da Maria Letizia Panerai | Gen 22, 2015
Bianco, rosso e Verdone, film prodotto dal grande Sergio Leone, è una delle pellicole “storiche” e tra le più rappresentative del comico e regista romano perché, al pari di Un sacco bello, Borotalco, Troppo Forte e Viaggi di Nozze, ritrae tre dei suoi personaggi più conosciuti, tutti in viaggio verso Roma per raggiungere il seggio elettorale. Il primo è Furio, uomo insopportabile che martorizza la povera moglie Magda, diventato oramai sinonimo, nel linguaggio comune, di persona logorroica e pedante; poi c’è Mimmo, ragazzo giovane ed ingenuo, che ancora oggi viene ricordato per il frasario utilizzato nelle scene con la nonna, donna energica e che conosce bene come gira il mondo interpretata da Elena Fabrizi, meglio conosciuta come la Sora Lella, ristoratrice prestata al cinema nonché sorella del grande Aldo Fabrizi; infine c’è Pasquale, giovane emigrante italiano in Germania, un uomo rimasto bambino, goffo e sciatto, emblema tipico del “tamarro del sud” che indossa inspiegabilmente la t-shirt sollevata sino a metà del suo stomaco prominente, che non parla mai durante tutto il film ma che, approdato al seggio elettorale dopo aver subito una serie continua di furti e vessazioni, si sfoga nel suo incomprensibile dialetto d’origine, con un fiume di parole che inondano i titoli di coda.
A questa pellicola, divertente e da rivedere sempre con grande piacere, dedichiamo una ricetta che celebra la romanità, pur avendo un’origine campana: la mozzarella in carrozza.
INGREDIENTI: 1 confezione di pancarrè – ½ lt di latte intero – 3 uova – 200 gr. di pan grattato – 2 etti di farina – 1 fior di latte a fette – ½ etto di parmigiano grattugiato- sale e pepe q.b.- olio di mais o arachidi per friggere.
PROCEDIMENTO: Preparare prima tutti gli ingredienti sul tavolo da lavoro: mettere in un piatto piano la farina, in un altro il pan grattato, in una ciotola il latte ed in un’altra ciotola le uova sbattute regolate di sale e pepe nero. Prendere due fette di pancarrè, passarle prima nella farina, poi nell’uovo e metterci nell’interno una fetta o due di fiordilatte e un po’ di parmigiano (la vera ricetta romana vorrebbe anche un filetto di acciuga sminuzzato, che rende tutto più gustoso, mentre nella ricetta campana l’acciuga ed il fior di latte lasciano il passo alla mozzarella di bufala); richiudere le due fette con il ripieno ed “incollare” bene i lati esterni facendo pressione con le dita; assicuratevi che l’esterno del “panino” così ottenuto sia ben inzuppato di uovo anche sui laterali; passate quindi le due fatte di pancarrè ripiene nel pan grattato, avendo cura che ne siano ricoperte anche sui lati. Procedete così per tutte le fette di pancarrè (se si vuole ottenere delle porzioni più piccole, tagliare ogni fetta di pancarrè a triangolo e fare quindi la mozzarella in carrozza invece che quadrata, triangolare).
Friggere in abbondante e caldo olio di arachidi o di mais. Se si gradisce, salare in superficie la mozzarella in carrozza solo dopo averla fritta ed asciugata bene con carta assorbente.
Servire in un piatto da portata ricoperto di carta paglia.
da Maria Letizia Panerai | Gen 16, 2015
Il film, pluripremiato e con un cast femminile di tutto rispetto, è ambientato nei primi anni sessanta nello stato del Mississippi, profondamente segnato da storie di segregazione e razzismo. Una giovane ragazza bianca, dopo aver conseguito la laurea, invece di sognare il matrimonio come tutte le sue coetanee, decide di diventare scrittrice e pensa che possa essere interessante raccogliere in un libro le storie delle domestiche che frequentano le case dei bianchi benestanti di Jackson, facendole raccontare direttamente da loro. Aibileen e Minny, sono due di queste donne afroamericane che puliscono, cucinano e che, soprattutto, crescono i figli dei loro padroni bianchi come fossero i loro figli, anche se hanno il divieto assoluto di mangiare in loro compagnia e di usare gli stessi servizi igienici…Abbiniamo a questo film un tipico dolce da “merenda americana”, senza tuttavia voler in alcun modo collegare la ricetta dei nostri gustosi muffin al cioccolato e nocciole, alla famosa torta di cioccolato che Minny regala alla sua ex padrona: si consiglia di vedere il film per capire il perché….
INGREDIENTI: 170 gr. di farina – 170 gr. di zucchero – 170 ml. di olio – 3 uova – ½ bustina di lievito – 1 bustina di vanillina -1 etto di gocce di cioccolato fondente -1/2 etto di granella di nocciole -12 nocciole sbucciate e tostate – 12 pirottine di carta da forno per muffin.
PROCEDIMENTO: Fate scaldare il forno a 180° termo-ventilato. Lavorare in una coppa le uova con lo zucchero sino a farle diventare belle spumose; aggiungere alle uova, alternativamente, la farina e l’olio, lavorando sempre l’impasto con lo sbattitore ad una velocità media; aggiungere infine la vanillina e la ½ bustina di lievito. Quando il composto è pronto, aggiungere ad esso le gocce di cioccolato e la granella di nocciole, mescolando il tutto con un mestolo. Mettere l’impasto così ottenuto nelle 12 pirottine di carta da forno per muffin, che avrete adagiato su una leccarda da forno; infornate per 15 minuti. Togliete i muffin dal forno, che saranno belli gonfi e, prima che si freddino, infilzate delicatamente al centro di ognuno di loro una ad una le 12 nocciole tostate. Sono meravigliosi!
da Maria Letizia Panerai | Gen 7, 2015
Allacciate le cinture è il secondo film di Ozpetek ambientato nel Salento, in particolare a Lecce, che tuttavia si discosta da tutte le precedenti pellicole del regista turco perché, pur nella coralità che accomuna quasi tutti i suoi lavori, è il primo lungometraggio che ha al centro una storia d’amore tra un uomo e una donna. E’ un amore vero quello tra Elena e Antonio, così distanti ma inevitabilmente attratti l’uno dall’altra: ed è proprio questo amore che darà loro la forza di “allacciare le cinture” di fronte alle difficoltà della vita ed andare avanti senza mollare. Sicuramente a Ferzan Ozpetek, regista non sempre amato, bisogna riconoscere un pregio non comune: quello di essere un profondo osservatore e conoscitore di generi umani e di avere l’abilità di raccontare storie così ricche di sentimenti, aneddoti, situazioni disparate, in cui ciascun spettatore può trovare un lembo di sé.
Dedichiamo a questo film, una ricetta tipicamente pugliese, anche se un po’ rivisitata: la purea di fave.
INGREDIENTI: 300 gr. di fave secche decorticate – 1 grossa patata – 1 gambo di sedano – sale grosso q.b. – olio d’oliva q.b. – finocchietto selvatico
PROCEDIMENTO: Mettere a bagno le fave decorticate in un recipiente con dell’acqua calda ed un po’ di sale grosso, e farle stare in ammollo per tutta la notte. La mattina dopo scolarle e sciacquarle abbondantemente; metterle quindi in una pentola assieme alla patata fatta a pezzetti ed al gambo di sedano sempre tagliato a pezzetti. Coprirle con l’acqua sino a due dita sopra e metterle a cuocere a fuoco moderato per almeno 30/40 minuti, rimboccando di acqua tiepida se dovesse essere necessario, sino ad ottenere una purea.
La purea così ottenuta tende a raggrumarsi e a cristallizzarsi velocemente: niente paura, all’occorrenza basterà aggiungere un po’ di acqua e far riprendere il bollore. La purea di fave va servita calda con olio a crudo e con del finocchietto selvatico fresco o secco.
da Maria Letizia Panerai | Gen 4, 2015
A volte sono le persone che nessuno immagina che possano fare certe cose, quelle che fanno cose che nessuno può immaginare. Manchester 1951: Alan Turing, professore di matematica presso il laboratorio di fisica dell’università, in seguito ad una perquisizione delle autorità britanniche nel suo appartamento per indagare su una segnalazione di furto con scasso, viene successivamente arrestato per atti osceni in luogo pubblico. Durante l’interrogatorio, però, non gli vengono rivolte domande circa il motivo dell’arresto ma piuttosto su quale lavoro svolgesse durante la seconda guerra mondiale. Lo scienziato faceva infatti parte di un ristretto gruppo di esperti matematici ed analisti incaricati direttamente da Winston Churchill per conto del re, chiamati allo scopo di decodificare i messaggi di Enigma, il sistema che criptava le missive con cui lo stato maggiore militare nazista comunicava tutti gli attacchi, i bombardamenti e le operazioni militari. Messaggi, dunque, che viaggiavano nell’aria e che chiunque poteva captare perché apparentemente non segreti, ma che nessuno poteva capire perché non si conosceva come decodificarli: trovare la chiave di lettura di Enigma era l’incarico per sconfiggere Hitler e vincere la guerra. Ma Turing, giovane dal carattere impossibile e per nulla collaborativo con i colleghi, decise di andare oltre teorizzando un’intelligenza artificiale in grado di “imitare” il modo di ragionare degli uomini, ma con molte più possibili diversità di ragionamento, in modo da essere in grado di rintracciare i 159 milioni di milioni di milioni di combinazioni che Enigma ogni giorno era in grado di produrre, dai contenuti indecifrabili. Chiese ed ottenne direttamente da Churchill un cospicuo finanziamento ed un tempo illimitato di lavoro per progettare e costruire Christofer, un calcolatore digitale che potremmo definire il prototipo primordiale dei moderni computer. Grazie anche alla macchina di Turing, durante il secondo conflitto mondiale fu possibile la creazione di un archivio britannico di informazioni militari denominato Ultra, che partendo dalla conoscenza anticipata delle strategie nemiche, accorciò di molto la durata del conflitto salvando la vita a svariati milioni di persone.
Vincitore nel 2014 del Toronto International Film Festival e candidato a 5 Golden Globe per il 2015, The Imitation Game del norvegese Morten Tyldum, adattamento cinematografico della biografia di Alan Turing, si regge prevalentemente sulla bravura da Oscar di Benedict Cumberbatch, che riesce da solo a dare corpo al vero e proprio argomento centrale del film: il martirio di un genio, riabilitato come eroe solo nel 2013 dalla regina Elisabetta, che visse nell’Inghilterra dei primi anni ’50 quando l’omosessualità era illegale e la pena, in caso di arresto per atti osceni in luogo pubblico, era la castrazione chimica, moderna sostituzione dei lavori forzati ai quali era stato condannato a fine del 1800 Oscar Wilde.
Ottima la sceneggiatura, supportata da un ritmo che ricorre sovente al flashback, ma che tuttavia ruotando sempre intorno al protagonista penalizza il resto del cast sempre in ombra, anche per interpretazione; ne esce fuori un’opera biografica, dove la compagine storica in cui si svolge la vicenda potremmo quasi definirla marginale, o quantomeno pretestuosa per parlare di diversità ed emarginazione, partendo proprio dalla genialità del suo protagonista che non fu mai decodificata dalla cosiddetta “normalità”.
data di pubblicazione 04 /01/2015
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da Maria Letizia Panerai | Dic 30, 2014
(Festival di Cannes – in Concorso)
È il 1932 quando Jimmy Gralton fa rientro dagli Stati Uniti a Leitrim nel nord dell’Irlanda, per prendersi cura dell’anziana madre oramai rimasta sola: dieci anni prima si era reso colpevole di aver costruito la Pearse Connolly Hall, un capannone di lamiera dove i giovani come lui potevano incontrarsi, ballare e fare musica, cantare, seguire corsi d’arte, oltre che leggere e sentirsi liberi di esprimere ognuno le proprie idee, insomma un punto d’incontro e di condivisione per quel piccolo paese rurale. Nonostante l’esilio forzato, Jimmy non ha perso il “vizio” di volersi sentire libero né di trasmettere questo senso di libertà agli altri e, nel giro di pochi mesi, decide di riaprire quella sala causa del suo allontanamento. La Jimmy’s hall ben presto ri-diviene per la nuova generazione di Leitrim un vero e proprio centro sociale che come nel passato continua a fare ancora molta paura alle autorità, al parroco del posto e ai politici locali, perché in quel capannone in mezzo alla campagna si coltivano idee comuniste e si tengono atteggiamenti poco ortodossi tra ragazzi e ragazze che ballano al ritmo di jazz, la musica del diavolo importata direttamente da New York. Jimmy questa volta verrà espulso dal suo paese senza un processo, come “immigrato clandestino” pur essendo irlandese, e non vi farà più ritorno.
Applauditissimo al festival di Cannes Jimmy’s Hall-Una storia d’amore e libertà, che ha al centro la figura di quest’uomo realmente esistito, un personaggio leggendario, quasi un eroe romantico, potrebbe essere l’ultima fatica dell’oramai settantottenne Ken Loach che rivolge, anche in questo caso, lo sguardo verso le classi meno abbienti rappresentate sovente da personaggi portatori di un’enorme dignità. Con un sottotitolo perfetto, Jimmy’s Hall è realmente una storia di sentimenti perfettamente dosati con la politica, che mai come in questo caso assume il significato di libero pensiero, in perfetto equilibrio tra semplicità e melanconia.
data di pubblicazione 30 /12/2014
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