L’ARTE DELLA SEDUZIONE

L’ARTE DELLA SEDUZIONE

PRESENTAZIONE DELLA STAGIONE 2024/25 DEL TEATRO QUIRINO

(Teatro Quirino – Roma, 22 aprile 2024)

Presentato con ampio anticipo il prossimo cartellone di spettacoli del teatro Quirino di Roma. Il calendario 2024-25, ricco di interessanti lavori e ottimi interpreti, tiene conto dei grandi classici e in egual modo della drammaturgia contemporanea. Sono 20 i titoli in programma, a cui si sommano tre spettacoli curati da Saverio La Ruina per una breve rassegna di teatro contemporaneo tra febbraio e aprile 2025.

L’arte della seduzione è lo slogan scelto per questa nuova stagione, accompagnato nella presentazione dall’immagine svettante di un fiero e coraggioso gallo cedrone dal colorato piumaggio. Variopinto come la proposta che il CdA del teatro, presieduto da Rosario Coppolino a cui di uniscono il direttore artistico Guglielmo Ferro e il consigliere Alfio Breci, si accinge a presentare.

È Alfio Breci il primo a salutare il numeroso pubblico di affezionati accorso per l’evento. Nei ringraziamenti nomina uno per uno tutti i collaboratori del teatro, atto necessario e doveroso che l’esperienza del covid ha insegnato a fare. Accenna infatti alla ripresa post-pandemica Rosario Coppolino, che sottolinea quanto scandaloso sia per una grande città come Roma chiudere i teatri anziché riaprirli. Nell’elenco delle sale chiuse fa menzione in particolare del Globe, lo storico teatro di Villa Borghese fondato da Gigi Proietti, “una ferita ancora aperta e sanguinante”. Ma tiene conto della ripresa anche il direttore artistico, il regista Guglielmo Ferro, attento a ricordare che la chiusura dei teatri in pandemia ha portato ad apprezzare il fatto che il teatro è prima di tutto un’assemblea di persone che stanno insieme.

L’ottima notizia è che dall’anno prossimo il Quirino diventerà anche un centro produttivo. Si vedranno i primi risultati nella stagione 2025-26, ma già dall’anno prossimo il teatro sarà impegnato in esperienze di coproduzione. Inoltre è già al suo secondo anno di vita la scuola d’arte drammatica per aspiranti attori e registi Officine Quirino, diretta dallo stesso Guglielmo Ferro insieme a Micaela Miano. Il percorso formativo volto a selezionare giovani talenti tra i 18 e i 30 anni si prefigge come obiettivo quello formare il futuro vivaio artistico del nostro Teatro.

Mentre si presenta la stagione e ogni compagnia parla del proprio spettacolo, arriva fresca la notizia, festeggiata tra gli applausi, che il botteghino ha sottoscritto il primo abbonamento. Si spera (e si augura) il primo di centinaia.

Di seguito una breve presentazione degli spettacoli in cartellone.

Tra i testi classici aprirà la stagione (8-20 ottobre) Anfitrione di Plauto, per la regia e l’interpretazione nella parte del servo Sosia di Emilio Solfrizzi. Trappola per topi di Agatha Christie (dal 19 novembre al 1 dicembre) arriverà finalmente a Roma dopo tre anni dal debutto. Dal 7 al 12 gennaio 2025 sarà in scena il revival de La strana coppia di Neil Simon, con Gianluca Guidi e Giampiero Ingrassia. A seguire (14-19 gennaio) Filippo Dini è interprete e regista in I parenti terribili, la commedia perfetta di Jean Cocteau, mentre Flavio Insinna e Giulia Fiume saranno Ugo e Anna, protagonisti di Gente di facili costumi, la divertente commedia ancora attuale scritta da Nino Marino e Nino Manfredi (regia di Luca Manfredi, 18 febbraio – 2 marzo). Sempre tra i testi classici Franco Branciaroli porterà a marzo (18-23) il suo nuovo spettacolo da Goldoni, Sior Todero brontolon (regia di Paolo Valerio). Per il classico natalizio un balletto, Lo schiaccianoci di Čajkovskij. Luciano Cannito dirige la compagnia del Roma City Ballet, che vede tra gli interpreti due star internazionali della danza: Iana Salenko e Ksenia Ovsianick. A chiusura di questa prima parte dedicata ai classici due dei tre spettacoli coprodotti dal teatro Quirino: Ti ho sposato per allegria di Natalia Ginzburg (25-30 marzo) e Crisi di nervi di Anton Čechov (29 aprile – 11 maggio), quest’ultimo per la regia di uno dei più grandi registi ancora viventi, il tedesco Peter Stein.

Per i classici rivisitati Alessandro Preziosi e Nando Paone saranno in scena con Aspettando Re Lear, scritto da Tommaso Mattei (5-17 novembre); Ugo Dighero sarà invece protagonista ne L’Avaro di Molière (regia di Luigi Saravo, 17-22 dicembre). Nuova lettura a cura di Carla Cavalluzzi e Sergio Rubini per il classico di Stevenson: Il caso Jekyll (21 gennaio – 2 febbraio), uno studio sull’inconscio del celebre personaggio. Noir terrificante, ma anche profondamente comico, La signora omicidi di William Arthur Rose, adattato pensando a un pubblico italiano da Mario Scaletta (regia di Guglielmo Ferro, 11-16 marzo). Shakespeare verrà invece trattato da Valter Malosti che insieme ad Anna Della Rosa sarà protagonista della nuova lettura di Antonio e Cleopatra (11-16 febbraio).

Per concludere sono sei gli spettacoli di nuova drammaturgia. Il 22 ottobre e fino al 3 novembre, a un anno dal debutto, arriva 1984 di George Orwell, nell’adattamento di Robert Icke e Duncan Macmillan. Una complessa macchina teatrale e un grande sforzo produttivo diretto da Giancarlo Nicoletti. Dal 3 all’8 dicembre Simone Cristicchi dirigerà sé stesso nel ruolo del santo di Assisi: Franciscus. Il folle che parlava agli uccelli (le musiche originali sono di Cristicchi e Amara). Cristiana Capotondi vestirà i panni di una madre che si prende cura della propria bambina durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale a Firenze, protagonista in La vittoria è la balia dei vinti di Marco Bonini (10-15 dicembre). Torna al Quirino Veronica Pivetti con L’inferiorità mentale della donna, un evergreen del pensiero reazionario tra musica e parole (recita il sottotitolo) dal 4 al 9 marzo. Uno spettacolo emotivamente forte e utile, dice in video l’attrice, originale e provocatorio. Terzo spettacolo coprodotto dal teatro Quirino Moby Dick di Herman Melville, adattato da Micaela Miano (1-13 aprile). Un progetto che il regista Guglielmo Ferro insegue da anni e che si prospetta come un viaggio verso l’ignoto, attratti da quello che non conosciamo. Quasi una pirandelliana esperienza che si interroga sulla realtà oltre il palcoscenico. Infine termina questo lungo elenco la terza parte della trilogia La ballata degli uomini bestia di Davide Sacco lo spettacolo Il medico dei maiali con Luca Bizzarri e Francesco Montanari (22-27). Un dovere, secondo l’autore e regista, quello di avere la missione di portare la drammaturgia contemporanea sui grandi palchi italiani.

data di pubblicazione:22/04/2024

I MASNADIERI da Friedrich Schiller, regia di Michele Sinisi

I MASNADIERI da Friedrich Schiller, regia di Michele Sinisi

con Matteo Baronchelli, Stefano Braschi, Vittorio Bruschi, Jacopo Cinque, Gianni D’Addario, Lucio De Francesco, Alessio Esposito, Lorenzo Garufo, Amedeo Monda, Laura Pannia, Donato Paternoster

(TeatroBasilica – Roma, 11/28 aprile 2024)

Debutta in prima nazionale il classico schilleriano nella lettura irriverente di Michele Sinisi. Una esplosiva miscela di talenti che fa letteralmente ribaltare il TeatroBasilica di Roma. La bellezza del saper fare teatro attraverso un testo dal profondo valore poetico (foto di Simone Galli)

I Masnadieri secondo la rielaborazione testuale e la regia di Michele Sinisi e Tommaso Emiliani è tutto tranne che una tragedia. O meglio, ne conserva i tratti. Ma non è la rappresentazione del dramma così come appare sulla pagina che interessa questa stravagante rilettura. Protagonista indiscusso è il teatro nei suoi molteplici significati e funzioni. Come luogo fisico e spazio di aggregazione. Come strumento di lettura e interpretazione della complessa commedia umana. Come arte che si realizza unicamente mettendo insieme una pluralità di talenti e mestieri. Ed è dalla fusione di più realtà impegnate nella produzione teatrale a livello nazionale che prende forma questo imperdibile spettacolo. Intanto il Gruppo della Creta, che ha sede proprio al TeatroBasilica di cui ne cura la gestione. Poi la compagnia di innovazione Fattore K e il Centro di produzione teatrale milanese Elsinor, legato al teatro Fontana.

Le chiavi di lettura sono l’ironia e il gioco. Il testo conserva la sua potenza poetica, ma non è sorretto da nessuna impalcatura di finzione. Semmai è commentato in maniera irriverente dalle continue intromissioni che ne smontano il dato distruttivo e tragico. Tra gli espedienti usati la ripetizione e soprattutto una sottolineatura grottesca della provenienza regionale nell’inflessione dialettale di alcuni degli attori. Parricidi, fratricidi, assassinii e violenze vengono smorzati da una risata dissacrante. E per contrasto mostrano che i sogni, le ambizioni, le gelosie, le battaglie che animavano l’uomo della fine del Settecento sono validi ancora oggi. La storia non è ferma in nessun punto.

Michele Sinisi svela fin da subito il meccanismo magico della scena, cancellando ogni possibile illusione e mostrando la verità del fare teatro. L’originale struttura drammaturgica viene smantellata e ricomposta seguendo uno schema originale, geniale, creativo. Il capolavoro giovanile dell’autore tedesco perde il suo riferimento storico e comunica direttamente con la nostra epoca. Rimane una debole traccia del passato nei costumi di Giulia Barcaroli. Pezzi di abbigliamento cinquecentesco o ottocentesco tirati fuori dal baule di chissà quale spettacolo sono pallidi indizi su abiti moderni, gli stessi che indossiamo noi spettatori.

Entrando in sala la prima cosa che si nota è la luce diffusa che dal palco arriva alla platea. Gli attori sono già in scena, seduti ai bordi, in attesa di entrare. Si ha la sensazione lo spettacolo non sia ancora pronto, che l’atto fondativo della prima scintilla creativa debba ancora brillare. E infatti, attraverso un espediente epico, gli attori si presentano al pubblico con il loro nome, cognome e età. Sono artisti prima ancora di trasformarsi nel personaggio e di percorrere le infinite possibilità dell’interpretazione. Sono amici pronti a condividere un sorso di birra (di lattine vuote è cosparsa la scena di Federico Biancalani). In amicizia, sulla scena, nessuno pesta i piedi dell’altro, nessuno è il migliore perché è la squadra che vince. Lasciate dunque il palco a questa irriverente masnada di pazzi e godetevi lo spettacolo.

data di pubblicazione:15/04/2024


Il nostro voto:

FEMININUM MASKULINUM di Giancarlo Sepe

FEMININUM MASKULINUM di Giancarlo Sepe

(Teatro La Comunità – Roma, 3/21 aprile 2024)

Ancora prima che nella dicotomica formula uomo-donna, l’umanità è divisa in femmine e maschi. È questa l’equazione base da cui parte ogni possibile interazione o combinazione. E assume una forma primitiva ed esemplare anche il contesto storico scelto da Giancarlo Sepe per il suo nuovo lavoro: la liberale e democratica Repubblica di Weimar. Con Femininum Maskulinum riapre al pubblico la storica sala romana del teatro La Comunità fondata nel 1972. Allora come oggi baluardo dell’avanguardia teatrale italiana (foto di Manuela Giusto)

 

La chiara differenza tra i sessi se osservata bene in realtà cela una sorta di ambiguità. Donne androgine e uomini effeminati danzano mostrando una vulnerabilità e una violenza che hanno matrice nella ribellione. Un effimero e grottesco tentativo di rivalsa rispetto a una guerra che si è persa. Femininum Maskulinum è un affresco in gesti e musica che ritrae il disfacimento umano nella Repubblica di Weimar. La società ha ancora addosso i segni della deflagrazione del primo conflitto mondiale. La scena di Carlo De Marino (realizzata dal laboratorio di scenografia del Teatro della Pergola di Firenze) è lo scolo di un sobborgo berlinese dalle pareti insudiciate, dove dalla penombra emerge un’umanità disorientata, inconsapevole dell’imminente rovina. Quando il nazionalsocialismo arriva, minaccioso come una nuvola carica di temporale, trova già una situazione votata al fallimento.

I semi della decadenza sono ovunque. Dalla fragilità dei corpi nudi, che è anche debolezza intellettuale e filosofica, all’ossessione per la musica come distrazione e deterrente (la complessa architettura musicale è di Davide Mastrogiovanni). Effimera è la parola. Lo spettatore è osservatore prima ancora che uditore. Il nutrito gruppo attoriale – composto da Sonia Bertin, Alberto Brichetto, Lorenzo Cencetti, Chiara Felici, Alessia Filiberti, Ariela La Stella, Aurelio Mandraffino, Giovanni Pio Antonio Marra, Riccardo Pieretti, Alessandro Sciacca, Federica Stefanelli e dall’immancabile Pino Tufillaro, con Sepe dai tempi di Allegro cantabile (1974) – è materia plasmata, violentata, ridotta allo stremo. Un collettivo fracassato di piccoli borghesi in rovina e prostitute che si lascia però modellare dalle sapienti mani del regista.

Il modello culturale di riferimento dei berlinesi di quel tempo è l’America, a cui si guarda con ammirazione e imitazione. Meta per i fuggiaschi come Billy Wilder e Thomas Mann. Ma anche il paese oltreoceano cela del marcio. La sognata società americana è in qualche modo corrotta come quella europea. E in questa fenomenologia dell’incoscienza collettiva si scopre qualcosa che ci riguarda. Lasciamo il teatro con addosso un senso di inquietudine e di rifiuto, ma con una nuova consapevolezza. Se non si adotta una visione analitica della realtà di cui facciamo parte, saremo inevitabilmente votati allo sfacelo e alla manipolazione di un potere soverchiante.

data di pubblicazione:11/04/2024


Il nostro voto:

DARKMOON di Matteo Fasanella

DARKMOON di Matteo Fasanella

con Sabrina Sacchelli, Nicolò Berti e Giuseppe Coppola

(Teatrosophia – Roma, 4/7 aprile 2024)

Due fratelli e una sorella. Un mistero di morti avvenute in un’estate di molti anni prima. Un ragazzo consumato dal desiderio di conoscere che trova redenzione nella poesia. Debutta al Teatrosophia, la centralissima sala romana gestita con ammirevole passione da Guido Lomoro, il nuovo spettacolo di DarkSide LabTheatre Company. (Foto di Agnese Carinci)

  

Un’atmosfera lattiginosa e crepuscolare avvolge la scena dell’accogliente Teatrosophia. La storia familiare di Salesio, Orazio e Pilla – due fratelli e una sorella – è turbata dal ricordo di un passato che torna a funestare un presente solo in apparenza sereno. Siamo nel 1825. Orazio è preoccupato per il comportamento del fratello Salesio. Questi passa tutto il tempo chiuso nella biblioteca di famiglia, dove conduce le sue ricerche con preoccupante smania e irrequietezza. Nell’attitudine, nelle movenze e nel costante racconto dell’agitazione che lo abita Salesio è Giacomo Leopardi. Solo Pilla sembra comprenderne e accettarne il segreto movimento. È lei che cerca di mitigare il sempre più teso rapporto tra i due fratelli. Intanto il ricordo delle terribili uccisioni avvenute nell’estate del 1813, quando i tre erano poco più che adolescenti, fa nascere nuovi sospetti e paure. Tre pecore di un ovile, un cane e il nipote di un fattore vennero sgozzati da quello che si pensava potesse essere un orso o un lupo. Un libro gelosamente custodito nella biblioteca rivela una genia di licantropi il cui sangue scorre ora nelle vene di Salesio. I sospetti si spostano su di lui, attratto misteriosamente dalla luna. Il suo interesse scientifico per l’astro notturno si trasforma però in motivo di ispirazione. Sortisce nel suo animo una creatività poetica che da sola saprà mitigare il suo animo tormentato, fugherà le paure e darà giustizia al suo lato oscuro e taciuto.

Ispirato al romanzo Io venìa pien d’angoscia a rimirarti (1990) dello scrittore Michele Mari, l’adattamento per la scena di Matteo Fasanella percorre finemente la strada del sogno e del mistero, trasportando lo spettatore in un’epoca lontana tanto nel linguaggio quanto nei costumi. La profonda interpretazione di Giuseppe Coppola nei panni del licantropo Salesio/Leopardi si avvale del sostegno ben calibrato di Sabrina Sacchelli (Pilla) e Nicolò Berti (Orazio). Ben distribuite le parti tra loro, tanto da renderli protagonisti alla stessa misura. L’avventura collettiva si avvale anche del prezioso aiuto di Virna Zordan e Lorenzo Martinelli per l’assistenza alla regia e dell’allestimento scenico di Alessio Giusto, la cui luna lascia davvero abbagliati. Uno spettacolo che deve la sua buona resa all’ottimo lavoro di squadra e che ci ricorda che coltivare la poesia a volte salva di più della scienza.

data di pubblicazione:10/04/2024


Il nostro voto:

CHILOMETRO_42 di Giovanni Bonacci

CHILOMETRO_42 di Giovanni Bonacci

diretto e interpretato da Angela Ciaburri, musiche dal vivo di Munendo

(Teatro Cometa OFF – Roma, 27/29 marzo 2024)

Angela Ciaburri duetta sul palco con il musicista romano Munendo. Insieme disegnano le tappe del percorso di preparazione che ha portato Kathrine Switzer a diventare la prima atleta donna al mondo a correre una maratona. Una storia che ha per protagonista la sfida (vinta) a sé stessi e al pregiudizio del senso comune.

 

Un barattolo di zuppa al pomodoro Campbell è così facile da aprire che anche una donna riuscirebbe a farlo. Su questa incontrovertibile provocazione si intreccia il racconto biografico di Kathrine Switzer, la prima donna a correre una maratona quando la disciplina era riservata ai soli uomini (il corpo delle donne era considerato troppo fragile per affrontare la sfida). È il 1967, la maratona è quella di Boston e nella società i ruoli di donna e uomo sono ancora pregiudizialmente definiti. Kathrine, classe 1947, elude i controlli degli organizzatori e si iscrive alla corsa guadagnando il numero di pettorale 261. Un giudice di gara la strattona, ma lei rimane al suo posto riuscendo comunque a raggiungere il traguardo. Quella corsa è una guerra che deve assolutamente vincere. Per sé e per tutte le donne che verranno dopo di lei.

Tuttavia questo è solo il felice epilogo di Chilometro_42. Tutto il resto della scrittura drammaturgica, complesso e ritmato lavoro di Giovanni Bonacci nato in collaborazione con progetto SUPERFICIE di Matteo Santilli e sviluppato in sinergia con l’interprete Angela Ciaburri e il cantautore Armando Valletta in arte Munendo, ripercorre le tappe della vita della maratoneta statunitense. Kathrine è una ragazzina che vive la fatica della crescita, del cambiamento. Sente di essere diversa dalle altre ragazze. Non si accontenta di far parte delle cheerleader. Vuole qualcosa di più, ma per ottenerlo deve anche soffrire, accettare la sconfitta e le cadute. Sopportare la violenza di un paese che ti vuole vincitrice ma che poi ti lascia sola nei momenti di fragilità. Indovinata la digressione su Simone Biles, la grande ginnasta più volte campionessa mondiale, rimasta vittima degli abusi sessuali del medico della nazionale. Kathrine non è la sola a combattere per la propria affermazione.

La performance di Angela Ciaburri è coinvolgente, viene voglia di tifare per lei come dagli spalti di un campo di allenamento. La fatica che fa sul palco sembra estenuante, eppure arriva vincitrice al traguardo dell’applauso. La ricca impalcatura sonora di Munendo enfatizza e contestualizza la sua prova. Si fonde con il monologo, tanto da diventare un’estensione dei pensieri della ragazza. Stimola la fantasia dello spettatore creando nella sua mente immagini che sopperiscono alla mancanza di scenografia. Appaiono i muri di persone attorno al tracciato della maratona. Appare la cameretta dove Kathrine prova le coreografie da cheerleader. Appaiono i campi degli allenamenti, con i prati erbosi e le tribune.

Per paradosso lo scopo non è il podio. Il successo non si misura in tempi record e chilometri percorsi. Si vince ascoltando sé stessi, nella scoperta e nel superamento dei propri limiti. Nella sfida alle proprie paure e alle gabbie imposte dalla società. Perché la vera vittoria coincide con il raggiungimento della libertà.

data di pubblicazione:05/04/2024


Il nostro voto: