dopo dieci anni di repliche il testo arriva a buon diritto sul palcoscenico dell’Argentina.
L’incedere pesante e ritmato dei passi dei soldati tedeschi agli ordini del generale Kappler interrompe di violenza il sonno della borgata romana a pochi minuti dall’alba. È il 17 aprile 1944. Il quartiere, soprannominato dai nazisti covo di vespe per via dei cunicoli e delle gallerie presenti dove si pensava si nascondessero dissidenti, nemici del regime e partigiani, veniva preso d’assalto. L’azione militare, a cui viene dato il nome di Operazione Balena, si consuma con una brutalità improvvisa e fulminea che non lascia neanche il tempo di ragionare. Sul foglio di avviso che viene consegnato alle famiglie è scritto chiaramente di non spendere più di dieci minuti per prepararsi a partire. A nessuno è concesso di uscire in strada, pena la morte. Nel giro di pochissime ore un gruppo di 947 uomini, di età compresa tra i 16 e i 55 anni, si ritrova a lasciare i propri affetti e a essere prigioniero nel teatro 10 di Cinecittà. Da lì la deportazione nel campo di concentramento di Fossoli, vicino Modena, e poi la dispersione in Germania dove, ingannati a firmare un foglio in cui si dichiaravano lavoratori volontari, vengono venduti a un gruppo di magnati dell’industria tedesca. Circa la metà di loro non fecero più ritorno a casa. Coloro che invece riuscirono a sopravvivere e a rientrare a Roma, raccontarono la loro storia a chi li stava aspettando. Ma amici e parenti non potevano restare gli unici ad ascoltare i loro racconti e così nasce l’idea di costruire un’unica memoria. Lo spettacolo è un prodotto del tentativo di mantenere vivo il ricordo di questi avvenimenti, che hanno tutto il diritto di essere inseriti nella storia della Resistenza nazionale. La struttura drammaturgica, arricchita dalle note del pianoforte suonato dal vivo da Massimo Gervasi, alterna la recitazione di otto attori alla proiezione delle testimonianze dei sopravvissuti. Le persone in video diventano i personaggi sulla scena. È in questo modo che possiamo conoscere le storie di Sisto, Mario, Giorgio e di tutti i rastrellati. Il risultato è coinvolgente e commuove. Ci vuole forza nel ricordare perché farlo spaventa, ma la memoria è necessaria ed è un obbligo che non si può disattendere.
data di pubblicazione:17/04/2019
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Apr 4, 2019
(Teatro Brancaccio – Roma, 2/7 aprile 2019)
Il più celebre viaggio della storia, alla ricerca del vero amore, in questa nuova veste scenica, ricca di suggestioni visive e musiche avvolgenti. Dall’Inferno al Paradiso prende vita l’immensa opera del grande poeta fiorentino.
Il nuovo allestimento del colossal teatrale, che fu un vero evento quando venne prodotto la prima volta nel 2007, con tanto di teatro tenda piantato a posta nei campi intorno a Tor Vergata a Roma, mantiene fedele la struttura musicale originale e si arricchisce di nuovi dialoghi e nuovi effetti visivi. Il risultato è spettacolare e lascia a bocca aperta il pubblico, totalmente avvolto e coinvolto nel gioco scenico. Il cast di dieci attori-cantanti e il corpo di ballo di dodici elementi lavora con stupenda armonia e professionalità. La macchina è complessa e non è facile orchestrare le musiche, gli attori, i balletti, le proiezioni e i praticabili che si alzano e si abbassano per dare l’immagine dei luoghi percorsi dal poeta. Merito del regista Andrea Ortis, interprete anche nel ruolo della guida Virgilio, se tutto quanto funziona alla perfezione.
La storia prende vita come un racconto ed è la voce inconfondibile di Giancarlo Giannini a narrarne gli episodi. Il Dante uomo, interpretato da Antonello Angiolillo, si ritrova a combattere la battaglia della vita in una solitudine più oscura della notte stessa. È l’amore a interrogarlo e a fargli da contrappunto e consolazione c’è l’amata Beatrice (Myriam Somma) che lo guida e lo ispira dall’alto del Paradiso. I punti più interessanti musicalmente sono proprio i duetti scritti per loro dal maestro Marco Frisina.
Il primo atto racconta la discesa all’Inferno. Qui il sommo poeta si confronta con quei personaggi che in vita hanno sbagliato e peccato nei confronti di quell’amore che guida tutte le cose. La lussuria di Francesca (Manuela Zanier) si sfoga in un canto struggente, mentre l’invidia che portò al suicidio Pier delle Vigne (Daniele Venturini) si raggela in un lamento straziante. Si prosegue ancora e il troppo amore per la virtù e la conoscenza inghiotte Ulisse e gli argonauti in un terribile mare in tempesta, così come un mare di ghiaccio intrappola per sempre nell’odio il conte Ugolino. A fatica si torna fuori e si è ancora storditi dalle tremende visioni e dallo stridio dei suoni dei gironi infernali, merito del rinforzo dato dalle percussioni dal vivo, soprattutto nel passaggio della Palude Stigia.
Il secondo atto, più debole rispetto al primo per intensità di immagini e definizione dei personaggi, ci trasporta verso l’alto. Commovente la preghiera delle anime purganti, attraverso la voce di Pia de’ Tolomei (Mariacarmen lafigliola), che invitano Dante a ricordarsi di loro quando tornerà sulla terra. Il cammino si fa più intimo e riflessivo, Dante è costretto quasi a prendere coscienza del proprio peccato e della propria finitezza prima di giungere alla visione beatifica e al perdono espresso da Beatrice per lui. Sulla strada trova spazio un altro momento, un omaggio al miracolo della creazione artistica: Dante e Virgilio si uniscono a Guido Guinizelli (Angelo Minoli) e a Arnaut Daniel (Daniele Venturini) in un quartetto armonioso a celebrazione della poesia.
Nel Paradiso il poeta può finalmente sciogliere quei dubbi che lo attanagliavano all’inizio e festeggiare così tra ali di angeli in processione le meraviglie di quell’amore che muove il sole e tutte le altre stelle.
data di pubblicazione: 4/4/2019
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Mar 22, 2019
(Teatro Trastevere – Roma, 19/24 marzo 2019)
Un incidente costringe Luke in fin di vita su un letto di ospedale e i suoi affetti più cari a riflettere sul senso delle cose. Anche Adam, suo compagno da cinque anni, corre ad assisterlo.
Quando un testo si coniuga con la compagnia di attori che lo rappresenta, per motivi che non è certo dato di conoscere, allora l’emozione è forte e il messaggio arriva chiaro e senza fastidi. È il caso di Next Fall, una drammaturgia contemporanea nei temi e nell’invenzione dei personaggi, che affronta questioni morali cocenti e attualissime, valide da noi come oltre oceano a New York, dove la pièce è ambientata.
La struttura del dramma alterna scene riprese nella sala d’aspetto di un ospedale ebraico, dove a causa di un incidente è ricoverato Luke, e flash back sulla sua vita recente con il suo compagno Adam. I due si sono conosciuti cinque anni prima dell’incidente, una sera davanti al locale dove lavora Luke. In realtà lui vorrebbe fare l’attore, ma nell’attesa che i provini vadano bene per pagare l’affitto lavora come cameriere. Adam vende candele nel negozio della sua amica Holly, ma vorrebbe fare altro. Luke è molto religioso e questo diventa motivo di litigio e discussione. Si può andare in paradiso anche se si è gay? Quando decidono di andare ad abitare insieme la vita è bella, ma la visita improvvisa del padre di Luke nell’abitazione che i due condividono crea ulteriore scompiglio. Bisogna de-gayzzare l’appartamento perché Butch non sa dell’omosessualità del figlio. La madre invece è più comprensiva del padre. Sarà perché lei, l’eccentrica Arlene, ha sempre preso la vita con più spensieratezza e immaturità. Sarà perché vuole bene al figlio e basta, anche se non sa affrontare la realtà. E poi c’è Brandon, l’amico di una vita al quale Luke è rimasto sempre legato, cattolicissimo anche lui, che va con gli uomini solo per soddisfare un desiderio, ma senza innamorarsi. Non è possibile per un religioso come lui vivere nel peccato come fanno Adam e Luke.
La commedia solleva parecchie questioni, soprattutto legate alla realtà LGBT. È un testo dolce e amaro, divertente e commovente allo stesso tempo. Ricco di ingredienti ma per nulla stucchevole. Sicuramente da non perdere.
data di pubblicazione: 22/03/2019
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Mar 22, 2019
(Teatro Quirino – Roma, 19/31 marzo 2019)
Uno dei drammi più famosi dello scrittore russo va in scena in una versione del tutto nuova e rivisitata, arricchita da stupendi brani musicali presi dall’antologia del grande Charles Aznavour. Lo scrittore incompreso Konstantin Treplev, improvvisamente invecchiato, guarda con occhio critico e coinvolto la vicenda che lo aveva portato al suicidio.
Si arricchisce di nuovi spunti e nuova interpretazione il celebre dramma di Čechov nella lettura originale di Giancarlo Sepe e Massimo Ranieri. Al personaggio di Kosta è dato di sopravvivere al proprio dramma e di essere testimone di ciò che negli anni della giovinezza lo aveva deluso e spinto a togliersi la vita. Sprofondato nella grande poltrona rossa, unica macchia di colore in una scenografia interamente tinta di nero, vede sfilare davanti a sé gli attori dell’opera. È l’occasione per interrogarli, per rimproverarli, per dialogare con loro, cacciare da loro la verità. Il pianoforte al centro della scena, che porta un numero di ottave di gran lunga maggiore rispetto al consueto, serve proprio a suonarle tutte le note della coscienza. Si crea così l’interferenza tra vita e teatro, rappresentazione e realtà, che porta ad acuire la condizione di infelicità dell’anima tormentata del protagonista. Il canto è malinconico e parla di un tempo passato, di occasioni perdute, di amori delusi, di carezze negate. Parla dell’affetto non corrisposto per Nina e per una madre troppo ingombrante e troppo egoista da accorgersi del dolore del figlio. Massimo Ranieri restituisce tutto con un carico di passione e emozione che solo la sua voce può conoscere. A fargli da controcanto la gestualità ampia e la recitazione caricata all’eccesso di un gruppo di eccellenti professionisti, prima fra tutti Caterina Vertova nel ruolo della madre, Irina Arcàdina. La grande attrice ha poco tempo e poca voglia per stare dietro a suo figlio, aspirante drammaturgo. La messa in scena del suo primo dramma, approntato intorno alle rive silenziose del lago su cui sorge la tenuta estiva della famiglia, si rivela noiosa da venire bruscamente interrotta. Il teatro unisce e divide nello stesso momento madre e figlio. La scintilla che trascina tutti nel vortice mortale della presa di coscienza della propria infelicità e insoddisfazione si accende e brucia tutto, fino a non lasciare più nulla nelle mani di chi aveva già poco.
data di pubblicazione:22/03/2019
Il nostro voto:
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