PEZZI regia e drammaturgia di Laura Nardinocchi

PEZZI regia e drammaturgia di Laura Nardinocchi

(Teatro Vascello – Roma, 12 novembre 2019)

Una madre sola con due figlie. Un lutto da rielaborare. Un albero da addobbare e un Natale da festeggiare. Pezzi di una vita frantumata da tenere insieme per continuare a vivere.

 

Mentre il pubblico prende posto in sala le tre protagoniste di Pezzi stanno già recitando la parte sul palco. I caratteri dei loro personaggi sono appena abbozzati in questa danza frenetica che le vede correre da una parte all’altra dello spazio scenico. Sembra di assistere a una performance di arte contemporanea. Il linguaggio è onirico, sgrammaticato, inaccessibile. Ma la storia si fa chiara man mano che le scene si susseguono.

Pezzi è lo spettacolo vincitore del Roma Fringe Festival 2019 ed è il risultato di un lungo lavoro che la regista, Laura Nardocchi, ha portato a compimento insieme alle attrici Ilaria Giorgi, Claudia Guidi e Ilaria Fantozzi. Un lavoro magnifico tutto al femminile che merita ben più di un premio e sicuramente di essere portato in scena ancora per molto.

Il racconto gira intorno al dolore generato da un’assenza. Una madre, semplice e verace come una donna di paese può essere, perde il marito e padre delle sue due figlie. Da quel momento la vita di questo nucleo familiare esplode. Il sottotitolo recita Si vive per imparare a restare morti tanto tempo, e per cercare di dare un senso alle cose diremo noi. Come una nuova Madre Coraggio, questa donna si prende cura delle sue due figlie tra non poche preoccupazioni. Marina, la più grande, è delle due quella che deve capire e sopportare tutto, costretta a crescere in fretta. Maria, la più piccola, è una bimba fragile che va protetta e difesa. Incomprensioni, litigi, frustrazioni nascono dal non aver accettato il lutto e separano le donne perse nella loro solitudine e sofferenza. La serenità può tornare solo dopo aver preso coscienza e consapevolezza del proprio vuoto.

Pezzi è un dramma struggente, fisico, commovente. È una danza di gesti e una sinfonia di suoni espressi con sublime poesia. È un monumento, una fotografia reale di un male intimo e devastante. Un semplice racconto, sebbene articolato nella costruzione. Un’opera d’arte molto vicina al vero di tante esistenze.

data di pubblicazione:13/11/2019

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AN INTERVENTION di Mike Bartlett, regia di Fabrizio Arcuri

AN INTERVENTION di Mike Bartlett, regia di Fabrizio Arcuri

(Teatro Belli – Roma, 11/13 novembre 2019)

Una coppia di personaggi uno il migliore amico dell’altra. Si danno consigli e si scambiano opinioni, tra rimproveri e carezze. La vita va avanti e il loro legame rimane saldo, anche se è passato tempo dall’ultima volta che si sono visti.

 

 

Per convenzione si chiamano A e B, poiché potrebbero essere chiunque. Di loro sappiamo che sono buoni amici da qualche anno e questo è evidente fin dalle prime battute. Rita Maffei è A, una donna che ha problemi con l’alcol, ma dal temperamento energico e divertente. Gabriele Benedetti è B, molto più pacato e razionale, che si fidanza con la donna sbagliata che A non gradisce. Sullo sfondo l’imminente intervento militare del Regno Unito in una guerra lontana. Il contestato Tony Blair, che vestì anche i panni di inviato per la pace in Medio Oriente oltre a quelli di Primo Ministro britannico, compare sorridente in una foto con alle spalle il fumo di un palazzo appena esploso per una bomba. Proprio la guerra è argomento di discussione tra i due amici, come lo è la dipendenza di A e la nuova fidanzata di B: forze distruttive che accendono continui diverbi tra i due. B è a favore di un intervento nel conflitto, A invece lo vede come l’ennesimo atto di terrorismo coloniale autorizzato dal Governo. B rimprovera A, mentre A attacca di continuo B. Volano frasi sarcastiche, tra ammiccamenti costanti al pubblico, le cui risate sembrano inserite apposta nella drammaturgia.

I quadri che si susseguono sono cinque. Ogni volta che i due amici si rivedono capiamo che è passato un po’ di tempo, durante il quale le loro vite sono andate avanti e si sono arricchite di episodi da raccontare: “Non ci vediamo più da quella sera” è la frase che ricorre. Per ogni atto un cambio di costume, abiti diversi confezionati però con la stessa stoffa. Pur avendo divergenza di opinioni su tutto, c’è qualcosa in fondo che li tiene legati.

Lo spettacolo è divertente, a tratti esilarante. In perfetto stile inglese A e B si rivolgono tra loro con una sincerità educatamente spietata, quella che maschera battute taglienti con il vestito delle buone maniere. L’esito è divertentissimo e ci ricorda che un intervento – non quello militare stavolta – è sempre necessario quando si tratta di stare accanto a un amico.

data di pubblicazione:12/11/2019


Il nostro voto:

AN INTERVENTION di Mike Bartlett, regia di Fabrizio Arcuri

THE GARDEN di Zinnie Harris, regia di Lorenzo Lavia

(Teatro Belli – Roma, 8/10 novembre 2019)

Chiusi nel loro appartamento al quinto piano, Jane e Mac fanno i conti con il disastro causato dal cambiamento climatico ormai diventato irreversibile. La visione di un melo che nasce dal pavimento potrebbe riaccendere la speranza in qualcosa di bello.

 

 

È una serata particolare al teatro Belli di Trastevere, la sala si riempie in fretta e si ascolta un cicaleccio continuo ma disciplinato. Prendono posto in poltrona decine di ragazzi di un liceo romano, lo spettacolo è sul palco e in platea. Non capita spesso infatti – ma capita – di vedere tanti giovani a teatro tutti in una volta. Il tema della serata deve interessarli molto se sono qui, e se coinvolge loro coinvolge anche noi. Come in un immaginario prolungamento di una delle piazze che vediamo animate ultimamente in tutto il mondo dal movimento di protesta per il cambiamento climatico Fridays for Future, ci accorgiamo che The garden è in sintonia con la loro battaglia. Ed è anche venerdì sera.

La scena si svolge all’interno di un appartamento tutto grigio. Dello stesso colore sono vestiti i due protagonisti. L’atmosfera è triste, pesante. Jane (Arianna Mattioli) è seduta a terra davanti a un televisore che ininterrottamente trasmette il discorso di Greta Thumberg del Summit sul clima all’ONU dello scorso 23 settembre. È depressa e non esce di casa, parla poco avvolta nella sua vestaglia pesante, che la protegge dal mondo. Suo marito Mac (Lorenzo Lavia) da poco è stato preso a far parte di una sottocommissione che dovrebbe occuparsi di risolvere il disastro climatico in atto. Il problema è che non ci sono soluzioni al problema: ogni tentativo è un vuoto esercizio. I due non hanno figli, non hanno speranza. Per loro solo il palliativo delle pillole antidepressive e del vino, tanto vino, unico corroborante.

All’improvviso appare un bozzo dal pavimento di linoleum. È il germoglio di albero di melo spuntato per caso dal nulla o una visione connessa con la malattia mentale della donna? Di sicuro un pallido tentativo dell’immaginazione di sforzarsi di vedere il bello dove ormai non è più. L’azione si blocca davanti a questa verità: la mano dell’uomo ha distrutto ogni cosa vivente e non c’è possibilità per un nuovo Eden/giardino/speranza di poter crescere.

La coppia Mattioli/Lavia dimostra complicità sul palco pur manifestando una certa diversità nello stile di recitazione: silenziosa e intima lei, agitato e nervoso lui. Uno sbilanciamento forse dettato anche dal testo, che tuttavia offre spunto per riflettere sulla condizione del nostro pianeta e sulla posizione che dovremmo prendere rispetto alla crisi che ci sta investendo.

data di pubblicazione:09/11/2019


Il nostro voto:

BOX CLEVER di Monsay Whitney, regia di Giorgina Pi

BOX CLEVER di Monsay Whitney, regia di Giorgina Pi

(Teatro Belli – Roma, 5/6 novembre 2019)

Una donna sola con una figlia di cui prendersi cura. Una famiglia ostile dalla quale prendere le distanze, come da quella società che la spinge ai margini.

 

Se capita di incontrare per strada una tipa come Marnie l’istinto è quello di evitarla. Dice parolacce, bestemmia, è vestita male e fuma, probabilmente fa uso di droga. Sembra matta, una di quelle pericolose, violente, che per un nulla ti attaccano improvvisamente per il gusto di sfogare la loro rabbia. È nata nella parte sbagliata di Londra, a sud del Tamigi, dove un tempo venivano stipati ospedali psichiatrici e carceri. Il fiume spesso esondava da quelle parti, trascinando con sé immondizia e topi. Nel DNA di chi è nato lì c’è tutto questo disagio, siamo in periferia. Se poi non sei ricco il tuo destino è quello di arrangiarti, di cercare di vivere al meglio la tua giornata. Sei un facile bersaglio per gente deviata e pericolosa, ma anche di istituzioni mal funzionanti e ipocrite. Marnie, che non è affatto un’eroina, da tutto questo deve difendersi, da sola.

Box clever è uno spettacolo crudo, realistico, diretto e straordinariamente teatrale. È un lungo monologo che alterna momenti di riflessione a dialoghi mentali, con personaggi proiettati su uno schermo azionato dall’attrice in scena. I diversi registri – da quello sarcastico a quello drammatico – rendono l’azione dinamica e mai monotona. La regia riflette questa dinamicità: attenta ai movimenti dell’animo del personaggio ne riflette la spiazzante verità, ma senza scivolare mai in un manierismo simbolico. L’interprete – Gaia Insegna – è straordinaria, commovente, trascinante e sopra ogni cosa vera.

data di pubblicazione:06/11/2019


Il nostro voto:

AN INTERVENTION di Mike Bartlett, regia di Fabrizio Arcuri

PROGETTO ALAN BENNETT di e con Luca Toracca

(Teatro Belli – Roma, 1/2 novembre 2019)

Luca Toracca a confronto con Bennett. Due monologhi pescati nell’esilarante raccolta del drammaturgo inglese Talkings Heads: Una patatina nello zucchero e Aspettando il telegramma.

 

 

Questo Festival ha diversi meriti. Quello di avvicinare realtà artistiche che si trovano attive perlopiù altrove ne è uno. Per una sera Roma diventa il centro di scambio di esperienze e palcoscenico di esperimenti. Veder recitare allora Luca Toracca – cofondatore del Teatro dell’Elfo di Milano – sul palco del teatro Belli dei pezzi di Bennett è un’occasione unica.

Si comincia con Aspettando il telegramma, una storia che vede protagonista Violet, un’anziana signora costretta su una sedia a rotelle in una stanza di una casa di riposo. Il suo mondo è fatto di ricordi sbiaditi e di personaggi che le girano intorno quotidianamente: dall’infermiere che poi si ammala di polmonite al figlio che va a trovarla ogni tanto, dalla donna delle pulizie di colore con il grembiule giallo alla vicina di letto. È il giorno del suo compleanno e le dicono che un telegramma con gli auguri della regina sta per arrivare.

Il secondo monologo, Una patatina nello zucchero, racconta di Graham, un uomo oltre la quarantina in cura in un Centro di Igiene Mentale, e di sua madre con la quale vive una morbosa convivenza. A scatenare la gelosia del figlio è Mr Turnbull, un ex spasimante della donna, che riappare improvvisamente a sconquassare per un attimo la normalità della coppia madre-figlio. Sul finale tutto torna com’era, e l’incidente si rivela nient’altro che un’inezia, una patatina finita per caso nel barattolo dello zucchero appunto.

Spicca nella grammatica del testo il discorso diretto riportato dai protagonisti. Nulla di quello che si racconta accade sulla scena: tutto è già avvenuto fuori, lontano nel tempo e nello spazio. Temi, storie, personaggi, luoghi e situazioni sono presi dall’ordinario della vita, dove per ordinario si intende quanto di più scontato e di banale possa succedere a chiunque. La comicità di Bennett si nutre di questa ordinarietà e la solitudine degli individui che ritrae ne diventa espressione inconsapevole. Violet e Graham non sono coscienti di essere buffi o ridicoli davanti al pubblico a cui costantemente si rivolgono: se lo fossero probabilmente smetterebbero di parlare imbarazzati. Luca Toracca sacrifica quanto di comico può venir fuori da questi personaggi per un’interpretazione che calca invece la mano più sul lato drammatico delle loro esistenze. Così Violet è una vecchina simpatica ma malinconica, mentre Graham è comicamente isterico ma talmente solo da generare compassione. Fanno ridere, ma anche riflettere. Come ricorda l’attore, prendersi cura delle persone anziane è importante: i vecchi sono la nostra storia e sono da amare, dirà nella commozione alla fine del primo monologo.

data di pubblicazione:02/11/2019


Il nostro voto: