TEATROSOPHIA – presentazione della nuova stagione teatrale 2024/25

TEATROSOPHIA – presentazione della nuova stagione teatrale 2024/25

(Teatrosophia – Roma, 24 settembre 2024)

Viva l’Italia che resiste cantava De Gregori negli anni di Piombo. Gli fa eco accompagnata dalla sua chitarra la voce di Lorena Vetro del team organizzativo del Teatrosophia, la centralissima sala teatrale a due passi da piazza Navona. Maria Concetta Borgese, anche lei nel gruppo di lavoro diretto da Guido Lomoro, danza sulle note della canzone sfiorando il numeroso pubblico di artisti e addetti ai lavori assiepati nel piccolo, ma accogliente spazio, per la presentazione dell’imminente nuova stagione teatrale. È il direttore Guido Lomoro quindi, con la sua tenacia, il suo orgoglio e la sua incontestabile generosità a regalare al pubblico un apologo in cui i sogni diventano lavori, progetti, spettacoli che mettono i piedi e iniziano a camminare per il mondo. Storie che iniziano un viaggio di fatica e bellezza in questo piccolo spazio dove si resiste creando amicizia e cultura.

Guidano alla scoperta dei più venti titoli del cartellone Marta Iacopini e Ilenia Costanza, quest’anno presentati attraverso la proiezione di brevi video. Novità importante della stagione, in leggera controtendenza rispetto agli ultimi anni, nessuno spettacolo rimarrà in scena meno di quattro giorni, per contrastare in teatro ‘mordi e fuggi’ e creare un legame più forte tra lo spettacolo e il pubblico. Novità anche per il tesseramento, facilitato dal nuovo sistema digitale. Sarà infatti possibile registrarsi direttamente dal sito del teatro evitando noiose file al botteghino.

Completa il team artistico diretto da Guido Lomoro Alessandra Di Tommaso. Fanno parte ancora della squadra Andrea Cavazzini per l’ufficio stampa, Gloria Mancuso per la parte tecnica e Marta Viola (MV Comunicazione) per la preziosa gestione informatica del sito (i social sono affidati a I Vetri Blu di Ilenia Costanza e Lorena Vetro).

A caratterizzare la stagione sarà la contemporaneità dei testi messi in scena. Torneranno a esibirsi artisti che al Teatrosophia hanno trovato la loro casa, come Matteo Fasanella e Darkside, Gianni De Feo in coppia con Alessandra Ferro, Antonio Mocciola, Teatro Multilingue, Mauro Toscanelli. Per il terzo anno consecutivo Giorgia Serrao e Massimiliano Auci, e poi ancora Giuseppe Manfredi, Margot Theatre Company e Bruno Petrosino con Giancarlo Giacinto. Non mancheranno nuovi artisti e nuove compagnie per la prima volta al teatro di via della Vetrina. Si dà il benvenuto ad Antonello Avallone e Francesca Cati, Nicola Lorusso e Giulio Macrì, Caroline Pagani e ai giovani attori di Compagnia Australe.

Completano il cartellone le produzioni firmate da Teatrosophia. I figli del poeta (24 – 27 ottobre) che torna dopo il successo della scorsa stagione; È semplice, scritto e diretto da Ilenia Castanza (27 novembre – 1 dicembre); Bianco di Marco Buzzi Maresca (23 gennaio – 2 febbraio) e infine lo spettacolo adattato, diretto e interpretato da Maria Concetta Borgese e Guido Lomoro, Piedi nudi e parole crude (10 – 13 aprile). Chiuderà la stagione a maggio uno spettacolo ancora da definire che sarà il frutto della collaborazione tra il Teatrosophia e gli attori diplomati dell’Accademia Beatrice Bracco.

Si comincia giovedì 3 ottobre con lo spettacolo/concerto Storygram che vedrà protagonisti in scena fino al 6 ottobre Giulia Bornacin, Simone Martino e Amedeo Monda.

Buon viaggio (teatrale) a tutti!

data di pubblicazione:28/09/2024

ABBASCE LA CAPE di e con Maurizio Sarubbi

ABBASCE LA CAPE di e con Maurizio Sarubbi

(Teatro de’ Servi – Roma, 11 settembre 2024)

In concorso per la sesta edizione di Teatramm’, Festival teatrale diretto da Emiliano De Martino che vede in gara quest’anno 13 spettacoli prodotti da compagnie provenienti da tutta Italia, il monologo scritto e diretto da Maurizio Sarubbi, direttore artistico della Compagnia teatrale Artù. I ricordi di una vita trascorsa tra i vicoli di Bari si affastellano nella mente di un carcerato condannato alla pena di morte (foto di Giuseppe Lorusso).

 Nel chiuso di un carcere le ore trascorrono tutte uguali. L’umidità goccia da fessure invisibili e scandisce con il suo ticchettio il trascorrere del tempo. Le pareti anguste e buie della cella sono testimoni degli ultimi pensieri di un uomo condannato a morte per una colpa sconosciuta. Il passato ritorna con i suoi personaggi e una vita trascorsa tra i vicoli di Bari Vecchia, con il suo inarrestabile vociare e un profumo di libertà ormai svanito.

È l’incipit di Abbasce la cape (abbassa la testa), il monologo con il quale l’attore e regista barese Maurizio Sarubbi, supportato alla regia da Caterina Rubini, rende un doppio omaggio alla sua terra, la Puglia, e a Victor Hugo. Sul romanzo pubblicato nel 1829 dallo scrittore romantico francese L’ultimo giorno di un condannato si innestano i racconti di Strada Angiola, scritti da Giuseppe Lorusso. Due percorsi narrativi differenti, uno concentrato sulla condizione di un detenuto a sei settimane dall’esecuzione della condanna a morte e l’altro sulle storie di quotidianità di un quartiere popolare e vivace ferito dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Due fonti apparentemente distanti, nel tempo e nel linguaggio, avvicinate però da un lavoro di scrittura scenica e drammaturgica complesso, che innalza a poesia l’umile origine rurale del personaggio portato sulla scena da Sarubbi.

Protagonista è il dialetto barese, arma efficace di traduzione di realtà altrimenti incomprensibili, reso accessibile da una gestualità misurata, attenta, pensata per e in uno spazio ben tracciato. È evidente un preciso studio intorno alla potenza dei movimenti e alla costruzione del personaggio. Vestito della tela grezza dei carcerati, bianca come le pietre che ricoprono il selciato dei vicoli e le pareti delle case di Bari, su cui si riflette l’eco di mille voci della vita cittadina, Maurizio Sarubbi fa di sé uno strumento di imitazione e di riverbero dei caratteri umani osservati nella realtà. Una somma di tradizione ed esperienza teatrale giocata direttamente sul palco.

Ma protagonista è anche la condizione di solitudine delirante di quest’uomo, costretto a vivere nel carcere dei ricordi da una società malata che ne ha decretato la morte. Perché se per un uomo la morte è un passaggio naturale imprevedibile, per un condannato è un momento programmato, sintomo del fallimento di una cultura che non sa reggere lo scontro e il dialogo con il singolo.

data di pubblicazione: 15/09/2024


Il nostro voto:

LA MARIA BRASCA di Giovanni Testori

LA MARIA BRASCA di Giovanni Testori

regia di Andrée Ruth Shammah, con Marina Rocco, Mariella Valentini, Luca Sandri e Filippo Lai

(Teatro Vascello – Roma, 21/26 maggio 2024)

A un anno dal debutto milanese arriva al teatro Vascello di Roma La Maria Brasca di Giovanni Testori. Marina Rocco veste i panni della calzettaia di Vialba nel riallestimento dello storico spettacolo firmato da Andrée Shammah per celebrare i cento anni dalla nascita dell’autore e cinquanta dalla fondazione del Teatro Franco Parenti di Milano.

  

Sanguigna e testarda al limite del capriccio, la Maria Brasca di Marina Rocco è uno scrigno di speranza e di freschezza tutta giovanile. Donna del popolo e della periferia, milanese senza dubbio, per cui il sacrificio e il lavoro sono una ragione quotidiana e inevitabile. Non ha dimenticato i sogni dell’adolescenza eppure ha già sviluppato una corazza resistente, in merito dell’esperienza della vita. Energica e sfrontata al punto da sfidare a testa alta il pregiudizio di chi le contesta di aver avuto troppi amanti e ora un fidanzato più giovane, senza un lavoro, che sembra non disprezzare la compagnia di altre donne a soddisfazione di uno spirito machista tipico della vecchia Italia del dopoguerra. Caparbia e risoluta come solo una lombarda può essere, alla fine ottiene il consenso di Romeo a sposarla, facendo terminare in commedia una storia che poteva benissimo dalle premesse avere un finale drammatico.

Anche Roma festeggia Giovanni Testori in occasione dei cento anni dalla nascita. Autore prolifico e complesso, subito dopo la guerra inizia a raccontare la periferia del capoluogo lombardo con I Segreti di Milano, una raccolta di romanzi e racconti in cui si inseriscono i due lavori per il teatro La Maria Brasca e L’Arialda. Alla fine degli anni Cinquanta viene invitato a scrivere un testo per il Piccolo di Strehler e Grassi da Mario Missiroli, alla sua prima regia ufficiale dopo il diploma alla Silvio D’Amico. La Maria Brasca entra nel cartellone del primo teatro stabile, da poco costituito come ente autonomo, tra le novità italiane che sappiano raccontare i cambiamenti del belpaese per la stagione 1959/60. Protagonista è Franca Valeri che proprio con un testo (oggi perduto) di Testori, La Caterina di Dio, ebbe il suo debutto teatrale anni prima quando ancora si faceva chiamare con il suo vero nome, Franca Norsa.

Le scene sono di Luciano Damiani e tra il pubblico è presente Adriana Asti, trentadue anni dopo chiamata a ricoprire il ruolo della Maria nella regia della Shammah nello storico teatro, il Franco Parenti, aperto dalla regista insieme all’attore Parenti e a Testori cinquant’anni fa. Un altro importante anniversario da festeggiare. L’edizione del 1992, come quella di Missiroli, viene seguita e apprezzata dall’autore, all’epoca ricoverato al San Raffaele dove sarebbe scomparso l’anno dopo.

Lo spettacolo ospitato al Vascello è quindi carico di storia e di ricordi. In embrione ci sono tutti gli elementi che Testori svilupperà nella produzione successiva. C’è l’esempio di una grande donna. C’è soprattutto la periferia milanese, laboriosa e indigente ma già proiettata verso la crescita e il benessere. Questa la Milano evocata dalla Shammah, a cui la regista aggiunge un pizzico di spensieratezza che dà colore alla scena. Il grigiore del muro di mattoni nel cortile del casermone nei pressi delle fabbriche viene allietato infatti da un’umanità vivace e autentica.

Al centro della scena disegnata da Gianmaurizio Fercioni (curata nel riallestimento da Albertino Accalai in collaborazione per i costumi con Simona Dondoni) si apre a saracinesca uno squarcio rettangolare che mostra la cucina dell’appartamento della famiglia Scotti, punto focale di tutta l’azione. È qui che vive Maria, ospite nella casa del cognato Angelo (Luca Sandri) e della sorella Enrica, una strepitosa Mariella Valentini. Le due sorelle sono una il contrario dell’altra. Mentre Maria è ferma nelle proprie convinzioni e sa guardare gli uomini in faccia, soprattutto il suo Romeo (Filippo Lai), Enrica è una donna remissiva, guidata da un forte spirito di abnegazione, dedita alla famiglia, per cui sacrifica tutto, e molto attenta al buon nome e alla reputazione. La maldicenza e il giudizio degli altri stanno infatti al centro dei litigi familiari. Ma per Maria sono come quelle foglie morte che si ammassano nel cortile del fabbricato e che uno spazzino può spazzare via con un colpo di scopa. La dignità è solo quella che riesce a toccare con mano quando è con il suo Romeo.

Manca dall’elenco dei personaggi solo la Giuseppa, che nel testo svolge il ruolo dell’amica e confidente della Brasca. La sua funzione drammaturgica viene però compiuta da una donna scelta a caso tra la platea alla quale la protagonista si rivolge come a una vecchia conoscenza, come fosse una compagna di fabbrica. A lei e al pubblico consegna tutta la sua felicità che sta nell’aver saputo realizzare i propri sogni, seguendo il suo solo istinto.

data di pubblicazione:26/05/2024


Il nostro voto:

INTERNO CAMERA di Paola Giglio

INTERNO CAMERA di Paola Giglio

regia di Marcella Favilla, con Paola Giglio e Matteo Prosperi

(Teatro Tor Bella Monaca – Roma, 9/11 maggio 2024)

Fotografia fedele e riuscita di una coppia ordinaria alla ricerca di un posto nella società. Marta e Pietro sfidano un mondo che gira troppo in fretta, trovando nella lentezza l’antidoto al veleno della frenesia. (foto di Giovanni Chiarot)

Avvicinarsi alla soglia dei trent’anni nel secondo decennio del nuovo millennio pone sfide di una difficoltà non trascurabile. Crisi finanziarie, pandemie, guerre e cambiamento climatico sono fattori che interessano tutti. Ma per la generazione dei millennials, a cui appartengono i protagonisti di Interno camera, diventano una barriera ulteriore che impedisce una costruzione serena e lineare della propria carriera e posizione sociale.

È stato in scena negli spazi del bellissimo teatro di Tor Bella Monaca lo spettacolo scritto da Paola Giglio nel 2019 durante un laboratorio guidato dalla drammaturga Lucia Calamaro, il progetto SCRITTURE, che vede protagonista l’autrice affiancata dal compagno di vita e di lavoro Matteo Prosperi, diretti da Marcella Favilla.

In scena sono Marta e Pietro, una coppia che vive in un grazioso ma disordinatissimo appartamento di città. La stanchezza non celata di Marta difronte all’impossibilità di realizzarsi come scrittrice di romanzi, che per sbarcare il lunario è costretta a formulare contenuti trash su un sito internet, e il blocco di Pietro, che non riesce a terminare la sua tesi di dottorato in filosofia e per vivere effettua consegne a domicilio, sono motivi di stallo e depressione. Sono il riflesso dettagliato della condizione di un’intera generazione. Se da un lato a chi ora si affaccia all’età adulta è stata concessa l’opportunità di potersi formare per la professione dei sogni, dall’altro gli si preclude la possibilità di poterla praticare. Lavori precari e mal pagati sono il necessario compromesso per sopravvivere. Per non parlare dello sviluppo tecnologico che ha reso tutto più veloce e inconsistente, ponendo gli individui attraverso i social in continua competizione tra di loro.

Il testo drammaturgico fotografa con precisione questa condizione che interessa tanti giovani di oggi, mutando la parte dialogica direttamente dal vissuto quotidiano. Per questo linguaggio e trama si svolgono in maniera naturale, senza forzature o incantesimi anche nel finale positivo. La tentazione di diventare dottrinale viene poi evitata con una sana, pragmatica ironia. Paola Giglio e Matteo Prosperi affiancano a questo testo così credibile una recitazione spontanea, al limite dell’improvvisazione e per questo istintiva, che cela un grande legame e un’alchimia che sul palco si manifestano in naturalezza di espressione e divertente complicità. Teneri quanto coinvolgenti e veri.

Paradossalmente per Marta e Pietro superare lo stallo, generato dall’ansia dell’essere sempre all’altezza delle aspettative sociali, significa riprendere a camminare. In senso metaforico ma anche fisico, soprattutto per Pietro che parte solo per un lungo viaggio nel quale avrà tutto il tempo per ritrovare sé stesso. Concedersi il lusso di rallentare per rimettere a posto pensieri e progetti è finalmente la soluzione. Una lezione utile, che ancora una volta viene dal teatro, per chi si trova impantanato nella stanchezza e nella mancanza di ispirazione.

data di pubblicazione:20/05/2024


Il nostro voto:

LE FIGLIE DEL RE di Flavia Gallo

LE FIGLIE DEL RE di Flavia Gallo

regia di Flavia Gallo e Chiara Cavalieri, con Giovanna Cappuccio, Chiara Cavalieri e Giorgia Serrao, voci fuori campo di Betti Pedrazzi e Giancarlo Porcacchia

(Teatrosophia – Roma, 9/12 maggio 2024)

Trasposizione moderna della leggenda di Cordelia e delle sorelle Goneril e Regan davanti alla spartizione del regno lasciato loro in eredità dal padre ormai vecchio. Un’analisi veritiera dei complicati e a volte soffocanti processi che regolano le relazioni familiari (foto di Agnese Carinci)

Solitamente si associa la figura di un tavolo all’unione di una famiglia. Ma se si tratta di un tavolo da gioco anziché da pranzo e attorno vi sono sedute tre sorelle, allora la simbologia di una serena aggregazione si distorce. Se poi si aggiunge a questo l’immagine di un tirannico padre anziano che convoca le proprie figlie per spartire l’eredità, seduto dietro la scrivania dove si riunisce il Consiglio di amministrazione della sua azienda, ecco che il quadro si tinge di tinte ancora più fosche. La partita che si gioca premierà chi tra le figlie saprà quantificare meglio con le parole il suo amore per il capofamiglia.

Ha debuttato al Teatrosophia di Roma Le figlie del re, il nuovo spettacolo della scrittrice e regista Flavia Gallo, prodotto da ARS 29 insieme a Humanitas Mundi teatro. Un eccellente lavoro di drammaturgia contemporanea che sa tradurre dalla classicità un materiale umano modellato per essere uno specchio autentico delle nostre paure e frustrazioni. L’antica leggenda dell’anziano re Lear, da cui attinse ispirazione anche Shakespeare, rivive sulla scena attraverso i personaggi delle figlie che mantengono i mitici nomi di Cordelia, Regan e Goneril. I ruoli sono affidati rispettivamente a Giovanna Cappuccio, Giorgia Serrao e Chiara Cavalieri, quest’ultima alla sua prima prova come regista in rispettosa sinergia con l’autrice. Non sembra esistere infatti una gerarchia nell’invenzione registica e drammaturgica. La parola e l’azione si rigenerano in continuazione. Il racconto scenico segue la parola che a sua volta suggerisce immagini e situazioni.

La vicenda è raccontata come se fosse una favola nera, di cui ne traccia l’evolversi la voce fuori campo calda e rassicurante di Betti Pedrazzi. La situazione che vediamo coglie il momento tragico della reazione delle figlie al meccanismo del potere scatenato dal padre, che non compare mai in scena. Bloccate nell’anticamera in prossimità del suo studio, attendono che questo le convochi. La sua presenza è evocata solo nella voce, prestata dall’attore Giancarlo Porcacchia, che canta un vecchio brano italiano. Fisico semmai è il terrore che genera nel cuore e nel corpo delle figlie, che si traduce in rigidità e tic nervosi. Le due maggiori, Goneril e Regan, sembrano difendersi meglio da questa opprimente figura paterna. Goneril è la figlia compiacente, che sa calcolare e controllare ogni strategia. Regan invece è quella irrequieta e ribelle. L’unica che fatica a trovare un posto è la piccola Cordelia, che cerca di custodire la relazione e la memoria del genitore, sfidando la condanna che ne danno le sorelle più grandi. È il solo personaggio a mantenere una capacità lucida di giudizio e ad arrivare al perdono, anche se nell’economia dello spettacolo andrebbe sviluppato meglio nelle motivazioni, magari in una ripresa futura del testo che ha un potenziale eccellente nella scrittura poetica e nel tenere conto della realtà che viviamo.

data di pubblicazione:12/05/2024


Il nostro voto: