da Maria Letizia Panerai | Dic 1, 2023
“Vi siete mai chiesti come mai accanto alla più grande acciaieria d’Europa non ci sia nemmeno una fabbrica di forchette? Il nostro acciaio serve a costruire la ricchezza di qualcun altro…”. Tra il 1997 ed il 1998 presso l’Ilva di Taranto venne praticato nei confronti di circa 80 impiegati specializzati una operazione di mobbing collettivo allo scopo di “fiaccarli”, per far accettare loro una novazione del contratto che declassava gli stipendi a salari, equiparandoli a quelli degli operai. Nel nostro paese in quegli anni si parlava poco di mobbing, ed in certi contesti non si sapeva neanche cosa fosse; oggi sappiamo che i posti in cui si manifesta con maggiore frequenza sono gli uffici e le aziende, e che nel mirino del mobber le più numerose sono le donne.
Ufficialmente la Palazzina LAF (acronimo di Laminatoio A Freddo) era un posto dove i proprietari e i dirigenti dell’Ilva decisero di confinare coloro che erano definiti “dei buoni a nulla”, in prevalenza impiegati a cui non andava di lavorare, a discapito degli operai che invece tutti i giorni si spaccavano la schiena negli altoforni. Per essersi dunque rifiutati di accettare una variazione delle loro mansioni, 80 di loro come punizione vennero mandati in questo luogo ad occupare stanze vuote dove un tempo c’erano dei vecchi archivi.
L’attore Michele Riondino, tarantino e figlio di un ex operaio dell’Ilva, dopo aver raccolto materiale e testimonianze per diversi anni, esordisce alla regia con questo film di denuncia presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, di cui ha scritto anche la sceneggiatura assieme a Maurizio Braucci; Vanessa Scalera, brindisina di origine, diventata famosa per il personaggio televisivo di Imma Tataranni, ha accettato un piccolo ruolo in questo film pur di esserci “come cittadina” ed il cantante tarantino Antonio Diodato ne ha curato la colonna sonora; ad Elio Germano il compito di interpretare il direttore del personale Giancarlo Basile, viscido e senza scrupoli, mentre Riondino veste i panni di Caterino Lamanna (l’unico personaggio parzialmente inventato), un operaio convinto che i “confinati” siano tutti realmente dei lavativi da punire. Lamanna, non avendo i mezzi culturali per accorgersi che quella sorta di confino rappresentava una grave violazione della dignità dei lavoratori, farà di tutto per farsi mandare nella Palazzina LAF, contento di essere pagato senza fare nulla. Riondino si ritaglia un ruolo scomodo che però rispecchia appieno quella che ingiustamente era l’opinione che circolava in azienda a discapito di quegli impiegati che, oltre a non poter più lavorare, dovevano anche subire l’umiliazione dell’opinione di colleghi e operai, ignari che quella purtroppo era una punizione nei confronti di pochi per educare i rimanenti 12.000 lavoratori.
Palazzina LAF, oltre a rappresentare un ottimo esordio di ferma e sentita condanna civile che denuncia parallelamente anche il tema delle polveri sottili, causa di gravi forme tumorali agli abitanti d’interi quartieri della periferia tarantina e dell’abbattimento di svariate centinaia di capi di bestiame che pascolavano nelle zone limitrofe gli stabilimenti, accende anche un faro su Taranto, una città che purtroppo sta morendo piano piano.
data di pubblicazione:1/12/2023
Scopri con un click il nostro voto:
da Maria Letizia Panerai | Dic 1, 2023
Cento domeniche è stato definito da Antonio Albanese “un film necessario” per trattare il mondo delle sue origini e puntare il dito su una politica distratta, che preferisce frequentare i talk show invece di tutelare le persone semplici, perbene, oneste, che impiegano una vita per mettersi da parte pochi risparmi, sovente frutto di un lavoro usurante, utili a realizzare un domani un sogno custodito nel cuore e nella mente, ma che un bel giorno può andare in fumo assieme il denaro che sarebbe servito ad esaudirlo, nell’indifferenza generale.
Antonio ha 59 anni, è in prepensionamento (“finiremo tutti in fondo ad un Fondo”), ma continua ugualmente a frequentare il cantiere nautico per insegnare, a titolo gratuito, il mestiere a qualche giovane operaio in prova. La sua vita è tranquilla: gioca a bocce con gli amici, ha una madre novantenne di cui si prende cura, mantiene un rapporto civile con la ex moglie ed ha anche una compagna “clandestina” che vede di tanto in tanto. Quando Emilia, sua figlia, gli comunica di volersi sposare, Antonio pensa che finalmente può coronare il sogno di accompagnarla all’altare, immagine che custodisce gelosamente nel suo cuore sin da quando Emilia era bambina, facendosi carico di regalarle il ricevimento di nozze che da sempre aveva immaginato per lei. Si confronta con gli amici, ne parla alla madre con entusiasmo e non vuole sentire ragioni con i futuri consuoceri, vistosamente benestanti: sarà lui ad occuparsene senza l’aiuto di nessuno. Finché un giorno un suo amico, che aveva impiegato “cento domeniche” per costruirsi mattone dopo mattone la casa dove vivere con la propria famiglia, potendoci lavorare l’unico giorno di riposo dopo un’intera settimana in cantiere, viene ricoverato in ospedale in seguito ad un malore, causato dalla notizia di aver perso i risparmi di una vita per un crack che aveva interessato alcuni Istituiti bancari, compresa la Banca dove Antonio ha investito i propri soldi.
Albanese, con grande maestria, rappresenta la vita del suo personaggio come una sorta di parabola drammaticamente discendente, vittima di qualcosa che non riesce a spiegarsi: egli proverà vergogna per essersi fidato e sensi di colpa invece che rabbia, e la condivisione che da sempre aveva contraddistinto la sua vita cede il passo all’isolamento, facendolo scivolare in un baratro dal quale non potrà rialzarsi. L’andamento lineare e sobrio della pellicola e il tema centrale della classe operaia, ha fatto apparire plausibile il paragone di questa storia con la filmografia di Ken Loach, regista, sceneggiatore ed attivista britannico che da sempre parla nelle sue pellicole di temi legati alle classi meno abbienti; così come si potrebbe accostare l’animo puro di Antonio Riva alla poetica delicata e struggente di cui sono intrisi certi personaggi che abitano le pellicole di Uberto Pasolini.
Tuttavia, “nobili” paragoni a parte, Cento domeniche ha il merito di parlare di un’Italia perbene, fatta di persone comuni che concepiscono ancora la solidarietà, l’aiuto reciproco, rappresentando un mondo fatto di strette di mano che pare essere sparito del tutto ma che un tempo esisteva, per lasciare il posto all’indifferenza in cui, nei tempi attuali, la nostra società sembra inevitabilmente precipitata. Se ne consiglia la visione.
data di pubblicazione:1/12/2023
Scopri con un click il nostro voto:
da Maria Letizia Panerai | Ott 21, 2023
(ROME FILM FEST, 18/29 Ottobre 2023)
“Vi siete mai chiesti come mai accanto alla più grande acciaieria d’Europa non ci sia nemmeno una fabbrica di forchette? Il nostro acciaio serve a costruire la ricchezza di qualcun altro…”. Tra il 1997 ed il 1998 presso l’Ilva di Taranto viene praticato nei confronti di circa 80 impiegati specializzati una operazione di mobbing collettivo allo scopo di “fiaccarli”, per far accettare loro una novazione del contratto che declassava gli stipendi a salari come quelli degli operai.
Ufficialmente la Palazzina LAF (acronimo di Laminatoio A Freddo) era un posto dove i proprietari e i dirigenti dell’Ilva decisero di spedire coloro che erano dei buoni a nulla, in prevalenza impiegati a cui non andava di lavorare, a discapito degli operai che invece tutti i giorni, a differenza di loro, si spaccavano la schiena negli altoforni. Per essersi dunque rifiutati di accettare una variazione delle loro mansioni, 80 impiegati come punizione vennero “confinati” in questo luogo ad occupare stanze vuote dove un tempo c’erano dei vecchi archivi.
Michele Riondino, tarantino e figlio di un operaio dell’Ilva, dopo aver raccolto materiale e testimonianze per diversi anni, esordisce alla regia con questo film di denuncia, di cui scrive anche la sceneggiatura assieme a Maurizio Braucci; l’amico di sempre Antonio Diodato ha curato la colonna sonora e Vanessa Scalera, brindisina, ha accettato un piccolo ruolo pur di esserci, impersonando una impiegata “punita” dal padrone e per questo spedita nella Palazzina LAF. Elio Germano interpreta Giancarlo Basile, direttore del personale viscido e senza troppi scrupoli, mentre Michele Riondino è Caterino Lamanna, un operaio convinto che i “confinati” siano tutti realmente dei lavativi da punire. Caterino (l’unico personaggio parzialmente inventato) farà di tutto per farsi mandare nella Palazzina LAF, contento di essere pagato senza fare nulla e collaborando in qualche modo nello spifferare al padrone tutto ciò che accade al suo interno, senza avere i mezzi per accorgersi realmente che quella sorta di confino rappresenta una grave violazione della dignità dei lavoratori.
Riondino si ritaglia un ruolo scomodo che però rispecchia appieno quella che ingiustamente era l’opinione che circolava in azienda a discapito di persone che, oltre a non poter più lavorare inventandosi qualsiasi cosa per ammazzare il tempo all’interno di uffici fantasma, dovevano anche subire l’umiliazione dell’opinione di colleghi e operai ignari che quella era una punizione nei confronti di pochi per educare i rimanenti 12.000 lavoratori. Per questa vicenda, realmente accaduta, la giustizia penale commisurerà al patron dell’Ilva Emilio Riva una condanna per violenza privata.
Palazzina LAF rappresenta un ottimo esordio di ferma e sentita condanna civile, che denuncia parallelamente anche il tema delle polveri sottili che causò oltre che gravi forme tumorali agli abitanti d’interi quartieri della periferia tarantina, anche l’abbattimento di 600 pecore che pascolavano nelle zone limitrofe gli stabilimenti.
data di pubblicazione:21/10/2023
da Maria Letizia Panerai | Ott 19, 2023
(ROME FILM FEST, 18/29 Ottobre 2023)
Siamo sul finire del 1700 quando Philippe Clicquot, proprietario di numerosi vigneti nella regione dello Champagne, decide di affidare la propria azienda al figlio Françoise che sposa, giovanissimo, la ventenne Barbe Nicole Ponsardin. Seppur combinato, il matrimonio è molto felice e tra i due nasce una profonda intesa destinata a durare nel tempo. Ma l’improvvisa morte di Françoise porterà la giovane vedova ad affrontare importanti decisioni.
Barbe Nicole, inizialmente osteggiata dal suocero che avrebbe preferito vendere al confinante Monsieur Moët i vigneti già fortemente in perdita a causa della eccentrica e non convenzionale gestione del suo giovane rampollo piuttosto che affidarli a quella giovane nuora senza esperienza, decide contro il parere di tutti di proseguire l’attività del marito. Si farà affiancare in questa gestione da Louis Bohne, un commesso viaggiatore che lo stesso Françoise aveva voluto al suo fianco per ampliare l’attività, portando all’estero il loro pregiato prodotto. Louis Bohne propone alla donna di esportare in Russia, nazione dove sino ad allora nessuno aveva osato spingersi: l’idea frutterà alla coppia in affari i primi insperati guadagni. Ma nel 1811 una vendemmia eccezionale chiamata “cometa” perché avvenuta in occasione del passaggio di una stella cometa nel cielo della regione dello Champagne, che pare favorì un’annata destinata a rimanere nella storia, sugellerà il successo della vedova Clicquot ed del suo omonimo champagne.
La pellicola, ambientata durante le guerre napoleoniche e prodotta da Joe Wright (regista di film quali Orgoglio e pregiudizio, Espiazione e Anna Karenina), è basata sulla storia vera della Grande Dama dello Champagne che a soli vent’anni rivoluzionò l’industria del settore sfidando la famiglia e lo stesso codice napoleonico che, fatta eccezione per le vedove costrette dalle circostanze a prendere il posto dei mariti, non riconosceva alle donne alcuna attività imprenditoriale. Presentato quest’anno in anteprima mondiale al TFF il film, seppur ambientato in Francia, ricorda le atmosfere di una certa cinematografia anglosassone in costume, oltre a vantare una fotografia che ci fa quasi sentire l’odore dei vigneti e dei suoi preziosissimi acini, in particolare nelle scene in cui Barbe si dedica alla chimica del suolo, accasciandosi sul terreno per cantare ai suoi vitigni come il suo estroso marito le aveva insegnato, sino all’assaggio ripetuto del suo prodotto ed al lungo studio delle tecniche di imbottigliamento. Ottimi gli attori, tra i quali spicca Haley Bennet nel ruolo di Barbie Nicole, che infonde al suo personaggio lo spessore di una figura femminile all’avanguardia, appassionata, creativa; la affiancano un intenso Tom Sturridge nel ruolo di Françoise ed un bravissimo Sam Riley che interpreta Louis Bohne. Il film, che non pecca certo di originalità per il tema trattato, rientra con merito nel novero di quelle pellicole che puntano un faro sul coraggio di certe figure femminili che hanno fatto la differenza in certi ambiti, sino ad allora, di esclusivo appannaggio maschile.
data di pubblicazione:19/10/2023
da Maria Letizia Panerai | Ott 13, 2023
Sembrerebbe una favola con tanto di lieto fine ed invece Nata per te, film diretto da Fabio Mollo già autore de Il padre d’Italia che raccontava una particolare storia di paternità, narra di una incredibile vicenda realmente accaduta a Napoli nel 2017, una sorta di incontro fatale tra due esseri soli.
Una bambina, affetta da sindrome di Down, una volta partorita in ospedale viene lasciata dalla madre naturale perché sia data in adozione. È l’alba di una calda giornata estiva e Nunzia (Antonia Truppo), l’infermiera che dal primo momento si prende amorevolmente cura della piccola, decide di chiamarla Alba, e con l’amore incondizionato di una madre le da come cognome Stellamia. L’adozione di Alba Stellamia passa immediatamente nelle mani del giudice minorile Livia Gianfelici (una convincente Barbora Bobulova) che si vede costretta ogni giorno ad applicare una legge del 1983 che impedisce ad un single o a coppie omosessuali di adottare; eppure, quella stessa legge di quarant’anni fa prevede, all’articolo 44, che in presenza di un bambino disabile anche un single può ottenerne l’affido. E così Luca (un bravissimo Pierluigi Gigante al suo primo ruolo da protagonista), fondatore di un centro di accoglienza per disabili, cattolico, non sposato e gay, avendo già presentato da tempo richiesta d’affido senza porre alcuna condizione sullo stato del minore ma solo spinto da un forte desiderio di paternità, diventa l’unica persona favorita dal momento che nessuna coppia si palesa nel voler adottare Alba. Verrà aiutato nel perorare la proposta di affido da Teresa Ranieri (una sorprendente Teresa Saponangelo), avvocata molto determinata, senza troppi peli sulla lingua, da poco ritornata dalla maternità per seguire qualche caso in tribunale. Il giudice Gianfelici decide per un affido temporaneo di un mese in favore dell’uomo. Sarà il primo piccolo passo verso qualcosa che sembra irraggiungibile: l’adozione!
Il film, che racconta l’unico caso di adozione in Italia da parte di un genitore single, è basato sulla storia vera di Luca Trapanese, fondatore di una Onlus che da anni svolge attività di volontariato, attualmente assessore al welfare del Comune di Napoli, e di sua figlia Alba. Dallo stile asciutto, convenzionale ma coinvolgente e di pacata ma decisa denuncia, Nata per te affronta temi di ogni genere: dalla discriminazione tra bambini sani e disabili, alla normativa sulle adozioni che a sua volta “discrimina” le persone non sposate che vorrebbero adottare, sino all’annoso problema se il genitore che vuole farlo è anche omosessuale. Nel plot sono molto importanti e centrate le figure femminili: ad iniziare dal giudice, che nel suo essere intransigente farà poi la differenza nel creare un precedente (perché solo un giudice può farlo) concedendo l’adozione ad un genitore single, mettendo così realmente al centro il diritto del minore e non il concetto di famiglia tradizionale; altra figura fondamentale è l’avvocata che non si arrende mai di fronte a nulla così come l’infermiera che si prende cura di Alba come fosse sua figlia, sino ad Antonia, la madre di Luca, interpretata da una brava ed affascinante Iaia Forte che riesce a tratteggiare con il suo comportamento un ambiente familiare scevro da ogni genere di pregiudizio.
Alba Trapanese oggi ha 7 anni, ha un padre ed una intera famiglia paterna che la ama.
data di pubblicazione:13/10/2023
Scopri con un click il nostro voto:
Gli ultimi commenti…