da Paolo Talone | Ott 28, 2022
(Teatro Belli – Roma, 25/27 ottobre 2022)
Secondo appuntamento per la XXI edizione di “Trend. Nuove frontiere della scena britannica” al teatro Belli di Trastevere. The river di Jez Butterworth porta lo spettatore in una baita vicino a un fiume dove un uomo ama andare a pescare. È in cerca della trota di mare che solo per un momento ha tenuto per le mani e forse è in cerca della donna giusta, tra le tante che porta con sé nel suo nido nascosto.
Entrando in sala si è accolti dal suono dello sciabordio dell’acqua che scorre incessante nel fiume vicino alla baita. L’uomo interpretato da Alessandro Federico, anche regista dello spettacolo (produzione Proprietà Commutativa), sta approntando con meticolosa pazienza e in solitudine la sua attrezzatura da pesca. Gli stivali di gomma sono calzati, il gilet indossato, l’esca è fissata all’amo. Alle sue spalle entra una donna, la nuova fidanzata. Tra i due sembra esserci una bella intesa. Lei è romantica e arrendevole, curiosa di conoscere meglio quest’uomo che le ha permesso di entrare nel suo remoto rifugio. Lui le trasmette tutta l’eccitazione che prova nel pescare la trota di mare, nell’unica notte all’anno senza luna, quando fuori è così buio da non riuscire a vedere chi hai vicino e l’acqua prolifera di pesci. Ha ancora negli occhi il ricordo del primo pesce pescato, che tenne tra le mani il tempo di un battito di ciglia prima di vederlo sparire per sempre nell’acqua. Nella scena successiva lui è in preda al panico: la donna sembra essere sparita nel nulla durante la pesca notturna. Improvvisamente però riappare, ma è un’altra lei. Un’altra fidanzata, più vivace della prima, dai modi sensuali e provocanti. Al primo impatto sembra di essere davanti a un tradimento, ma gli indizi disseminati nel racconto portano verso una diversa interpretazione dei fatti. Nonostante lo spazio rimanga quello della tranquilla baita sulle rive del fiume, il tempo si blocca e si frantuma in una doppia storia. Le due donne appaiono e scompaiono nel susseguirsi delle scene, diventano quasi dei fantasmi della mente. Come loro probabilmente ce ne saranno state anche altre nella vita di quest’uomo. Il passato è un incubo che il presente non riesce a dimenticare. The river diventa così una metafora dal significato oscuro. L’immagine del fiume riflette il flusso continuo della ricerca senza sosta di un uomo condannato a non ritrovare più qualcosa che ha perso. La differenza caratteriale delle donne è la prova tangibile del fatto che non sa cosa cercare, così lontane tra loro per il mondo che rappresentano. Le due attrici, Silvia Aielli e Mariasole Mansutti, sanno definire in maniera impeccabile e chiara questo contrasto, ottime protagoniste insieme ad Alessandro Federico, che invece manifesta senza eccedere la sua mascolinità e insieme la malinconia di un uomo avvolto nei pensieri più cupi, quelli che capitano di avere quando si pratica uno sport in solitudine come la pesca. E così rimane solo, a vedersi scivolare via dalle mani un’altra trota, un altro tratto di questa misteriosa, insondabile vita.
data di pubblicazione:28/10/2022
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Ott 24, 2022
(Teatro Belli – Roma, 20/23 ottobre 2022)
Testimony di Simon Bovey inaugura la XXI edizione di Trend, la rassegna di spettacoli tratti dalla drammaturgia contemporanea inglese diretta da Rodolfo Di Giammarco, sostenuta dal Ministero della Cultura, dalla Regione Lazio e dal Comune di Roma. Occhi puntati su questioni attuali della società in cui viviamo, che si rispecchiano nei 16 lavori teatrali in scena fino al 18 dicembre al teatro Belli di Trastevere
Una lampada a neon illumina il tavolo di una fredda stanza per interrogatori di un commissariato di polizia. Il caso a cui stanno lavorando l’ispettore Trent e sergente Harris vede la scomparsa di Kelly Anders, una ragazza di quattordici anni dagli occhi innocenti e i capelli mori. L’ultima volta è stata vista in compagnia di David Vincent all’uscita di un locale. I sospetti cadono inevitabilmente su di lui, anche perché ha un passato da criminale recidivo che l’ispettore Trent conosce molto bene. David Vincent si ritiene innocente e estraneo ai fatti, ma i modi violenti dell’ispettore, contestati dal sergente Harris poiché sfiorano l’abuso di potere, conducono l’indagato a confessare dei piccoli particolari che sembrano portare alla soluzione del caso. Estorcere una confessione con mezzi brutali solo perché si nutrono dei pregiudizi sulla persona indagata non è di certo professionale e non serve a risolvere il giallo. Così il dramma, con un sapiente gioco teatrale, sposta l’indagine dal fatto di cronaca alle motivazioni intime e psicologiche che spingono l’ispettore Trent a comportarsi con violenza nei confronti dell’imputato. La trama facilmente ascrivibile al filone delle serie TV che trattano di casi di cronaca nera si trasforma in un’indagine sottile della personalità dell’ispettore, che come ogni uomo cova mostri nell’ombra. Solo a teatro questa trasformazione è possibile, perché è il luogo deputato per affrontare questo tipo di analisi introspettiva. Le scene che si susseguono spingono lentamente lo spettatore in una morsa claustrofobica che mette la soluzione del caso in secondo piano. Alla fine chi dovrà deporre la sua confessione sarà proprio l’ispettore: l’indagatore diventerà il principale indagato.
La regia del giovane Armando Quaranta sa cogliere perfettamente questa trasformazione, con semplici ma significativi gesti che restituiscono una profonda comprensione dell’opera tradotta da Natalia Di Giammarco. Ogni personaggio ad esempio occupa nello spazio un punto ben preciso. Per questo quando l’ispettore va a sedersi sulla sedia dell’indiziato è facile capire che sarà lui a dover fornire una confessione. Ma il punto di forza è nel realismo della recitazione, reso ancora più estremo nella giusta scelta degli attori che per età e caratteristiche sono simili ai personaggi che interpretano. Maurizio Mario Pepe nei panni dell’ispettore Trent, Giulio Forges Davanzati in quelli di David Vincent e Jacopo Olmi Antinori in quelli del sergente Harris.
Testimony è uno spettacolo di qualità, che testimonia l’alto tenore dei lavori scelti per questa XXI edizione di Trend. Nuove frontiere della scena britannica. Prossimo appuntamento venerdì 25 ottobre con The river di Jez Butterworth.
data di pubblicazione:24/10/2022
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Ott 8, 2022
(Teatro Cometa Off – Roma, 1/9 ottobre 2022)
Debutta al Teatro Cometa off di Testaccio il Macbeth di Alessandro Sena. Una lettura personale e contemporanea del personaggio shakespeariano che per la sete di dominio, insieme alla moglie, perpetua una serie infinita di omicidi ai danni di chi minaccia la sua terribile ascesa al trono. Una visione che desidera farsi riflesso dell’umanità intera da oriente a occidente, con i suoi complessi meccanismi di conflitto e ambizione sfrenata di cui è preda.
All’inizio Macbeth è un eroe vittorioso. Il merito sta nell’aver sedato una rivolta contro il re Duncan insieme ai compagni Banquo e Macduff. Ma il destino dei re è quello di essere traditi, come lo fu Cesare pugnalato da chi più avrebbe dovuto amarlo. Così l’incontro con le Tre Streghe, sorelle fatali apparse sul cammino di Macbeth e Banquo, instilla nel valoroso condottiero il pensiero che un giorno otterrà anche il trono. Per farlo però dovrà uccidere a tradimento il sovrano ospite nella sua casa. Dubbioso se compiere l’assassinio o lasciare che il corso degli eventi lo porti a governare, viene spronato sulla strada della conquista dalla consorte. È Lady Macbeth a scavare nella coscienza del marito e a muovere la sua ambizione. Incastrato nel buio di una scena che rispecchia la notte dell’anima, in preda a una frenesia che lentamente fa breccia nella sua mente portandolo quasi alla pazzia, alimentata dalla presenza in scena oltre lo spazio concesso da Shakespeare delle Tre sorelle fatali – riflesso di una mente ottenebrata dall’avidità più che espressione del dato esoterico dell’opera – il misfatto si compie con un realismo che sgomenta, tanto che il corpo assassinato del re viene mostrato addirittura sulla scena. Ma il tradimento non si ferma con la morte del sovrano. Banquo, a cui le streghe avevano predetto che sarebbe stato padre di una stirpe regale, deve morire insieme ai suoi figli. Dunque anche l’amicizia verrà tradita e con essa ogni soluzione di pace e armonia tra gli uomini. Solo la volontà del giovane re Malcolm, assurto al trono dopo la sconfitta di Macbeth, stanco alla vista del male, metterà fine a questa catena di delitti e abbandonerà a terra la corona imbevuta di troppo sangue e dolore.
Il Macbeth di Alessandro Sena mantiene solo in parte la natura di tragedia dell’ambizione. Il dramma, tradotto e adattato dal regista romano, sposta la riflessione sull’ossessione per il potere e sulle dolorose ferite provocate dal tradimento, in un allestimento moderno, imperniato di un esplicito linguaggio simbolico, ma nella totalità fedele alla tradizione. Un lavoro visivamente coerente e ben pensato, messo in scena da una compagnia di attori di diversa esperienza e formazione, ma coesa nella realizzazione, tra cui spicca per intensa profondità di interpretazione l’attrice armena Marine Galstyan nel ruolo di Lady Macbeth. Menzione particolare poi per Stefano Antonucci nei panni regali di un saggio e distinto Duncan, che illumina il personaggio di quella giusta rettitudine esemplare che verrà drasticamente azzittita.
Il lavoro drammaturgico ridotto all’essenziale per numero di personaggi e scene salva l’ossatura originale della tragedia. Alessandro Sena poggia il piede su Shakespeare e insieme pesca nel fluire ininterrotto del fiume della creatività immagini e parole che arricchiscono la storia di armoniose interpolazioni fino a condurre la tragedia verso una catarsi inaspettata, che passa per il pentimento e il risveglio della coscienza. Il cuore ostaggio dell’odio alla fine si ravvede e implora quella bontà e quella gentilezza che Chaplin – citato alla fine della pièce con le parole che concludono il suo capolavoro Il grande dittatore – esalta più che l’abilità a compiere il male. La bellezza del mondo è quella di essere un luogo dove c’è posto per tutti.
data di pubblicazione:08/10/2022
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Set 24, 2022
(Teatro Vittoria – Attori & Tecnici – Roma, 20/25 settembre 2022)
Sei candidati si affrontano durante un colloquio per accaparrarsi l’unico posto di lavoro offerto da una prestigiosa azienda. Un incidente improvviso con il Direttore dell’azienda smaschererà le tattiche usate per convincere il loro esaminatore e farà emergere la loro vera natura.
La tensione nell’aula del colloquio si percepisce fin dalle prime battute, quando uno ad uno i personaggi entrano in scena con tutto il bagaglio di studi ed esperienza accumulato negli anni. Tutti e sei i profili selezionati soddisfano le richieste nonostante siano uno diverso dall’altro, espressione della folta e variegata umanità in cerca di un impiego fisso. Non manca il tipo ansioso, come quello logorroico e filosofo, o quello furbo che approfitta dei punti deboli scoperti dal rivale per affondare i suoi colpi. Così non manca la persona assertiva e ossequiosa o quella a cui non sfugge nulla, con la risposta sempre pronta a qualsiasi domanda. Il posto è importante e l’azienda è prestigiosa. Sono stati convocati per un assessment ovvero una sessione di valutazione comportamentale da svolgere in un contesto che esaspera la rivalità, perché prevede che più persone vengano esaminate insieme. I candidati dovranno dimostrare di saper lavorare in team per risolvere i casi che il responsabile delle risorse umane dell’azienda, un inflessibile e attento giudice esperto di psicologia del lavoro, sottoporrà al gruppo. La trama si complica quando il sommo e venerato Direttore dell’azienda comincerà a interferire con la situazione in scena, mostrando un lato debole che minerà la sua autorevolezza, ma che avrà come effetto quello di far emergere il vero carattere degli esaminati.
La drammaturgia scritta da Marco Grossi è la vera potenza dell’opera. Il testo trasforma in una sottile e ironica commedia il complesso lavoro di indagini e interviste a esperti del settore (responsabili di risorse umane, imprenditori e dipendenti di aziende) svolto dall’autore. Il lavoro linguistico è impastato di termini anglosassoni il cui uso eccessivo ne svela il ridicolo, e i dialoghi brillano di originalità e freschezza che stupisce e diverte scena dopo scena, senza mai risultare banali o scontati, segnale di un’attenta operazione di scrittura. Il ritmo dell’azione sostenuto dalla bravura e dalla coesione in scena degli interpreti, tutti assunti in questo caso, mantiene sempre costante la cavalcata vivace e coinvolgente della narrazione. L’attenzione rivolta alla caratterizzazione dei personaggi cesella infine il lavoro. La definizione e la chiarezza con cui emergono i tratti caratteriali di ognuno rende anche più facile la soluzione comica, perché conduce fino all’esasperazione i difetti delle personalità esaminate, e apre contemporaneamente una riflessione sull’assurdo di alcuni comportamenti – anche immorali – che l’essere umano esercita quando a muoverlo sono l’ambizione, la frustrazione e il desiderio di accaparrarsi la vittoria a ogni costo.
Il colloquio – the assessment, prodotto da Teatri di Bari e Malalingua, è valso al suo autore, interprete e regista Marco Grossi il premio SIAE Nuove Opere “PER CHI CREA” 2019. Dopo il debutto nel 2020 è in questi giorni al Teatro Vittoria di Testaccio, dove inaugura una Stagione ricca di titoli e interessanti proposte, per poi replicare ancora a Milano nel mese di dicembre.
data di pubblicazione:24/09/2022
da Paolo Talone | Lug 24, 2022
(Gigi Proietti Globe Theatre – Roma, 15/31 luglio 2022)
Una doppia coppia di gemelli mette in subbuglio un’intera città. Tra giochi di scambi e ricerca di un’identità perduta, va in scena la Globe di Villa Borghese un gruppo di talentuosi artisti con una commedia esilarante e divertente.
In scena fino a domenica 31 luglio al Gigi Proietti Globe Theatre La commedia degli errori per la regia di Loredana Scaramella, nuovo spettacolo prodotto da Politeama S.r.l. per il teatro elisabettiano di Villa Borghese. Nell’elenco dei lavori di Shakespeare figura come la prima opera scritta dal Bardo ancora in giovane età e come tutte prende ispirazione dalla tradizione classica. I Menecmi di Plauto è la fonte principale dell’intreccio, che Shakespeare complica moltiplicando le coppie di gemelli sulla scena. L’azione si svolge nell’arco di una giornata in una Efeso di fantasia, che Loredana Scaramella immagina come un porto vicino al mare sommerso dall’acqua e i cui abitanti, sempre per un gioco di immaginazione che solo Shakespeare può consentire, sono vestiti in abiti da charleston anni Venti. Un’orchestrina jazz suona in un locale che si affaccia sul porto ed è testimone ammiccante, insieme agli avventori del locale e al pubblico seduto a guardare, della serie di equivoci che si formano sulla scena, sempre un passo avanti rispetto alla verità della storia che si sbroglia davanti ai loro occhi. Le musiche sono di Mimosa Campironi (arrangiate da Adriano Dragotta), mentre costumi e scene sono rispettivamente di Susanna Proietti e Fabiana Di Marco, della talentuosa scuderia del teatro.
Il mare che Loredana Scaramella immagina non è fatto solo di acqua. Ci sono molti cuori perduti che si cercano tra loro e si interrogano sulla propria identità, aspetto che la regia sottolinea in modo particolare. Il vecchio Egeone di Siracusa approda a Efeso in cerca dei figli che il mare aveva diviso. Per l’inimicizia tra le due città questi viene arrestato dal Duca che lo condanna a morte. Ma al porto approdano anche Antifolo, suo figlio, con il servo Dromio, in cerca dei rispettivi fratelli che il mare in tempesta aveva diviso molti anni prima e che invece ora riunisce. Non sanno ancora che chi stanno cercando si trova proprio in quella città. Le coppie di gemelli sono perfettamente uguali e a renderle così non è solo il nome o il costume che indossano, ma nel caso del nostro spettacolo, una sorprendente maniera di recitare quasi allo stesso modo. Da questo antefatto si scatena tutta la serie di errori e scambi di persona che caratterizzano la commedia, mostrando al pubblico che solo il confronto con l’altro, dopo essere andati instancabilmente in cerca della cosa perduta, rende possibile il riconoscimento e quindi la soluzione alle proprie inquietudini.
Della regia si apprezza la capacità di aver saputo sciogliere in maniera limpida i nodi di un intreccio complesso e articolato, frutto certamente di un attento e approfondito studio dell’opera. Ma la bravura sta nell’aver saputo cesellare i personaggi basandosi sulle abilità espressive degli attori, eccellenti tanto nella recitazione quanto nel canto e nei movimenti (le coreografie sono di Laura Ruocco e i movimenti di scena di Alberto Bellandi). Un esempio tra tutti sono le acrobazie da slapstick comedy messe su dalla coppia di servi Dromio. Insomma, uno spettacolo totale e ben fatto che appaga il nostro desiderio di teatro.
data di pubblicazione:24/07/2022
Il nostro voto:
Gli ultimi commenti…