IL TEATRO DI ROMA VA IN SCENA SUL WEB

IL TEATRO DI ROMA VA IN SCENA SUL WEB

I giorni di quarantena stanno moltiplicando le iniziative culturali online di teatro e cinema, che non sfuggono agli occhi vigili di Accreditati. In un tempo in cui si è invitati a rimanere a casa per il bene di tutti, anche il Teatro di Roma #TdRonline, aderendo alla campagna nazionale e comunale del #iorestoacasa e #laculturaincasa, ha deciso di aprire il sipario sui canali social di Facebook, Instagram e YouTube, proponendo al suo pubblico un ricco palinsesto di eventi virtuali.

 

 

Si apre questo fine settimana la programmazione digitale del Teatro di Roma, per poi continuare con una proposta settimanale di eventi che verranno costantemente aggiornati in rete. Sabato 21 marzo, in occasione della Giornata Mondiale della Poesia, a partire dalle ore 16, lo spazio sarà dedicato a VOCE, una maratona online di poeti e autori che declameranno i propri componimenti in clip di pochi minuti a comporre un unico racconto poetico espanso. Apre Giorgio Barberio Corsetti con l’inedito Commedia, seguono alcune tra le voci più apprezzate del panorama poetico, a partire da Mariangela Gualtieri con Nei passi – la notte, Antonella Anedda con Osservatorio, Ida Travi con Presto ce ne andremo, Silvia Bre con Se un mosaico di dolore assume il canto e Nell’isola che è di ombra e ti denuda; a cui si affiancano voci dagli stili differenti, ricchi ed eleganti, come Franco Marcoaldi con Quand’è che l’idea di limite e confine, Azzurra D’Agostino con La volpe, Maria Grazia Calandrone con Interiore invernale e Canzone, Vincenzo Ostuni con n°1 – Tiritì tiritì, Marco Mantello con Malattia e Le anafore; e autori che evocano mondi affascinanti e distanti tra loro come Orso Tosco con Adesso è preservare e Ecco la nera murena a caccia tra gli scogli, Tommaso Giartosio con Sono il figlio, o la pietra col tuo nome e Quando ne resta soltanto una lingua, Laura Pugno con l’inedito Pietra focaia, Paolo Maccari con Si dorme ancora nel mondo; tutti caratterizzati dalla loro ‘presa di parola’.

Doppio appuntamento domenica 22 marzo rivolto invece alle giovani generazioni. Alle ore 11 il Laboratorio Piero Gabrielli, dedicato all’integrazione con e senza disabilità, lancia un tutorial per la creazione della canzone Chiuso dentro casa che coinvolge i ragazzi nella realizzazione del testo e del video-clip; alle ore 21 la prima favola serale delle Fiabe della buonanotte a cura di teatrodelleapparizioni (in collaborazione con CSS di Udine), introdotta da Fabrizio Pallara che in diretta streaming mostrerà il teatrino ideato per realizzare il ciclo di spettacoli. Altre fiabe in programmazione per mercoledì 25, venerdì 27 e domenica 29 sempre alle 21.

Di seguito elenchiamo altri appuntamenti in scaletta per la prossima settimana.

Martedì 24 (ore 16) sarà postata la registrazione dell’incontro pubblico di Alessandro Serra con Fausto Malcovati su uno dei capolavori del teatro mondiale, Il giardino dei ciliegi di Čechov.

Doppio appuntamento per giovedì 26 (ore 12) con Lino Guanciale che legge Flaiano e con Monica Demuru (ore 16) che ci riconduce alle pagine simboliche della peste del 1348 riportando in voce La cornice del Decameron di Boccaccio.

Protagonisti della sezione conversazioni in diretta streaming, sabato 28 (ore 21), saranno Giorgio Barberio Corsetti e Alessandro Serra, in dialogo tra pensieri, riflessioni e spettacoli.

Domenica 29 (ore 16), infine, prende il via la prima intervista video del ciclo Persone a cura di Daria Deflorian, una chiacchierata con la ‘persona della settimana’ tra pratiche di lavoro e racconti autobiografici.

È compito di un teatro nazionale trasformare il contributo spontaneo e creativo di questi artisti in un gesto responsabile e in un impegno che sarà sempre più concreto e strutturato. Il Teatro di Roma è una comunità di persone fisiche che lavorano e si ritrovano intorno a degli oggetti artistici, ma anche una comunità ideale, disseminata nella città e oltre. Creare l’occasione perché questa comunità si ritrovi insieme è la responsabilità dello Stabile nazionale. Si inizia da domani a scoprire un altro modo per farlo, giorno dopo giorno, insieme al pubblico, agli artisti e alle artiste coinvolti, tessendo un percorso comune che renderà l’incontro ancora più ricco.

Facebook: @teatroargentinaroma @teatroindia @teatrovillatorlonia

Instagram: teatrodiroma

YouTube: Teatro di Roma

data di pubblicazione:20/03/2020

IO SUGNO di e con Davide Paciolla

IO SUGNO di e con Davide Paciolla

(Club 55 – Roma, 28 febbraio 2020)

Travolgente monologo, in bilico tra un sogno e una realtà che fa da contrasto al desiderio. Prova d’attore per Davide Paciolla nella cornice di un luogo non convenzionale per il teatro, a due passi dai locali e ristoranti affollati di via del Pigneto a Roma.

 

Non ci si perde in troppe formalità appena entrati dopo il tesseramento nello spazio del Club 55, nel quartiere Pigneto di Roma in via Perugia. Lo spazio è giovane, pulsante, libero e culturalmente frizzante, fuori da qualsiasi circuito già collaudato dei più o meno importanti palcoscenici della capitale. In corso dal 10 gennaio l’edizione zero di Unconventional date, stagione di spettacoli teatrali che vanno in scena solo di venerdì, in orario preserale, fino al 29 maggio. La direzione artistica è affidata a Francesca Brunetti, Carlo Maria Fabrizi, Vincenzo Nappi e Ludovica Santuccio. Sul palco artisti pluripremiati come Alessandro Blasioli, Giulia Nervi, Davide Paciolla, Tony Allotta, Alessandro Sesti, Giusy Emanuela Iannone e Andrea Cosentino.

Lo scorso venerdì 28 febbraio è stata la volta di Davide Paciolla, con il suo monologo Io sugno (Premio migliore interpretazione e giuria popolare con Corto 2019). L’attore sale sul palco, già ingombro di attrezzi di scena e diversi strumenti musicali, prende un lungo respiro e si lascia andare nel lungo e divertente racconto. È il caso di dirlo: Davide Paciolla se la canta, se la suona e come se non basasse è regista, fonico, attrezzista e controfigura di sé stesso. La storia è quella di un ragazzo che sogna di fare l’attore, che deve rendere conto della sua scelta alla sua bizzarra famiglia, costantemente presente nelle telefonate della nonna preoccupata e nei consigli/rimproveri dei genitori. In ascolto di mille voci che gli risuonano nella testa, prende quelle decisioni che ne tracceranno la carriera o quello che desidererebbe che fosse. Pervaso di sana insicurezza, la battaglia con i mostri interiori e i sogni che coltiva si dispiega davanti a noi senza sosta. Il monologo è un fiume travolgente di parole e situazioni, rimandi e citazioni colte, suoni dialettali e canti. Un testo che è un papiro variopinto o una cesta colma di giocattoli che il nostro migliore amico riversa a terra per farci giocare. Paciolla parte in quarta – è difficile stargli dietro all’inizio – e mantiene l’acceleratore a tavoletta fino alla fine, senza arrestarsi in pause o riflessioni. Un pensiero ne genera un altro, il collegamento è una semplice parola, il flusso di idee è continuo. E alla fine, in perfetto e piacevole accordo con il titolo, che lascia il dubbio se si debba tradurre con “io sono” o “io sogno”, ci si chiede se quello che racconta sia tutto vero o se sia il frutto di un’immaginazione straordinariamente creativa.

data di pubblicazione:02/03/2020


Il nostro voto:

IL GIARDINO DEI CILIEGI di Anton Čechov, regia di Alessandro Serra

IL GIARDINO DEI CILIEGI di Anton Čechov, regia di Alessandro Serra

(Teatro Argentina – Roma, 25 febbraio/8 marzo 2020)

Ljubov’ è di ritorno in Russia dalla Francia, dove ha vissuto cinque anni con la figlia Anja. Insieme al fratello Gaev è costretta a vendere la proprietà di famiglia, il giardino dei ciliegi. A comprarla sarà il ricco Lopachin che, con insensibile cinismo, abbatterà gli alberi e con essi i ricordi e il passato della famiglia.

 

Alessandro Serra torna sul palcoscenico del Teatro Argentina, dopo il successo ottenuto la scorsa stagione con Macbettu, con un adattamento originale del lavoro in quattro atti dell’ultimo Čechov, Il giardino dei ciliegi. Un vociare indistinto e caotico da inizio a quella che dal regista è stata vista come una partitura corale. Le voci si mischiano e dispiegano in un interminabile e lento valzer, in cui ognuno tiene il suo posto, danzando sulla scena seguendo precisi schemi geometrici. Il passato riemerge come da una nebbiosa palude come per brevi attimi, ma suoni, rumori, pianti, apparizioni impediscono al ricordo di palesarsi pienamente. La mente ha bisogno di distogliersi dal dolore di quello che non è più o che è in procinto di morire. Così tutto rimane come sfocato e opaco in un’apparente allegria. I contorni stessi delle immagini non sono mai definiti, resi ancora più evanescenti dai punti luce, spesso unici e deboli, che illuminano la scena. Ombre impalpabili si disegnano su uno spazio semi vuoto e sugli alti muri grigi che sovrastano la scena – le pareti della stanza dei bambini –, schiacciando inesorabilmente i personaggi sotto il peso di qualcosa di più grande di essi: le loro esistenze. Le pause nella recitazione scandiscono il ritmo dell’esecuzione. Sono momenti di vuoto dove è possibile mettersi in posa, come davanti a una macchina fotografica, per fissare inutilmente ciò che il tempo farà sparire per sempre. Come gli alberi di ciliegio, che ancora prima di essere abbattuti già non si vedono più. La posa dei personaggi è quella che si vede in un dagherrotipo d’epoca. La consapevolezza che l’unica copia di questa immagine è destinata a scomparire, fissa il pensiero in una pesante idea di morte e dimenticanza. Gli espedienti simbolici che stanno a significare questo lento e inesorabile sfaldamento si moltiplicano, confondendo talvolta la comprensione lineare del racconto, ma tutto si risolve comunque in una lettura unitaria e coerente. Il passato diventa un groviglio incomprensibile di cose accatastate, di mobili che si librano verso un altrove che non è definito, a mezz’aria tra quello che era e quello che non sarà mai. Tutto assume così la leggerezza insostanziale di un pensiero che muore con chi lo ha prodotto.

data di pubblicazione.28/02/2020


Il nostro voto:

ASPIDE. GOMORRA IN VENETO di Tommaso Fermariello, con Gioia D’Angelo e Martina Testa

ASPIDE. GOMORRA IN VENETO di Tommaso Fermariello, con Gioia D’Angelo e Martina Testa

(Teatro Porta Portese – Roma, 24/25 febbraio 2020)

Patrocinato dall’Associazione Libera contro le mafie, la compagnia Archipelagos Teatro mette in scena uno spettacolo di denuncia, ricostruendo la vicenda che ha visto vittime della società finanziaria Aspide srl circa 130 imprenditori nel Nordest dell’Italia tra il 2009 e il 2011.

  

Terminato lo spettacolo, appena ci si alza dalla poltrona, si ha ancora addosso una strana tensione, una specie di dolore addominale e una domanda che interroga la coscienza: che parte potrei avere in tutto questo?

Partiamo dai fatti a cui si ispira il racconto drammaturgico di Tommaso Fermariello. Circa nove anni fa venivano condannati a processo alcuni esponenti di una società finanziaria, la Aspide srl che, con lo scopo di andare incontro con prestiti di denaro a imprenditori in difficoltà, in realtà estorceva denaro da questi, imponendo tassi di interesse insolvibili per le vittime. Più tardi si scoprirà che i membri della società, al cui vertice c’è un certo Mario Crisci, sono affiliati al clan dei Casalesi di Casal di Principe. Lo stile della banda è semplice: un avviso sui giornali attira il cliente con il quale successivamente si stipula l’accordo; si aspetta che questi diventi insolvente – passaggio obbligato per tutti vista la percentuale di interesse richiesta – e quindi si passa all’intimidazione. Pestaggi a sangue, minacce, pistole puntate alla testa. Per molti la soluzione per uscire da questa gabbia è il suicidio, Aspide è un cancro. Solamente tre imprenditori trovano il coraggio di rivolgersi allo Stato. Tra questi c’è Rocco Ruotolo, al quale la morsa distruttiva e omicida di Aspide sta togliendo tutto. Ma la collaborazione non è semplice e necessita di tempo: dopo tutto il codice penale la parola paura non la comprende, questo è il mantra.

Una giornalista (Gioia D’Angelo), che finora si è occupata di calcio, viene invitata a scrivere un pezzo su questo fatto di cronaca locale. Sarà lei a informarci dei fatti in modo dettagliato, anche attraverso la lettura di estratti degli atti del processo. Rosalina (Martina Testa) è la moglie del testimone di giustizia Rocco Ruotolo. Il racconto in prima persona della donna fa da contrappunto alla narrazione dei fatti della giornalista. In perfetta sinergia le due attrici ricostruiscono una storia complessa, giocando di rimpallo pur senza mai dialogare. È la sottile architettura di questa drammaturgia: raccontare con emozione e trasporto fatti crudi e difficili, senza omissioni o allusioni di artistica maniera, rimanendo teatrali ovvero rappresentando con estremo realismo quanto di assurdo e incredibile può accadere nel mondo che ci sta intorno denunciandolo a un pubblico attento e sensibile. Lo spettacolo, semplice nella scena – bastano un tavolo dove accatastare documenti, una lavagna dove appuntare i nomi degli imputati e una sedia per i testimoni – racconta con precisione e chiarezza questa triste e dolorosa storia. Un atto da premiare con attenzione e divulgare quanto possibile, merito di un fare teatro che non si ferma davanti alla paura, che fa da contrasto con la sola denuncia ai tratti malati di una società come la nostra.

data di pubblicazione:27/02/2020


Il nostro voto:

LA TECA – SATELLITE OF LOVE di Anne-Riitta Ciccone, regia di Lorenzo d’Amico De Carvalho

LA TECA – SATELLITE OF LOVE di Anne-Riitta Ciccone, regia di Lorenzo d’Amico De Carvalho

(OFF/OFF Theatre – Roma, 21/23 febbraio 2020)

Tre anni di convivenza, due personaggi in una relazione tossica che gira intorno a sé stessa e un regalo a sancirne la malsana dipendenza. Una storia dal finale felice, almeno per uno dei due protagonisti.

 

Che sia una relazione tre due donne, un uomo e una donna o due uomini, l’assunto che sta alla base dei dinamismi pericolosi che intercorrono nella coppia portata in scena dal duo artistico De Carvalho/Ciccone, non cambia. È per questo che ogni sera si danno il cambio sulla scena i quattro giovani attori – due donne e due uomini – protagonisti di questo esperimento. La pièce però prevede solo due personaggi, per cui sarà impossibile vederli recitare tutti insieme in un unico spettacolo. Se da un lato questa rimane un’idea originale, dall’altro partecipare a una sola replica ci fa perdere il senso dello spettacolo intero. La teoria che si vuole assumere, infatti, prevede che la verità espressa, solida come una formula matematica, sia dimostrabile per tutte le coppie di amanti, aldilà del loro assortimento e del genere di appartenenza. I due amanti che vediamo sul palco non a caso sono chiamati Uno e Due, proprio a sottolineare questa universalità. L’equilibrio della relazione è dato fin da subito: Due è la parte debole della coppia, totalmente asservito a Uno, che comanda e determina ogni cosa all’interno di un appartamento claustrofobico dove vivono insieme. Uno è la classica persona affetta da un narcisismo patologico e tende a fagocitare tutto ciò che le sta intorno. Due è la vittima di Uno. È lei a regalare, o meglio a relegare Uno in una teca trasparente, simbolo di totale devozione e asservimento all’amante, che va così protetto e venerato. I due roteano intorno a questa situazione per tutta il tempo della loro relazione. Il centro gravitazionale intorno al quale roteano come due pianeti si sposta ora su un divano, ora sul letto, ma nulla sembra muoversi poi così tanto. Non c’è progressione o sviluppo psicologico per i personaggi, se non alla fine quando Due decide di riscattarsi dalla situazione fagocitante nella quale Uno l’aveva stretta. Ma sembra solo un passaggio per giustificare il genere a cui questo pezzo di teatro appartiene: la commedia.

Buona invece la prova delle due attrici, Giorgia Spinelli (Uno) e Maria Vittoria Casarotti Todeschini (Due), alle prese con un testo e una scrittura per nulla facili da portare avanti per 90 minuti, tanto è la durata dello spettacolo. In particolare la Casarotti Todeschini si è distinta per un particolare realismo che ha saputo dare al suo personaggio, sapientemente modellato nel suo lento eclissarsi rispetto alla tortura inferta a lei da Uno.

Siamo un po’ lontani dal successo ottenuto dalla coppia artistica la precedente stagione con La pacchia è finita, ma il teatro è a volte anche un rischio che bisogna fronteggiare con volontà e determinazione e, perché no, con un pizzico di fortuna.

data di pubblicazione:24/02/2020


Il nostro voto: