LE DUE VIE DEL DESTINO di JonathanTeplitzky, 2014

LE DUE VIE DEL DESTINO di JonathanTeplitzky, 2014

(Festival di Toronto-2013)

Singapore, 1942. L’ufficiale britannico Eric Lomax (Jeremy Irvine) viene fatto prigioniero dai giapponesi assieme a migliaia di giovani soldati inglesi, e trasferito in un campo di prigionia; costretti a lavorare come schiavi alla costruzione di una ferrovia di collegamento tra Birmania e Thailandia, molti di loro moriranno di stenti e malattie tropicali, anche a causa delle avverse condizioni climatiche. Ci spostiamo in Inghilterra, siamo nel 1980: un uomo non più giovane incontra una affascinante donna in treno e se ne innamora a prima vista. I due si sposano, ma la prima notte di nozze l’uomo ha degli incubi spaventosi che lo dilaniano. L’evento, ripetutosi varie volte, porta Patti (Nicole Kidman) ben presto a scoprire che suo marito Eric Lomax (Colin Firth), non è semplicemente sopravvissuto alla guerra, ma fu oggetto di atroci torture ad opera della polizia militare giapponese Kempeitai, e da allora tutte le notti lotta con un immagine: quella del suo aguzzino. Adattamento cinematografico dell’autobiografia omonima, Le due vie del destino avrebbe potuto essere un film sul perdono. Ed invece, pur parlando di fatti e persone non di finzione e pur avvalendosi dell’interpretazione di due grandi attori, ci lascia un po’ insoddisfatti, perché non decide da che parte stare: se diventare una pellicola su una toccante storia d’amore, dove il personaggio di lei – una Kidman che ha conosciuto perfomance migliori – avrebbe dovuto essere molto più incisivo e decisivo, o dedicarsi prevalentemente alla crudeltà della detenzione ad opera dei soldati giapponesi nei confronti degli inglesi. Ed in questo altalenante dilemma, il  film non focalizza l’aspetto forse più importante dell’intera vicenda: il perdono, appunto, che realmente Lomax concesse al suo aguzzino, a cui viene dedicata solo l’ultima scena del film.

data di pubblicazione 25/9/2014


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ANIME NERE di Francesco Munzi, 2014

ANIME NERE di Francesco Munzi, 2014

(71ma Mostra del Cinema di Venezia- in Concorso)

 

L’imprenditore Rocco, il trafficante di cocaina Luigi ed il pastore Luciano, sono fratelli e, seppur molto diversi tra loro, sono al tempo stesso accomunati da un dolore che ha segnato per sempre le loro vite: il padre, un pastore di Africo, molti anni addietro venne ucciso dal capo del clan della famiglia Barreca sotto gli occhi di Luigi, allora appena dodicenne. Trapiantati a Milano, ma fortemente ancorati alle proprie radici, Rocco e Luigi vivono come cristallizzati in quel passato che non vogliono dimenticare, mentre Luciano, l’unico fratello rimasto nella terra natia, sembra essere il solo a non nutrire alcuno spirito di vendetta per quell’antico fatto di sangue, accontentandosi di condurre una vita semplice senza ambire ad un futuro migliore né per sé né per la sua famiglia, a dispetto dell’enorme benessere in cui invece vivono i suoi fratelli minori. Suo figlio Leo, al contrario, ragazzo irrequieto e rancoroso, che non ne vuole sapere di fare il “capraro” come il nonno ed il padre, una notte compirà, sotto gli occhi del suo migliore amico, un gesto di bullismo volutamente oltraggioso nei confronti della famiglia Barreca, scatenando una vera e propria guerra che obbligherà lo zio Luigi a tornare in Calabria per tentare una riappacificazione tra i clan della ‘ndrangheta. Girato in alcuni paesi della Locride ed in Aspromonte, “blindato” da una recitazione in dialetto calabrese cui necessitano i sottotitoli per una completa comprensione, Anime Nere, che ha ottenuto a Venezia un’unanime apprezzamento dalla stampa sia nazionale che estera, è un film sull’ineluttabilità. Rocco, Luigi e Luciano vivono una vita imprigionata in un passato che alimenta solo vendetta, resi affini solo da un destino di guerra e violenza, immutabile e senza fine, che li travolgerà. L’ottima sceneggiatura ed un gruppo di interpreti bravissimi, ci fanno dono di una pellicola di raffinata bellezza che racconta senza emettere giudizi, lasciando allo spettatore un finale aperto, in cui l’universo femminile fa da coro ad una tragedia infinita che si consuma in un ambiente claustrofobico privo di speranza.

data di pubblicazione 25/9/2014


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I NOSTRI RAGAZZI di Ivano De Matteo, 2014

I NOSTRI RAGAZZI di Ivano De Matteo, 2014

(Giornate degli Autori-71ma Mostra del Cinema di Venezia)

Roma: due coppie borghesi, molto diverse tra loro, che si “obbligano” ad abituali frequentazioni solo perché i due mariti sono fratelli, vengono travolte e sconvolte da un dramma che coinvolge i rispettivi figli, Michele e Benedetta; i due cugini, adolescenti, che al contrario dei loro genitori scelgono di frequentarsi assiduamente – hanno gli stessi amici, vanno nella stessa scuola – una notte, rientrando a casa da una festa, una telecamera nascosta riprenderà due persone con le loro stesse sembianze mentre commettono un delitto: uno di quei fatti di cronaca nera di cui parlano certe trasmissioni televisive, di cui la madre di Michele è un’accanitissima fan. Dopo Gli equilibristi, Ivano De Matteo con I nostri ragazzi, indaga nuovamente il mondo degli adulti ma lo fa attraverso i figli, puntando il dito su una inconsapevole quanto drammatica incomunicabilità generazionale, su uno scollamento nei rapporti causato da cieco egoismo e da superficialità che può portare dei genitori a difendere ad oltranza i propri rampolli, a dispetto di tutti quei buoni principi su cui avevano basato sino ad allora la loro esistenza. Ad uno sguardo attento della locandina, quelli descritti da De Matteo sono adulti con una personalità frammentata, dove nulla è come appare; lucido, pieno di interrogativi stimolanti e con un cast di altissimo livello, I nostri ragazzi ha ricevuto il giusto tributo di applausi alla 71ma Mostra del Cinema di Venezia, e ci auguriamo che anche il pubblico possa mostrarsi fiero di un così buon prodotto italiano.

data di pubblicazione 18/9/2014


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L’UOMO CHE VERRA’ di Giorgio Diritti, 2009 (Festival di Roma 2010- In Concorso)

L’UOMO CHE VERRA’ di Giorgio Diritti, 2009 (Festival di Roma 2010- In Concorso)

Giorgio Diritti ambienta L’uomo che verrà nell’inverno del 1943, in una zona rurale alle pendici di Monte Sole, dove vivono numerose famiglie di contadini, focalizzando l’attenzione sulla famiglia di Martina, una bambina di 8 anni, interpretata da una toccante attrice esordiente, Greta Zuccari Montanari. La piccola Martina, la cui esistenza era stata segnata anni addietro dalla morte tra le sue braccia di un fratellino appena nato e che in seguito a questo trauma aveva scelto il mutismo, aspetta più di ogni altro componente della famiglia la nascita del bimbo che la madre porta in grembo, tenendo per sé le parole come dono futuro per questo nuovo arrivo. Ma il fratellino tanto atteso nascerà, purtroppo, la notte precedente la strage di Marzabotto, in cui furono trucidati durante una rappresaglia delle SS circa 770 civili, in prevalenza bambini, donne ed anziani, come atroce risposta alle azioni di guerriglia di una brigata partigiana della zona.

A questo film, autentica perla nel panorama nostrano ed internazionale, tuttavia la guerra e la storia fanno solo da sfondo: poetico e meravigliosamente semplice, come solo le storie raccontate bene sanno esserlo, il film di Diritti ci racconta “la storia” filtrata attraverso il mutismo della protagonista, che attraverso lo sguardo ci manifesta l’attesa per questo bambino che verrà come un inverosimile bagliore di speranza nel bel mezzo di una tragedia così terribile. Ottime le prove di Maya Sansa nelle vesti della madre di Martina, Alba Rohrwacher della zia e di Claudio Casadio che interpreta il padre. 


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IL FIGLIO PIÚ PICCOLO di Pupi Avati, 2010

IL FIGLIO PIÚ PICCOLO di Pupi Avati, 2010

L’immobiliarista romano Luciano Baietti (Christian De Sica), dietro consiglio del suo commercialista Sergio Bollino (Luca Zingaretti), per salvarsi da una situazione economica e giudiziaria difficile e dalla inevitabile galera avendo addosso Magistratura e Guardia di Finanza, decide di intestare la sua “Baietti Enterprise”, una società che naviga in bruttissime acque, al figlio più piccolo Baldo (il bravo attore esordiente Nicola Nocella). Il ragazzo, ingenuo ma buono e generoso, è stato cresciuto nel mito di questo padre mai conosciuto dalla madre Fiamma (Laura Morante). Ma ciò che fa del personaggio di Luciano Baietti un padre davvero spregevole, è che se ha potuto creare il suo impero immobiliare, è stato tutto grazie ai soldi dell’ingenua donna che lui stesso chiama la scemina, raggirata e derubata dei suoi beni immobili proprio grazie ad un “matrimonio-farsa” di cui solo lei sembra non essersi mai accorta. Commedia dai risvolti drammatici, Il figlio più piccolo nasce, per asserzione dello stesso Avati, da una voluta ispirazione alla famosa Commedia all’italiana dei tempi d’oro, quella che faceva riflettere senza operare delle omissioni sulle atrocità morali di certe azioni. Il regista completa così la sua trilogia sui padri, dedicandosi al peggiore, dopo il melanconico Diego Abatantuono ne La cena per farli conoscere ed l’irriducibile Silvio Orlando ne Il Papà di Giovanna, pellicola questa decisamente più convincente rispetto alle altre due.


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