ADOLF PRIMA DI HITLER di Antonio Mocciola, regia di Diego Sommaripa, con Vincenzo Coppola, Francesco Barra e Chiara Cavalieri

ADOLF PRIMA DI HITLER di Antonio Mocciola, regia di Diego Sommaripa, con Vincenzo Coppola, Francesco Barra e Chiara Cavalieri

(Teatro Lo Spazio – Roma, 3/6 marzo 2022)

In scena al teatro Lo Spazio un lavoro che punta lo sguardo su un giovane Hitler, sulla sua follia annunciata. Gli occhi che lo osservano sono quelli dell’amico Gustav e quelli della signora Zakreys, la padrona della stanza dove i due sono in affitto. Una fredda analisi del dittatore che cambiò tragicamente il mondo, che ancora oggi lascia muti e sconcertati.

  

Purtroppo è una storia vera quella raccontata da Antonio Mocciola, al debutto romano con Adolf prima di Hitler, tratta dal romanzo biografico di Gustav Kubizek Il giovane Hitler che conobbi. Il racconto si concentra sul periodo in cui Hitler non era ancora diventato il dittatore che conosciamo, sugli anni della giovinezza e della formazione. Gustav Kubizek (Francesco Barra) è uno spettatore inerme e inconsapevole del delirio di potere che lentamente fa breccia nell’animo dell’amico. Ha le idee chiare sul suo futuro (si affermerà come direttore d’orchestra) ma sarà anche il testimone che racconterà la genesi di un personaggio dai tratti diabolici e inquietanti, ambigui e contraddittori di cui è anche preda e cavia. La sua attenzione è puntata con apprensione su Adolf Hitler, interpretato da Vincenzo Coppola, la cui fisicità definisce in maniera impressionante il racconto.

Adolf appare infatti come un ragazzo dalla corporatura minuta e dalla salute cagionevole, ossessionato dai suoi stessi incubi. A nulla servono i tentativi di Gustav di lenire i tormenti dell’amico. Egli odia prima di tutto sé stesso. Nel gioco di sguardi che il testo più volte fa emergere, i suoi occhi sono puntati sul vuoto contenuto in una cornice sospesa sulla scena. La regia di Diego Sommaripa si sposa perfettamente al testo. Lungi dall’essere un foglio bianco sul quale tracciare opere di bellezza, quello spazio nero incorniciato nel nulla diventa la proiezione di una mente oscurata dall’odio, dalla frustrazione, nel quale si riversano gli ideali di illusoria perfezione che tormentano un uomo già da subito spietato, rude e sadicamente dominante. Vuole piegare la società alla sua perversa visione e per questo è ossessionato dal voler capire. Riprogetta ponti e strade per un ipotetico Reich, frequenta i luoghi di aggregazione delle persone per intercettarne i disagi. Osserva da fuori i palazzi del potere politico con il desiderio di impadronirsene, e quelli religiosi, come la sinagoga e le chiese, con il desiderio di distruggerli.

Tuttavia, è la stessa società in cui vive a nutrirlo. Ne è espressione un altro personaggio, la signora Zakreys (Chiara Cavalieri), l’affittuaria che non vuole ebrei nella sua casa, troppo tardi pentita di non aver saputo aiutare Gustav a fermare la follia di Adolf. La stanza che i due amici hanno affittato nell’appartamento della signora è il contenitore di una bomba destinata a esplodere. L’azione sembra ferma, si limita alla descrizione di ricordi che tornano alla mente, ma allo stesso tempo si avverte la pressione di un’esistenza avvelenata pronta a incendiare tutto con il suo rancore. Il peso della coscienza che tormentata Adolf è perfino visibile nel suo corpo, esplicitamente nudo sulla scena, gravato dalla sua stessa persona.

Il racconto di Antonio Mocciola lascia sgomenti e sconcertati, soprattutto perché certi avvenimenti si sarebbero potuti evitare se solo un gesto coraggioso o una parola avessero potuto impedire lo scatenarsi della pazzia di un simile individuo. E lo sconcerto si amplifica se si guarda quello che sta accadendo in questi giorni ai confini dell’Europa, dove qualcuno sta riportando il mondo ottant’anni indietro, fatalmente vicino al momento della nostra narrazione.

data di pubblicazione:05/03/2022


Il nostro voto:

LO ZOO DI VETRO di Tennessee Williams, regia di Leonardo Lidi, con Tindaro Granata, Anahì Traversi, Mariangela Granelli e Lorenzo Bartoli, scene di Nicolas Bovey

LO ZOO DI VETRO di Tennessee Williams, regia di Leonardo Lidi, con Tindaro Granata, Anahì Traversi, Mariangela Granelli e Lorenzo Bartoli, scene di Nicolas Bovey

(Teatro Vascello – Roma, 22/27 febbraio 2022)

Leonardo Lidi interpreta Lo zoo di vetro di Tennessee Williams usando la metafora come principale strumento di comunicazione e ponte per l’immaginazione. La famiglia Wingfield è una compagnia di clown che fa esercizi su una pista di sconvolgente tenerezza.

 

Chi ha mai affrontato un trasloco sa che per trasportare oggetti fragili è necessario fare molta attenzione. Se poi sono fatti di vetro il lavoro è ancora più delicato. Sarà per questo che la scena di Nicolas Bovey è cosparsa interamente di morbidi fiocchi di polistirolo, per attutire almeno un poco quello che vi cade sopra: corpi esistenze e alla fine l’intera casa della famiglia Wingfield, una grossa scatola di cartone rosa. È il contenitore nel quale Tom, il personaggio che narra la storia, chiude i suoi ricordi. Sua madre Amanda (Mariangela Granelli) è una sposa abbandonata dal marito tanto tempo prima. Cammina in equilibrio sulla vita, attenta a non inciampare con le sue lunghe scarpe da pagliaccio, nel tentativo di tracciare una strada sicura dove far passare i suoi due figli, in un contesto sociale impoverito di un’America in piena depressione. Il sorriso di questa madre dalla corporatura robusta, e quindi goffa e impacciata – i costumi sono di Aurora Damanti –, non va mai via dalle sue labbra. Il merito però è del trucco che maschera all’esterno la fatica e la preoccupazione per una vita precaria che non regala nulla. Tom (Tindaro Granata) è il figlio minore, costretto a prendere sulle spalle la responsabilità della famiglia. Svolge con fatica un lavoro che non è il suo e va tutte le sere al cinematografo per nutrire la sua anima di sognatore. La sua volontà lo porterebbe altrove, lontano, magari anche sulla luna, a cui guarda nascosto nei panni di un malinconico Pierrot. È preoccupato per la sorella Laura (Anahì Traversi) che la zoppia a una gamba ha reso fragile e insicura. Nell’immaginazione del regista il personaggio diventa un mimo dalle movenze leggere, capace di comunicare con sottile dolcezza la sua paura per la vita. Serve un matrimonio per garantire un futuro sereno alla ragazza e così viene invitato a cena Jim (Lorenzo Bartoli), un collega amico di Tom, che però si rivelerà una delusione. Il ragazzo infatti è già promesso a un’altra donna. È l’unico personaggio a non vestire i panni dell’immaginazione, ma quelli della cruda e sterile realtà.

La regia del talentuoso e giovane Leonardo Lidi (classe 1988) rompe il rigido schema imposto dal realismo e si avventura verso un’interpretazione che tiene conto dell’aspetto sentimentale, che fa appello alla memoria e ai ricordi che questa riesce a tenere. “Il dramma è sentimentale, non realistico”, sottolinea più volte Tom con crescente intensità all’inizio della recita. E dal testo pesca il lato grottesco, amplificandolo non solo nelle gag messe su dal gruppo di clown, ma anche dalla proiezione tra un atto e l’altro del cortometraggio disneyano The haunted house, dove Topolino è protagonista di disavventure in una casa infestata da fantasmi. Il risultato è un lavoro che arriva a mostrare con struggente poesia la malinconica verità che si nasconde dietro le buffe maschere che a volte mettiamo per nascondere la fragilità di animali di vetro, che si sbeccano anche solo se qualcuno li guarda.

data di pubblicazione:1/03/2022


Il nostro voto:

SERVO DI SCENA di Ronald Harwood, con Geppy Gleijeses, Maurizio Micheli e Lucia Poli, traduzione di Masolino D’Amico, regia di Guglielmo Ferro

SERVO DI SCENA di Ronald Harwood, con Geppy Gleijeses, Maurizio Micheli e Lucia Poli, traduzione di Masolino D’Amico, regia di Guglielmo Ferro

(Teatro Quirino – Roma, 8/20 febbraio 2022)

Un omaggio a Turi Ferro e al mestiere del teatrante. Il ritorno sulla scena di Geppy Gleijeses dopo il blocco dovuto alla pandemia. Servo di scena di Ronald Harwood per la regia di Guglielmo Ferro è una festa per chi ama il teatro e del teatro ha fatto la sua ragione di vita.

  

È prima di tutto una celebrazione dell’amicizia per chi il teatro lo fa di mestiere il Servo di scena che vede protagonisti Maurizio Micheli, Lucia Poli e Geppy Gleijeses, che torna a recitare nel teatro da lui diretto, ora che finalmente i decreti per le riaperture lo permettono. Lo spettacolo era pronto da diverso tempo, ne sono testimonianza le foto di Tommaso Le Pera pubblicate nel bellissimo volume edito da Manfredi che raccoglie le testimonianze visive dei lavori teatrali di Geppy Gleijeses. Sarebbe dovuto andare in scena già un anno fa, in occasione del centenario della nascita di Turi Ferro che, diretto proprio dal figlio Guglielmo, diede vita alla sua versione di sir Ronald, il protagonista della storia, nel 1993. Ma l’occasione rende omaggio anche a chi, nonostante le circostanze di un mondo a pezzi per una guerra o per una pandemia, non può fare a meno di esprimersi nell’arte della recitazione e di incontrare il pubblico dal vivo in quella relazione che è possibile solo a teatro.

Sir Ronald fa il suo ingresso in scena aggrappato alla pesante tenda del sipario, in un atteggiamento confuso di timore e insicurezza. La scena appare appena abbozzata e caotica, ma è il disordine che vive dietro le quinte di un palcoscenico, con i suoi strumenti di meraviglia, le macchine per riprodurre furenti tempeste, corde, praticabili e costumi. Il camerino di Sir Ronald è in primo piano. La recita in programma stasera è il Re Lear di Shakespeare, ma la crisi di nervi del primo attore mette in dubbio che si possa andare in scena. Tutto intorno si sentono gli ululati delle sirene che intimano di mettersi al riparo e gli scoppi delle bombe che precipitano in una Londra presa di mira dall’offensiva tedesca. Siamo nel 1942, in piena Seconda guerra mondiale. La compagnia degli attori è decimata tra chi è partito per il fronte e chi è stato arrestato. Meglio rimandare lo spettacolo allora piuttosto che andare in scena con i brandelli di una compagnia rimediata. Lo dice Milady, la compagna ormai avanti con l’età di Sir, un’incantevole e raffinata Lucia Poli, e lo sottolinea ancora più forte Madge, l’algida e volubile direttrice di scena interpretata da Roberta Lucca. La preoccupazione che lo spettacolo si riveli un fiasco è molta. Sir Ronald non è nelle condizioni giuste per affrontare una parte della quale ha perfino dimenticato le battute iniziali. Ma una soluzione esiste e si chiama Norman, colui che di mestiere fa il servo di scena appunto, ruolo affidato a un attore dall’innata vis comica e da eccellenti doti di umiltà e improvvisazione come Maurizio Micheli. Una sorta di angelo custode che conosce ogni movimento, ogni battuta, che sa prendere per il verso giusto il suo padrone capriccioso, poiché vive in simbiosi con lui da molti anni. E sa anche gestire gli umori e il nervosismo della compagnia fino a trovare la soluzione a ogni problema. Il Re Lear va in scena e la recita si conclude con successo tra gli applausi di chi, a dispetto delle bombe, è rimasto a teatro a suo rischio e pericolo.

E arriva il momento dei ringraziamenti. Poco dopo la recita e prima di addormentarsi per sempre sulla poltrona, Sir Ronald mostra a Norman il suo quaderno di appunti che dovrebbe contenere il racconto della sua vita di grande artista. Tra tutti i ruoli e le persone citate, artisti colleghi, maestranti di ogni ordine e grado, manca però un ringraziamento a Norman, che protesta e aggiunge di suo pugno una dedica a sé stesso. Il resto della biografia non è scritto perché forse la memoria delle gesta di un attore le scrive il palcoscenico. Un omaggio anche questo a chi, tra mille peripezie e impedimenti, continua a credere e a professare l’amore per un’arte che tra tutte è la più viva e capace di appassionare nella stessa misura e nello stesso momento chi la pratica e chi la guarda.

data di pubblicazione:15/02/2022


Il nostro voto:

UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO di Tennesse Williams, regia e scene di Pier Luigi Pizzi, traduzione di Masolino D’Amico, con Mariangela D’Abbraccio e Daniele Pecci

UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO di Tennesse Williams, regia e scene di Pier Luigi Pizzi, traduzione di Masolino D’Amico, con Mariangela D’Abbraccio e Daniele Pecci

(Teatro Quirino – Roma, 1/6 febbraio 2022)

Atteso recupero di stagione per il capolavoro del drammaturgo americano Tennesse Williams. Un tram che si chiama desiderio racconta il lento tramonto a cui si avvicina Blanche, erede di una ricca proprietà ormai andata perduta. Un giorno bussa alla porta della sorella Stella, che nel frattempo si è fatta una vita sposando Stanley, un americano di origini polacche.

 

I toni grigi e la rigida geometria della scena mettono tutti d’accordo. Il grigio è il colore del cattivo umore, delle giornate tristi e delle ombre che per metafora cadono sul fallimento di un sogno. Grigia è l’esistenza che Stella ha scelto di vivere al fianco di Stanley Kowalski, un semplice operaio dal fisico robusto ma sessualmente attraente, dai modi bruti e prepotenti. Per estensione anche gli amici della coppia, Eunice e Steve, che abitano al piano di sopra del modesto appartamento di due camere, somigliano a loro, segnale di una realtà sociale condivisa e lontana dall’ideale perso che ancora affascina Blanche. L’esistenza di quest’ultima invece si può a buon diritto definire ingrigita. Da una parte è costantemente nostalgica, nei modi e nei ricordi fino al suo modo di parlare, della bellezza di un passato – vissuto nella tenuta di Belle Reve – che ormai non esiste più; dall’altra è ormai avanti con l’età, invecchiata negli sbagli e divorata dai sensi di colpa. Sua è infatti la responsabilità della morte del marito, suicidatosi dopo il rifiuto della moglie che aveva appena saputo della sua omosessualità; sua la colpa di essersi fatta cacciare dalla scuola dove insegnava per aver avuto relazioni illecite con i suoi studenti. Per questo motivo arriva a casa della sorella per chiedere ospitalità. È qui che si scontra con la durezza e il machismo di un cognato, cresciuto con altre regole. Dopotutto l’ambientazione del racconto si svolge in un paese appena uscito dall’ultimo grande conflitto mondiale. Stan è infatti un reduce della guerra, indossa ancora la piastrina metallica al collo e gli scarponi militari, che non manca di appoggiare sul letto apprestato per la povera Blanche. Daniele Pecci (Stan), petto in fuori e testa china in avanti come per ruggire e a dire chi è che comanda, conferisce al personaggio proprio quella brutale animalità che lo porterà a vincere su Blanche. L’unica che può tenergli testa – almeno in questa versione – è la moglie. Lungi dall’essere remissiva, la Stella di Giorgia Salari combatte e affronta il marito con grinta e rabbia. Non è affatto una donna sottomessa, come ci aspettavamo che fosse, e non perdona al marito la sua crudeltà. La Blanche di Mariangela D’Abbraccio si distingue in tutto da questa nuova società nella quale, nolente, si imbatte. Il suo è un modo di parlare – e di recitare – che ha un sapore antico. A lei non piace questa realtà, lo dice, e allora non le rimane che fare la parte della donna che nonostante tutto si sforza di accettare il cambiamento. Sembra innaturale il suo modo di parlare, che marca con forza le sillabe accentate delle parole, ma è in qualche modo conforme al suo personaggio in bilico tra l’isterismo e la disperazione. Cadrà vittima di sé stessa e della sua fragilità. Il merito della regia di Pier Luigi Pizzi è quello di aver reso con fedeltà un classico intramontabile come questo, pur offrendone una visione originale e contemporanea. L’idea di tagliare dal testo ogni riferimento diretto alla geografia del posto dove si svolgono i fatti – Stan dirà appunto che un “cittadino di questo paese” e non “un americano al cento per cento” – conferisce al dramma un respiro globale e condivisibile.

data di pubblicazione:02/02/2022


Il nostro voto:

CTRL Z – INDIETRO DI UNA MOSSA scritto e diretto da Annabella Calabrese e Daniele Esposito, con Annabella Calabrese, Andrea Standardi, Giovanna Cappuccio e Anna Lisa Amodio

CTRL Z – INDIETRO DI UNA MOSSA scritto e diretto da Annabella Calabrese e Daniele Esposito, con Annabella Calabrese, Andrea Standardi, Giovanna Cappuccio e Anna Lisa Amodio

(Teatro De’ Servi – Roma, 20 gennaio/6 febbraio 2022)

Per uno strano incidente al suo computer, Clara ottiene il potere di tornare indietro nel tempo e correggere così le sue scelte. Ctrl Z – indietro di una mossa è una commedia esilarante e fresca, affidata a quattro giovani e affiatati attori.

 

Annabella Calabrese e Daniele Esposito mettono in scena una pièce divertente, che si avvale di un meccanismo comico ben strutturato, di un’idea coerente e di un finale di commedia che dopotutto lascia edificati.

Clara (Annabella Calabrese) è una fotografa con la passione degli scatti nei teatri di guerra; i volti dei bambini sono i soggetti che preferisce. Vorrebbe vivere di questo, ma nessuna redazione le offre la possibilità di firmare un contratto. Siamo nell’Italia dei nostri giorni e per vivere bisogna inventarsi un lavoro. Per pagare l’affitto si trova costretta a far sparire rughe e a gonfiare seni in postproduzione sulle foto del matrimonio della procace e dirompente signora Swanstagger, che Anna Lisa Amodio porta in scena con coinvolgente energia.

Ad aiutarla nel lavoro due inseparabili compagni: Pinuccio, il suo vecchio computer ancora miracolosamente funzionante, e Jacopo, il suo compagno di vita, videomaker con il desiderio di realizzare un giorno un documentario sui sogni degli anziani. Tipica italiana è anche la famiglia di provenienza di Clara, padre madre sorelle e immancabile nonna che si aspettano dalla ragazza che si sposi e faccia dei figli … come del resto fanno tutti prima o poi. Nulla di tutto questo nei programmi di Clara! Così quando Jacopo le chiede di sposarlo, con una grottesca e impacciata proposta di matrimonio che l’attore Andrea Standardi riempie di tenerezza, a mezza bocca gli risponde di sì. Ed è questo uno dei momenti della vita in cui, se si potesse, si vorrebbe tornare indietro e rispondere altro.

Ma siamo a teatro, nel luogo per eccellenza dove tutto è possibile, come l’entrata in scena di Maria (la napoletanissima Giovanna Cappuccio), la vicina/amica avvocato divorzista di professione, disperata per essere stata lasciata dal suo fidanzato, che nella foga di raccontare il suo dramma fa cadere su Pinuccio un bicchiere di vino. Sarà per le onde elettromagnetiche o per il cortocircuito causato dai solfiti, sta di fatto che Pinuccio si anima e come una forza divina concede il potere a Clara di poter tornare indietro nel tempo e cambiare così le sue scelte. La commedia inizia a questo punto la sua cavalcata verso una serie infinita di gag che riportano i personaggi in avanti e indietro, fino a che Clara non sceglierà di fare la cosa più giusta: quello che desidera veramente.

Il linguaggio preso dalla realtà rende tutto molto credibile e riconoscibile. Siamo talmente circondati dalla tecnologia che il passaggio a una realtà metafisica come questa sembra addirittura prossimo. Ma l’ossatura del testo ha nel meccanismo comico della ripetizione il suo punto di forza e insieme si avvale di interpreti eccellenti che sanno trovare nella sinergia e nel divertimento la loro armi più affilate. Se sulla scena tornano continuamente indietro, nella carriera artistica sono certamente destinati ad andare avanti accompagnati dal prezioso dono dell’amicizia e della comicità.

data di pubblicazione:02/02/2022


Il nostro voto: