da Maria Letizia Panerai | Ago 31, 2023
(80. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia)
La regista Liliana Cavani, al Lido per ricevere il Leone d’oro alla carriera, ha presentato Fuori concorso L’ordine del tempo, sua ultima fatica dopo 21 anni di assenza dal grande schermo. In sala, alla presentazione in anteprima stampa, c’era anche una spettatrice d’eccezione: Charlotte Rampling, indimenticata interprete de Il portiere di notte, uno dei capolavori della oggi novantenne regista.
Un gruppo di amici si ritrova per qualche giorno, come è già accaduto negli anni durante le vacanze estive, nella villa di Sabaudia di Pietro e Elsa (Alessandro Gassmann e Claudia Gerini), lui medico e lei avvocato: ci sono l’insegnante di storia Paola e l’economista Viktor, lo psicanalista Jacob e sua moglie Greta; solo Enrico si fa attendere ma, dopo le innumerevoli insistenze del padrone di casa, anche lui raggiunge gli amici lasciando i suoi importanti impegni universitari presso la facoltà di Fisica. Di lì a poco arriverà anche Giulia, fisica ricercatrice, giusto in tempo per festeggiare i 50 anni di Elsa, la padrona di casa. Nel corso della giornata la comitiva apprende la terribile notizia che un meteorite sta per abbattersi sulla terra dalla donna peruviana che presta servizio nella villa, la quale, preoccupata delle sorti della sua famiglia, chiede a Pietro ed Elsa di partire immediatamente. La notizia viene poi confermata, seppur con molte reticenze, anche da Enrico, vistosamente preoccupato, e da Giulia: entrambi, cultori della materia, verranno sottoposti da tutti i presenti ad un enorme numero di quesiti di ogni genere. E così il nutrito numero di personaggi che anima la scena per tutta la durata del film (che trae ispirazione dall’omonimo libro del fisico Carlo Rovelli), comincia ad “elucubrare” sul concetto del tempo, ad iniziare da Elsa che, nell’affiancare la figlia alle prese con la traduzione di una versione di greco, spiega quante interpretazioni la parola tempo possa avere ed il pensiero filosofico che essa sottende. La notizia poi che il mondo potrebbe finire di esistere da lì a qualche ora, modifica completamente la percezione che ognuno dei personaggi ha di esso ma soprattutto dell’ordine che ognuno personalmente gli conferisce. Vero protagonista di tutta la vicenda, il tempo comincerà a scorrere diversamente per il giorno che il gruppo di amici passerà assieme: dopo, le loro vite ne risulteranno inevitabilmente modificate.
Sicuramente la cosa che immediatamente la regista ci comunica è che seppur l’argomento sia affrontato da un gruppo eterogeneo di persone, le problematiche che ne scaturiranno investiranno successivamente le singole coppie nel loro vissuto, regalandoci una seconda parte del film più intima e personale: la vita è una specie di viaggio che noi umani facciamo nell’universo secondo un programma che non abbiamo scelto ma che accade, così come tutto accade secondo “l’ordine del tempo”.
Gassmann e Gerini sono affiancati da Edoardo Leo, Ksenia Rappoport (da tanto tempo assente dagli schermi),Valentina Cervi, Francesco Rongione, Francesca Inaudi, Richard Sammel e Angela Molina, un cast per il quale Liliana Cavani ha avuto parole di elogio in conferenza stampa per essere stati capaci di esprimere con autenticità e varietà di emozioni ciò che il racconto richiede.
Al pubblico l’ardua sentenza; per chi scrive, nonostante il rispetto e l’ammirazione per la grandezza di una regista come Liliana Cavani, il film non è riuscito a trasmettere le emozioni che ci si sarebbe aspettati di provare, ma soprattutto il cast non è stato sempre all’altezza delle riflessioni che un gruppo “così colto” di persone avrebbero dovuto regalarci.
data di pubblicazione:31/08/2023
da Maria Letizia Panerai | Mag 5, 2023
Il più “morettiano” dei film di Moretti ci traghetta in un mondo nostalgico ma non malinconico, fatto di una “minoranza” felice a cui, se si vuole, ci si può idealmente unire sul finale: una sorta di porzione eterogenea di popolazione che continua a sperare in un presente che abbia ancora una sua forte identità, in cui ognuno possa vivere con uno stile tutto proprio nella consapevolezza che le proprie radici affondano in un passato glorioso che, seppur molto lontano, non bisogna mai dimenticare.
Nanni lascia i panni dell’alterego Michele Apicella per vestire quelli di Giovanni, un regista che crede ancora nel cinema, che vive nella magia e nei riti che lo accompagnano, e che rifiuta le piattaforme come forme alternative ad esso. Il suo produttore è sull’orlo del fallimento e lui non si decide a finire il suo film ambientato a Roma nel 1956 nella sezione del Partito Comunista del Quarticciolo durante l’invasione sovietica dell’Ungheria e che descrive l’attesa di Ennio, il segretario del circolo: questi attende che il partito palesi la sua posizione mentre sua moglie sodalizza immediatamente con la causa ungherese. Ma nei film di Moretti la finzione è realtà e viceversa e quindi i personaggi escono dal loro ruolo e gli attori diventano persone, con le loro idee che non sempre viaggiano all’unisono con quelle del regista: e mentre Vera-Barbora Bobulova vuole a tutti i costi inserire una storia d’amore tra lei e Ennio-Silvio Orlando in un film politico, nella mente di Giovanni, irritato da tanta irriverenza, si affollano i pensieri di altri due pellicole (una tratta da Il nuotatore di Cheever ed un’ altra con tante canzoni italiane) che gli piacerebbe girare e che sovente lo distolgono (seppur in maniera costruttiva) da tutto e da tutti. Nel frattempo sua moglie Paola, che sta andando senza dirglielo in analisi per trovare il coraggio di lasciarlo, è impegnata nella produzione del film di un giovane regista trentenne, astro nascente della cinematografia contemporanea, di cui Giovanni non ha alcuna stima; in tutto questo Emma, la loro unica figlia, decide di sposare un uomo molto più grande di lei.
Ma Moretti palesa immediatamente al pubblico con Il sol dell’avvenire da che parte preferisce stare e ne motiva ogni istante. Inizia così la sua “lotta” contro le piattaforme come Netflix, che chiudono il cinema in una scatola privandolo del suo “respiro”; contro i sabot, scarpe-non scarpe che identificano una “tragica visione del mondo”, una sorta di genere di vita più che una vera e propria scelta modaiola; sogna una storia d’amore con tante (e belle!) canzoni rigorosamente italiane; si infuria per la superficialità di una certa regia contemporanea (regalandoci una autentica lezione di cinema) che sceglie la spettacolarizzazione della violenza, invece di far provare allo spettatore disagio, orrore, fastidio innescando un messaggio sbagliato attraverso immagini sbagliate; e poi cita grandi registi come Fellini e grandi interpreti come Anthony Hopkins, e fa un compendio di tutta la sua cinematografia da Bianca a La messa è finita, da Palombella Rossa a Caro diario, dicendo in allegria tutto quello che gli piace dire non più da splendido quarantenne, ma con la consapevolezza di uno splendido quasi settantenne. E Roma appare in tutta la sua bellezza, a cui il regista si dichiara incondizionatamente. Il film è in concorso a Cannes 2023.
data di pubblicazione:05/05/2023
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da Maria Letizia Panerai | Feb 20, 2023
Presentato alla Berlinale 2022, è uscito finalmente nelle sale The quiet girl. Film poetico e delicato, di crescita interiore e di scoperta, narra una piccola grande storia che ha a che fare non solo con l’accudimento e l’affetto genitoriale, ma nella sua semplicità tocca vette molto alte, grazie ad una regia sapiente ed alla dodicenne Catherine Clinnch nei panni della protagonista, di cui non ci si può che innamorare all’istante.
Siamo in Irlanda, all’inizio degli anni ’80 quando nel nord del paese le carceri pullulavano di attivisti in sciopero della fame, l’aria era tesa e la politica di Margaret Thatcher inamovibile. Nelle campagne, dove il cielo è azzurro e l’erba di un verde che esiste solo lì, vive una affollata e povera famiglia, composta da cinque figli e uno in arrivo, una madre indaffarata ed anaffettiva ed un padre violento, infedele, inglese. La piccola Cait ha 9 anni, è sensibile, tendenzialmente tranquilla e silenziosa, osserva tutto e tutti con i suoi grandi occhi azzurri, ama la natura e subisce la competitività delle sorelle maggiori che la deridono, con quella cattiveria quasi animalesca di chi deve necessariamente prevalere sull’altro per la propria sopravvivenza. Durante la pausa estiva, in attesa che nasca il sesto figlio, i genitori decidono di mandare Cait a casa di una cugina e di suo marito, benestanti e senza figli, lei molto accogliente e materna, lui burbero e molto impegnato nella gestione della fattoria che conduce senza l’aiuto di nessuno. Ma in poco tempo quella bambina, spaventata e silenziosa, farà sbocciare qualcosa in quella coppia attempata e lei stessa scoprirà che un’altra vita è possibile, cominciando a conoscere e ad assaporare quel dolce e caldo sapore che ha la cura affettiva.
Il tema dell’accudimento genitoriale presso famiglie di parenti è già stato affrontato varie volte al cinema, basti pensare allo splendido L’Arminuta di Boniti tratto dall’omonimo potente romanzo di Donatella Di Pietrantonio; ma in The quiet girl, Cait fa un percorso di crescita interiore che non ha a che fare solo con la scoperta di un altro mondo più bello di quello di provenienza: la sua presa di coscienza la porterà ad un grado di maturazione che le permetterà di operare delle scelte affettive, perché la cura a volte ha poco a che fare con la provenienza “carnale” ma è qualcosa di più profondo, che nasce da dentro e che si costruisce giorno dopo giorno.
Il film si snoda in un crescendo di emozioni che sul finale provoca una vera e propria esplosione, di quelle che ti fanno uscire leggeri, appagati. Un piccolo gioiello, un fiore che, come la sua bravissima protagonista, sboccia tra il verde dei prati irlandesi.
data di pubblicazione:20/02/2023
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da Maria Letizia Panerai | Dic 23, 2022
Presentato in anteprima mondiale nel gennaio 2022 al Sundance Film Festival e in apertura tra i film Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, Living è la storia di un uomo ordinario che decide, in seguito ad un evento che stravolgerà la sua vita, di fare qualcosa in extremis per poter dare un senso alla sua esistenza grigia, vissuta in un angolo: decidendo di Vivere, appunto.
Remake del film del 1952 Ikiru di Akira Kurosawa, sceneggiato da Kazuo Ishiguro (Quel che resta del giorno e Non lasciarmi), “reimmaginato” dal regista Oliver Hermanus in una Londra anni cinquanta, Living è un film poetico e piacevolmente lento, emozionante e profondo, che racconta una piccola storia senza tempo, fatta di altruismo, riscatto e generosità, magnificamente interpretata dall’attore inglese Bill Nighy, da poco nominato come miglior attore ai Golden Globe.
Mr Williams (un Bill Nighy da Oscar) è il responsabile di un ufficio amministrativo comunale londinese preposto al rilascio di autorizzazioni per l’utilizzo di luoghi pubblici e alla loro eventuale riqualificazione. L’uomo, distaccato e di poche parole, è temuto e rispettato dai propri collaboratori che ne ammirano la puntualità, i suoi modi impeccabili e la sua presenza costante, doti che lo fanno essere una colonna portante dell’ufficio, oltre che un punto di riferimento per tutti. Finché un bel giorno, quest’uomo così irreprensibile, non fa rientro sul posto di lavoro senza dare alcuna giustificazione, decidendo di stravolgere quella sua vita così maledettamente uguale, intrisa di solo rigore, per tornare ad assaporare le piccole belle cose della vita, iniziando proprio con il cancellare quella routine così oppressiva che lo ha anestetizzato per troppi lunghissimi anni.
Il film regala una misurata emozione che tuttavia prende corpo piano piano, facendocene apprezzare la lentezza con cui si insinua in noi, sino a regalarci un finale poetico in cui ognuno può interrogarsi sull’importanza di lasciare una traccia del nostro passaggio su questa terra. È uno di quei film che non si fa fatica a consigliare, una storia universale che non ha una vera e propria collocazione spazio-temporale ma che, nel farci assaporare la felicità di Mr Williams per aver dato un senso alla propria vita, ci mette in pace con noi stessi e con tutto ciò che ci circonda.
data di pubblicazione:23/12/2022
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da Maria Letizia Panerai | Dic 19, 2022
È da alcuni giorni uscito nelle sale italiane lo ”stiloso” e sofisticato film di Marie Kreutzer Il corsetto dell’imperatrice. Ambientato a Vienna nel 1877 in occasione del compimento dei 40 anni dell’imperatrice Elisabetta d’Austria, il film ci restituisce un’immagine dell’imperatrice, conosciuta come la principessa Sissi, molto distante da quella interpretata anni orsono da Romy Schneider. Costretta dal suo rango a comparire in pubblico, Elisabetta è attanagliata dal timore che la sua bellezza stia sfiorendo, e da una profonda infelicità che le genera violenti ed incontrollati gesti di ribellione.
Il film è il ritratto di una donna indubbiamente bella, che per gestire il proprio aspetto si sottopone a diete ferree, sport di ogni genere e vestizioni con corsetti via via sempre più stretti che possano mettere in risalto un giro vita estremamente sottile. Finti svenimenti, allontanamenti volontari e continui da Corte, intrattenimenti con uomini più giovani che le restituiscono quei complimenti che l’imperatore non le fa più da molto tempo destinandoli solo a giovanissime dame di corte, sono gli ingredienti di una profonda e costante inquietudine che pervade la vita di una Sissi oramai quarantenne (in un epoca in cui iniziava anagraficamente il declino verso un’età matura) e stanca, sovente sopraffatta da istinti suicidi, madre distante di due figli infelici.
Personaggi ben delineati, come l’imperatore Francesco Giuseppe e gli stessi figli oltre alle dame di corte, fanno da sfondo a Vicky Krieps (splendida interprete ne Il filo nascosto accanto al magnifico Daniel Day-Lewis) che incarna magistralmente una principessa soffocata dalla gabbia dorata che il suo rango le impone, alla quale si ribella con tutte le sue forze, dando vita al ritratto di una donna che va ad aggiungersi alla fitta schiera di personaggi di spicco restituiteci negli ultimi tempi dal cinema in chiave contemporanea, a partire da Marie Antoinette di Sofia Coppola sino al recente Spencer di Pablo Larrain.
Costumi, ambientazioni, paesaggi sono particolarmente esaltati da un accompagnamento musicale indimenticabile e persistente che sottolinea questo clima claustrofobico in cui la protagonista, angosciata solo da doveri di facciata, deve suo malgrado muoversi e vivere, metaforicamente rappresentato da quel corsetto che si fa via via sempre più stretto, sino a toglierle il respiro come la vita a corte accanto ad un uomo che non la ama più e verso il quale ha come unica arma quella di alternare atteggiamenti volubili ed egocentrici a fughe continue, sino ad assaporare verso la fine dei suoi giorni una apparente ed effimera pace regalatele dall’eroina.
Presentato al Festival di Cannes nella Sezione Un Certain Regard, il film ha ottenuto un premio per la miglior interpretazione a Vicky Krieps e rappresenterà l’Austria agli Oscar 2023.
Decisamente da non perdere.
data di pubblicazione:19/12/2022
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