da Paolo Talone | Ott 25, 2021
(Teatro Belli – Roma, 25/27 ottobre 2021)
L’evoluzione di una coppia smarrita nel dolore dei propri ricordi. Un incidente da ripensare, esorcizzare in un gioco perverso e incomprensibile. Il dramma di Stu e Abby di Anthony Neilson sul palco del Belli per il secondo appuntamento di Trend – Nuove frontiere della scena Britannica – a cura di Rodolfo di Giammarco.
L’idillio iniziale mostrato da Stu e Abby, felici sotto le lenzuola, è interrotto bruscamente da una litigata, che avviene senza un motivo apparente. Dappertutto intorno a loro ci sono bottiglie di alcool e bicchieri di ogni forma. Siamo nella loro casa, siamo nella loro intimità. Momenti di complicità e tenerezza si alternano a bruschi scambi di opinioni e rinfacci. E poi un gioco perverso che li vede recitare la parte del cliente e della puttana, forse per distaccarsi dai propri sentimenti, forse per trovarsi estranei e dirsi che tra loro non c’è mai stato niente, non è stato mai costruito niente. Non capiamo molto, dobbiamo arrivare fino in fondo. È questo lo stitching – la cucitura delle parti – che dobbiamo fare nella nostra mente per recuperare l’immagine totale di questo dramma scioccante e imprevedibile scritto da Anthony Neilson. L’autore racconta questa storia come se tenesse tra le mani un cristallo prezioso e fragilissimo, che scaraventa a terra con la forza violenta del suo linguaggio esplicito e aggressivo. Il filo temporale del racconto si frantuma in mille pezzi, che la coppia Stu/Abby tenta di rimettere insieme attraverso i ricordi. Ma per quanto possano impegnarsi a ricostruire non riusciranno a recuperare un’immagine nitida e chiara di quello che erano prima del dramma. E il dramma sta nell’aver perso Daniel, il figlio che hanno voluto, che hanno cercato, che li ha mandati prima in crisi e poi li ha fatti ritrovare, il figlio che hanno deciso di tenere nonostante le paure.
Come regista, Alessandro Federico cuce uno spettacolo comprensibile nella sua complessità, conferendo alle luci uno straordinario potere narrativo e ritmico. Sul palcoscenico, come attore, funziona in coppia con Valentina Virando. I due attori non smettono di guardarsi negli occhi, di attendersi, di sfidarsi, di riprendersi e darsi il tempo. Uno spettacolo intenso che fonda nella struttura narrativa la sua potenza teatrale.
data di pubblicazione: 25/11/2021
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Ott 23, 2021
(Teatro Belli – Roma, 22/24 ottobre 2021)
Il teatro può essere lo specchio di tanti tragici fenomeni che incombono sull’esistenza. Possono essere di carattere sociale, lavorativo, di genere. Questo il tema scelto per l’edizione numero venti di Trend a cura di Rodolfo Di Giammarco. 14 lavori tratti dalla drammaturgia contemporanea inglese portati in scena da eccellenti artisti del panorama italiano.
Il reading portato sul palco del Teatro Belli di Trastevere da Giacomo Bisordi per la serata inaugurale della ventesima edizione di Trend non ha nulla della staticità di un copione letto al leggio. I cinque attori protagonisti di Beyond caring, Massimiliano Aceti, Caterina Carpio, Eny Cassia Corvo, Elisabetta Mandalari e Francesco Russo, hanno praticamente mandato il testo a memoria. Questo concede movimento a una scena nuda, che fa un uso scenografico dello scheletro del palco, così come appare senza quinte e fondale. Oggetti di scena un tavolo e qualche sedia. Quello che occorre alla rappresentazione lo fa la simulazione mimica degli attori e l’immaginazione dello spettatore.
Siamo nel locale di carico e scarico di un’azienda che lavora la carne. Fatu, Debby e Susanna lavorano come addette alla pulizia, assunte da poco tramite agenzia interinale. Il luogo dove si trovano serve anche da stanza per la pausa caffè, con una macchina per le bibite che funziona male e ruba quei pochi centesimi che hanno in tasca. Ognuna di loro ha alle spalle una situazione economica difficile. Accettare questo lavoro precario, dove i pochi giorni di attività sono divisi in turni notturni massacranti, i minuti di riposo sono contati e le ferie non sono concesse, è l’unico compromesso che hanno per potersi mantenere. La direzione del lavoro è affidata a Lorenzo, un cinico caposquadra che conosce solo il comando e la pressione di raggiungere l’obiettivo imposto nel mansionario. Ha un atteggiamento dispotico con le donne, che causa competizione e provoca continue umiliazioni. Ai richiami per il basso rendimento si sommano inutili questionari di soddisfazione, autovalutazione e riunioni di squadra. In azienda lavora già Maurizio, un uomo di 35 anni che gode la fortuna di avere una situazione contrattuale favorevole: un tempo indeterminato.
Nel titolo di questa pièce è indicato il senso della storia. Letteralmente beyond caring indica una persona che non è più in grado – per incapacità o mancanza di voglia – di prendersi cura di qualcosa o qualcuno, che non vuole dedicare il suo tempo a risolvere un problema che affligge qualcun altro. È così che Lorenzo ha attenzione solo per il lavoro e non per il lavoratore, Debby non può vedere la figlia il fine settimana perché non le sono concesse le ferie e Fatu deve sopportare il dolore che le causa la sua artrite. Questa è la condizione in cui si trovano tanti lavoratori oggi, in un momento storico che sembra aver dimenticato le lotte sindacali di un tempo. Un periodo in cui valgono l’efficienza e la produttività, a scapito della reale condizione dell’individuo la cui vera vita, fatta di affetti mantenuti e curati attraverso lo schermo di un telefonino, si svolge altrove. Ottima prova d’attore per i giovani artisti de La fabbrica dell’attore del Teatro Vascello, in scena fino a domenica.
data di pubblicazione:23/10/2021
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Ott 22, 2021
(Teatro Quirino – Roma, 12/14 ottobre 2021)
Un filo sottile tessuto dal tempo lega insieme la storia di tre donne apparentemente lontane. Piccoli tasselli di un quadro più grande che ha per cornice i due conflitti mondiali. Tutte e tre si chiamano Letizia e in comune hanno anche un destino.
Diciamolo senza retorica: Agnese Fallongo è un’artista interessante da seguire con attenzione! Brava sulla scena e nella scrittura. Un talento eccellente, caleidoscopico, entusiasta, a cui si affianca sul palco un’ottima spalla, Tiziano Caputo, attore cantante e musicista. Diretti da Adriano Evangelisti, insieme dànno vita a uno spettacolo ricco di emozione, divertente e profondo, fatto di personaggi veri e buona musica.
Quando l’Italia entra in guerra il 24 maggio del 1915, Michele lascia la Sicilia per andare a combattere in Friuli, una terra lontana e sconosciuta, dove non arrivano le lettere che Letizia gli spedisce di frequente. Si erano sposati poco prima della sua partenza. La guerra, si sa, divide le anime che si amano. Letizia cerca di raggiungerlo, ma non riuscirà a riabbracciarlo. Morirà colpita da una pallottola vagante mentre offre il suo servizio di volontaria al fronte e il suo fantasma rimarrà intrappolato per sempre nella memoria di chi le ha voluto bene. Di lei si vede ormai solo una foto sbiadita in una cornice di mogano sul comò dei ricordi.
Altra data, altro conflitto: 21 giugno 1940, Seconda guerra mondiale. Proprio quel giorno Lina compie 21 anni. È cresciuta in un orfanotrofio di Latina sotto le cure amorevoli di suor Letizia. Improvvisamente irrompe nella sua vita una vecchia zia di Roma, che le offre un lavoro in città. Lina si trasferisce e scopre che dovrà prendere servizio da Sora Gemma, una casa per appuntamenti a via Mario de’ Fiori. Per sole 15 lire e 65 centesimi la ragazza perderà innocenza e nome. Lina diventerà la sensuale Letizia.
Felice Pirrone, detto il biondino, è uno dei clienti più affezionati di Letizia. Tra i due nasce un sincero amore e così orchestrano di fuggire insieme. L’appuntamento è fissato alla stazione Termini, ma Letizia non si presenterà. La sifilide arriva prima e rovina tutti i piani. Per una serie sfortunata di fatti Felice scoprirà solo quattrodici anni più tardi cosa accadde il giorno della partenza, e sarà l’incontro con suor Letizia, ormai anziana, a chiarire la vicenda. È lei a svelare il prezioso legame che teneva strette in un unico destino le tre donne.
Letizia va alla guerra è uno spettacolo che basa la sua forza su un racconto vero e credibile, portato in scena da due interpreti che cantano, recitano e suonano con grande bravura. Perfetta è la sintonia che hanno sul palco, soprattutto nei tempi comici. Agnese Fallongo propone un teatro fatto con passione, consapevolezza e mestiere, meritevole di essere sostenuto e applaudito.
data di pubblicazione:22/10/2021
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Ott 18, 2021
(Teatro di Villa Torlonia – Roma, 9 ottobre 2021)
Un evento unico immerso in uno scenario suggestivo. Un omaggio all’arte, nelle forme del teatro della musica e della moda. La figura della donna al centro, con i suoi desideri, le sue frustrazioni, i suoi progetti: Anna Cappelli di Annibale Ruccello dialoga con i Baustelle negli splendidi abiti confezionati da Italo Marseglia.
Anna Cappelli preferisce il profumo della pancetta fritta alla fastidiosa puzza di pesce bollito che cucina la signora Rosa Tavernini, in casa della quale ha preso una stanza in affitto. A dire il vero non sopporta neanche i gatti della signora e il fatto che i genitori abbiano dato il suo letto alla sorella Giuliana dopo che è andata via di casa. L’indipendenza però vale di più e il futuro è una pagina bianca ancora da scrivere. È determinata a ottenere la felicità che desidera. Così quando incontra Tonino, un ragioniere scapolo che abita in un appartamento di proprietà con dodici stanze, cede all’invito di andare a convivere. Certo, il fatto che l’uomo non voglia né matrimonio né figli è un problema per lei, ma non si scoraggia. Sa che l’ostinazione la porterà a realizzare i progetti che le stanno a cuore. Tuttavia i pregiudizi della gente non sono facili da affrontare. Specialmente quelli dell’anziana cameriera che vive in casa di Tonino da sempre: licenziarla sarebbe la soluzione e così avviene. Anna ha finalmente tutto in mano e non vuole perderlo per nessun motivo. L’aggettivo possessivo “mio” è la parola che ricorre più spesso nel testo. Bianca Nappi, che nella performance dà voce e corpo alla protagonista, lo calca con forza e vigore. La sua interpretazione restituisce i tratti di una donna semplice, popolana ma allo stesso tempo emancipata e volitiva, per nulla capricciosa. Dialoga sul palco con un Tonino impassibile e silenzioso, l’attore e modello Vincenzo Iantorno. Attorno a lei si muovono figure imbrigliate in lacci neri di gros-grain a contrasto con abiti bianchi che ricordano camicie di forza. Raccontano la pazzia nella quale è costretta Anna e sono preludio del gesto folle che commetterà alla fine. Le figure intorno a lei danzano le coreografie ideate da Laura Talluri, amplificando i movimenti della sua mente e moltiplicando l’immagine di una donna ricca di sfumature e carattere come è nell’interpretazione del regista. I brani della band toscana dei Baustelle, che cavalcano sonorità elettroniche pop-rock, danno ritmo ai passi delle modelle e dei modelli che sfilano sul palco, mentre i testi delle loro canzoni aggiungono senso al racconto. Le voci di Francesco Bianconi e Rachele Bastreghi fanno eco a Anna e Tonino.
La performance ideata da Rossano Giuppa – storica firma del nostro sito Accreditati.it – ha il merito di cucire insieme espressioni artistiche di diversa natura e destinazione, creando un lavoro nel suo insieme coerente e armonico. Trova il modo di far dialogare le sue passioni in uno spazio incantevole come è il Teatro Torlonia, con la sua scena ottocentesca dipinta a drappi rossi e nicchie abitate da allegorie. Manca una vera e propria passerella da sfilata, ma il regista risolve proponendo un prologo appena dietro il teatro, nella struttura a vetri che si affaccia sul parco romano. Uno scenario suggestivo che lascia apprezzare da vicino le creazioni di Italo Marseglia. Il bianco e il nero è la cifra dello stilista, che sottolinea la caparbietà di Anna Cappelli nell’essere estrema nelle sue scelte. O si ottiene tutto dalla vita o, se non si può, meglio distruggerlo. Tonino licenzia Anna con lo stesso cinismo con cui ha mandato via la vecchia cameriera. Ha accettato un nuovo incarico lontano da dove vivono e non vuole che la sua compagna lo segua, costringendola a cercare vendetta per l’abbandono subìto. Nell’atto finale decide di vestire il nero della morte, tutto precipita e le si sgretola intorno. Uccide Tonino facendolo a pezzi che poi mangerà, come a inglobare definitivamente l’amante e a farlo suo definitivamente, con un gesto di possessione totale. L’amore è violenza, come cantano i Baustelle. La vita è tragica però è bellissima e vale viverla fino in fondo nei suoi contrasti di gioia e tormento.
data di pubblicazione:18/10/2021
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Ott 1, 2021
(Teatro Quirino – Roma, 24 settembre/3 ottobre 2021)
Il Teatro Quirino riapre le porte al pubblico con un prologo di 8 spettacoli in attesa della nuova stagione che riprenderà a novembre. Lorenzo Gleijeses è Gregorio Samsa, un artista della danza tormentato nella ricerca della perfezione, incastrato nelle sue più nascoste ossessioni.
Frutto di un complesso lavoro iniziato diversi anni fa a Hostelbro in Danimarca, lo spettacolo di Lorenzo Gleijeses e Mirto Baliani – entrambi figli d’arte – è cresciuto giovando del contributo creativo dei due massimi rappresentanti dell’Odin Teatret, Julia Varley e Eugenio Barba, quest’ultimo alla sua prima regia fuori dalla celebre compagnia da lui fondata.
Gregorio Samsa, il cui nome richiama chiaramente il personaggio della Metaforfosi di Kafka, è un danzatore di quarant’anni impegnato nelle prove di uno spettacolo che a breve avrà il suo debutto. Trascorre le giornate ripetendo instancabilmente i movimenti che daranno vita a una danza delirante di cui è il protagonista. Isolato volontariamente nel suo mondo creativo, interagisce con oggetti elettronici e suoni provenienti dall’esterno. Le voci che popolano la sua solitudine sono quelle del regista/maestro che lo guida nella fase creativa, del padre anche lui artista che lo spinge a mostrare i risultati, della fidanzata stanca di essere trattata con distacco e della psicologa a cui si rivolge per continuare la terapia di ricerca e conoscenza che lo assilla. Il confronto tra il mondo interiore del personaggio e questi interventi che piombano sulla scena dall’esterno, nella forma della voce fuoricampo, permette di fare chiarezza sull’idea che è alla base del lavoro. Ma anche le coordinate di spazio e tempo sono necessarie per comprendere la vicenda. Il pubblico viene fatto accomodare sul palcoscenico a pochi passi dal luogo dell’azione del performer. Questa condivisione dello spazio genera una trasmissione di energia che altrimenti sarebbe impossibile stando in platea. Le tavole del palco vibrano sotto i passi della danza e trasmettono quella sensazione di delirio e ossessione nella quale è incastrato il protagonista. La luce palpabile e emozionale di Mirto Baliani fa il resto. Ma lo spazio è anche mentale, il luogo dell’intimità dell’artista, sacrificato allo sguardo invasivo dello spettatore. Il tempo invece pare restringersi e allargarsi tra il ritmo serrato con cui Lorenzo Gleijeses ripete gli infiniti passi della sua danza e una quotidianità sempre uguale che non ha uno scopo se non l’infinito e l’irraggiungibile.
Lorenzo Gleijeses è pura energia pulsante, vitalità e tormento. Questo spettacolo è una prova di resistenza incredibile che richiede un immenso sforzo sia mentale che fisico, ma anche capacità di dialogo con la materia sonora e luminosa di cui è composto. Un ottimo lavoro per ricominciare una stagione, per riprendersi lo spazio dell’arte e del teatro.
data di pubblicazione:01/10/2021
Il nostro voto:
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