PRINCESS di Roberto De Paolis, 2022

PRINCESS di Roberto De Paolis, 2022

Princess ha 19 anni e si prostituisce nella pineta che costeggia il litorale di Ostia; le sue giornate sono tutte uguali, in equilibrio tra clienti occasionali, compagne di strada e la gestione di una vita ai margini della società.

Princess, la seconda prova da regista di Roberto De Paolis che ha aperto quest’anno la sezione Orizzonti del Festival di Venezia. Co-prodotto da Rai Cinema e distribuito da Lucky Red, è un film potente, originale e di grande spessore, che non parla solo di immigrazione clandestina e prostituzione ma di anima, narrando una storia che nasce da dentro, con una assenza assoluta di ogni genere di giudizio morale, con linee difficili da tratteggiare e raccontare, che vanta tra i protagonisti attori veri e ragazze nigeriane realmente strappate alla vita di strada, che hanno interpretato se stesse e collaborato alla costruzione della storia.

La debuttante Kevin Glory è Princess “non è stato difficile interpretare questo ruolo, perché è quello che ho vissuto anch’io” ed è affiancata dagli straordinari Lino Musella, Maurizio Lombardi e Salvatore Striano nel ruolo di tre differenti tipi di clienti. Tutti, indistintamente, attori professionisti e non, si muovono in modo esemplare sulla scena come equilibristi, creando empatia con il pubblico, in una storia che ha i tratti del documentario ma che è un film a tutti gli effetti, capovolgendo i ruoli in cui i veri attori “assecondano” la vita di Princess e delle altre ragazze.

Il messaggio del film potremmo sintetizzarlo nel concetto che ognuno deve salvarsi da solo, ma per farlo ci vogliono le condizioni giuste; ed anche se alcuni incontri, come quello di Princess con il personaggio interpretato da Musella, possono fare aprire gli occhi alla protagonista perché carichi di positività, non sono sufficienti per liberarsi dalla schiavitù. Il film ci insegna che ci vuole una spinta interiore per riuscire a rompere quelle catene che inchiodano tutte queste giovani donne ad una vita in cui si è portati a credere che sopravvivere sia vivere. Non c’è dramma gratuito né retorica nel messaggio di De Paolis, ma solo la costruzione di un faticoso viaggio alla ricerca della propria identità in cui ognuno è solo, un vero e proprio inno alla ricerca della dignità di ogni essere umano.

data di pubblicazione:27/11/2022


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BONES AND ALL di Luca Guadagnino, 2022

BONES AND ALL di Luca Guadagnino, 2022

Presentato in Concorso a Venezia dove ha vinto il Leone d’argento, esce nelle sale l’attesissimo film di Luca Guadagnino Bones and All interpretato da Timothée Chalamet, assieme a Taylor Russel e Mark Rylance.

 

 Ambientato nel centro America all’epoca di Reagan (ma l’epoca non è determinante ai fini del significato profondo del racconto), il film narra del primo amore di due esseri “speciali”, Maren e Lee, entrambi vagabondi, due diseredati che vivono ai margini della società, indagando su i modi e i varchi che si possono aprire a persone come loro, nonostante le “impossibilità” che quel modo di essere imprima alle loro vite. E se il cinema è finzione, Guadagnino con questo film ha amplificato il concetto per esprimere, attraverso il cannibalismo di cui sono affetti i due giovani, l’isolamento in cui sono costretti a vivere e l’inevitabile crisi di identità che li travolge. Le scene a cui si assiste sono molto esplicite e solo chi riesce ad andare oltre quella che è una visione molto cruenta, può cogliere la metafora che c’è dietro tutto questo, accettando anche l’urgenza di un messaggio così “gridato”. Non siamo tutti uguali soprattutto quando siamo intrappolati in qualcosa che non riusciamo a controllare, ma l’amore per Guadagnino continua a vincere su tutto e a rendere liberi, anche su “diversità” così esasperate, perché riesce ad aprire delle porte che sino ad allora sembravano invalicabili.

Bones and All ci sferra forti pugni nello stomaco sino a farci stare male. Inutile sottolineare che tutti gli attori sono superbi e le ambientazioni perfette, così come l’originalità del tema a cui ricorre il regista per farci interrogare sulle dinamiche della vita, che spesso non ci dà scampo e ci obbliga ad attraversarla senza troppi indugi.

Il pubblico tuttavia deciderà se era necessario tutto questo, perché se da un punto di vista registico il film è molto valido ed i due giovanissimi interpreti sono bravissimi (Timothée Chalamet è un divo naturale, nato per fare ciò che fa), per la crudezza delle immagini un film così “estremo” inevitabilmente taglierà fuori una buone fetta di spettatori che si chiederanno, come chi scrive, se era davvero necessario, per parlare della fatica che Maren e Lee fanno a trovare un proprio dignitoso posto nel mondo, scomodare un tema così importante come il cannibalismo, sul quale sorge anche l’interrogativo se sia stato trattato con la dovuta competenza o sia rimasto semplicemente un pretesto per raccontare una storia estrema di due esseri inadeguati in cerca della propria identità la cui natura, che il mondo respinge perché non la può tollerare, li obbliga ad una vita di delitti, solitudine e fuga che non avrebbero mai scelto. Al pubblico il verdetto finale.

data di pubblicazione:23/11/2022


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RAPINIAMO IL DUCE di Renato De Maria, 2022

RAPINIAMO IL DUCE di Renato De Maria, 2022

(Festa del Cinema di Roma 13/23 Ottobre 2022)

Ad iniziare da titolo, Rapiniamo in Duce è un film a dir poco originale, con un “manipolo” di attori capitanati dal poliedrico Pietro Castellitto che questa volta dà vita ad un personaggio spregiudicato ma anche ingenuo e sentimentale, che si contende con il gerarca fascista Borsalino (Filippo Timi) l’amore di una giovane cantante di night club dal nome d’arte – o meglio di battaglia – Yvonne, interpretata da una convincente Matilda De Angelis.

 

Aprile 1945. Siamo a Milano sul finire del secondo conflitto mondiale. Pietro detto Isola, ladro e re del mercato nero, è sempre in cerca di soluzioni che possano permettergli di accumulare un po’ di soldi per scappare con il suo amore Yvonne, cantante del Cabiria, l’unico locale notturno rimasto aperto in città, nonché amante del sanguinario gerarca fascista Borsalino, sposato all’attrice nostalgica e senza ruoli Nora (Isabella Ferrari) che tenta di contendersi l’amore del marito con la giovane cantante. Isola, nonostante il suo soprannome sia indicatore della sua solitudine, riesce con un piccolo gruppo di disperati come lui, a formare una squadra per fare un colpo ai danni del Duce: saccheggiare un vero e proprio tesoro accumulato negli anni e nascosto in un quartiere di Milano, detta “zona nera”, che i fedelissimi di Mussolini custodiscono perché questi possa scappare in Svizzera, sfuggendo alla cattura e ricreandosi una vita con Claretta Petacci.

Il colpo più ambizioso e bizzarro della storia è al centro del nuovo film di Renato de Maria, film sentimentale che mescola ingredienti cha assomigliano a un fumetto e a un film d’azione, descrivendoci in termini rocamboleschi una rapina mai realmente effettuata.

Tante trovate, alcune molto divertenti, con un cast di attori bravi tra cui Tommaso Ragno, presente ultimamente in quasi tutta la filmografia in circolazione; il film tuttavia non riesce a decollare nel modo giusto, senza riuscire a eguagliare il Freaks out di Mainetti né il Diabolik dei Manetti bros: bella idea ma non completamente riuscita per un prodotto Netflix indirizzato sicuramente più ad un pubblico giovane, che anche in sala sembra aver gradito.

data di pubblicazione:16/10/2022


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TI MANGIO IL CUORE di Pippo Mezzapesa, 2022

TI MANGIO IL CUORE di Pippo Mezzapesa, 2022

Michele Malatesta è appena un bambino quando assiste allo sterminio della sua famiglia da parte del clan dei Camporeale. Dopo quarant’anni, queste due famiglie di malavitosi, rivali ed in guerra da sempre per contendersi il controllo del territorio del Gargano, sembrano aver trovato una tregua duratura anche grazie all’intercessione di una terza famiglia, quella dei Montanari.

Sono passati molti anni e Michele è un uomo, sposato con Teresa con cui è legato da un rapporto ancora molto passionale e da cui ha avuto tre figli: due maschi e una femmina. Andrea, il primogenito, s’innamora perdutamente di Marilena, la giovane e avvenente moglie del latitante Santo Camporeale nonché madre dei suoi due figli. Nonostante gli avvertimenti di Michele che esorta il figlio a togliersi quella donna dalla testa “ho riempito il camposanto per farti vivere tranquillo”, Andrea non segue i consigli del padre. La storia proibita tra i due giovani amanti, vissuta quasi alla luce del sole, riaccenderà la guerra tra le loro rispettive famiglie, dando vita ad una faida senza esclusione di colpi.

L’ambientazione del film è perfetta: una campagna in cui si allevano maiali e pecore, in cui il sangue si mescola al fango e dove le persone sembrano animali e le loro passioni bestiali, il tutto avvolto da un agghiacciante bianco e nero, dove non si percepisce alcuna sfumatura e in cui tutto è mescolato. Tuttavia le immagini, eleganti e cupe al tempo stesso, ci fanno quasi percepire l’odore acre di sterco, sudore e sangue che avvolge le vite dei protagonisti. Passione, violenza, legami malvagiamente indissolubili e forti, investono i personaggi, interpretati magistralmente da un gruppo di attori di tutto rispetto: da Tommaso Ragno a Michele Placido, da Lidia Vitale a Francesco Di Leva, dal quasi esordiente Francesco Patanè, alla sua seconda interpretazione sul grande schermo, sino alla sorprendente Elodie Di Patrizi, protagonista assoluta della storia, che incarna una donna piena di sfaccettature, la quale scatenerà un eccidio da cui nessuno si salverà, seminando morte tra gli uomini e lasciando donne vestite a lutto per il resto della loro vita.

Presentato quest’anno al Festival del cinema di Venezia nella Sezione Orizzonti, Ti mangio il cuore è una storia d’amore e sangue, un film a tinte forti che appassiona e colpisce, soprattutto quando sul finale scopriamo che si tratta di fatti realmente accaduti, narrati nell’omonimo romanzo-inchiesta di Carlo Bonini e Giuliano Foschini sulla mafia foggiana. Se ne consiglia la visione.

data di pubblicazione:02/10/2022


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I FIGLI DEGLI ALTRI di Rebeca Zlotowski, 2022

I FIGLI DEGLI ALTRI di Rebeca Zlotowski, 2022

Presentato nell’ultima edizione del Festival di Venezia appena conclusasi, Les enfants des autres di Rebeca Zlotowski, arrivato da qualche giorno nelle nostre sale fortunatamente con lo stesso titolo ma non valorizzato dal doppiaggio, è un film sicuramente originale per contenuti, ben diretto, con interpreti misurati nei loro ruoli, uno di quei piccoli film francesi di cui non se ne può fare a meno.

 

La quarantenne insegnante di liceo Rachel (Virginie Efira), separata senza figli, segue con molto interesse i propri allievi studiandone attentamente le attitudini, al fine di indirizzarli correttamente nell’iniziale inserimento nel mondo del lavoro. Come svago serale Rachel prende saltuariamente lezioni di chitarra dove, a volte, viene accompagnata dal suo ex compagno con il quale ha mantenuto un cordiale rapporto di amicizia. Durante una di queste lezioni conosce Alì e se ne innamora. L’uomo è separato ed ha una figlia, Leila, di 4 anni con la quale Rachel, seppur senza difficoltà, riesce a stringere un legame molto intenso, fatto anche di quelle cure che una madre mette in atto con un figlio proprio.

Rebeca Zlotowski, quarantaduenne regista e sceneggiatrice francese, dichiara di aver girato il film che lei stessa avrebbe voluto vedere al cinema su una quarantenne senza figli che si innamora di un padre single. Mentre cerca i trovare spazio nella famiglia dell’uomo, la donna incomincia a sentire il desiderio di avere una famiglia sua. Ma da personaggio tradizionalmente in secondo piano… è costretta a scomparire con la fine della storia d’amore.

Di fronte a tante pellicole che “urlano” urgenze, questo film sussurra con un linguaggio semplice ed essenziale un tema niente affatto marginale, su quanto senso materno ci sia in alcune “madri secondarie” a cui la vita non ha concesso di essere genitrici. Tra i tanti modi di esplorare le cure legate alla maternità, o al desiderio di essa, il film dimostra che queste non sono di appannaggio esclusivo delle sole madri biologiche, ma quasi un’essenza dell’essere donna: esplorando il tema della cura di quei figli che, come dice la protagonista, fanno penare i veri genitori per compensare la gioia di averli avuti, la regista pone l’accento su un tema piccolissimo, ma importante al tempo stesso, su come certi atteggiamenti materni possano sgorgare spontanei e profondi anche da chi madre non lo è, o per natura o per scelta, seppur di fronte ad una temporalità breve che non gioca a favore.

E senza voler svelare altro della storia, lo spirito lieve ma intenso che si coglie nel visionare questo film è ulteriormente esplicitato sul finale dalla scelta, decisamente vincente, della versione di Les eaux de Mars cantata da George Moustaky.

data di pubblicazione:26/09/2022


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