JULIETA di Pedro Almodòvar, 2016

JULIETA di Pedro Almodòvar, 2016

Almodòvar con il suo nuovo film è riuscito a dare una forma, un colore e un viso al dolore. Si rimane ipnotizzati dal modo con cui descrive il terribile vuoto nella vita di Julieta generato dall’assenza di sua figlia Antìa: “la tua assenza riempie totalmente la mia vita e la distrugge. Esisti solo tu”. Il dolore per Pedro Almodòvar ha la forma della mela che addenta la sua protagonista, ha il colore rosso fuoco, vivo e pulsante, del cuore tatuato sul braccio dell’amato Xoan, ha l’apparente peso di un sipario di velluto che poi diviene palpitante come un leggero vestito estivo che copre il corpo ancora giovane della sua Julieta, ha il viso di lei che cambia in un batter di ciglia mentre attende che ritorni la serenità perduta. Julieta è un film misurato, “contenuto” come dice lo stesso regista, che riesce a descrivere il tentativo di continuare a vivere dimenticando lo strappo lacerante di un distacco o di una perdita, per poi interrogarsi se è davvero possibile cancellare dalla propria memoria chi si ama profondamente, quando per un puro capriccio del fato riaffiorano ingombranti vecchi sensi di colpa che si pensava sopiti.

Per la protagonista della storia i sensi di colpa iniziano ad affacciarsi molti anni addietro durante l’inverno, nel vagone di un treno, in cui fortuitamente incontra un uomo triste e misterioso. Il treno si ferma bruscamente perché un cervo ha (forse) attraversato i binari. È notte, c’è la neve e fuori fa molto freddo; tra gli uomini che accorrono dopo la brusca frenata c’è Xoan, l’uomo della sua vita. In quella stessa notte e su quel treno verrà concepita Antìa, che per molti anni riempirà le vite di Julieta e Xoan, sino a quando la vita non metterà alla prova tanta felicità.

Vita e morte si mescolano come sempre nei film di Almodòvar e le donne ne sono il fulcro. Julieta racconta ciò che la vita può riservarci e lo fa in modo asciutto e crudele, senza troppi giri di parole. L’assenza, il distacco, il dolore sordo si percepiscono in questo film anche nell’essenzialità degli arredi, nelle vecchie carte da parati di appartamenti in affitto, negli oggetti e nei libri che ad un certo punto vengono impacchettati per essere portati in un nuovo appartamento, dove andranno parzialmente a riempirne spazi precedentemente abitati da altri, ma dove tuttavia, come una fiammella, alberga il desiderio di reagire, testimoniato dall’unione dei brandelli di una vecchia foto e da una scultura in bronzo ricoperta di argilla dall’aspetto compatto, che il vento non fa cadere…

Il regista spagnolo, passando attraverso il melodramma della sua precedente filmografia, si misura con il dramma, in cui la vita della protagonista ci viene descritta come in un thriller “le cose accadevano senza che io vi prendessi parte: una anticipava l’altra…”, mantenendo tuttavia quello stile di intrecci e colpi di scena che rendono Julieta inconfondibilmente sua, in cui le azioni/reazioni di questa donna indirizzano l’intera vicenda verso un epilogo che, come in ogni film di Almodòvar e nella vita, non risulta mai essere scontato.

data di pubblicazione:29/05/2016


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IMMATURI di Paolo Genovese, 2011

IMMATURI di Paolo Genovese, 2011

Questo divertente film di Paolo Genovese gioca su come esorcizzare un incubo che ognuno di noi ha vissuto almeno una volta nella vita: quello di dover ripetere l’esame di maturità!
Ai protagonisti di Immaturi capita davvero da adulti di doverlo ripetere e, per alcuni di loro, dopo aver conseguito una laurea ed essersi affermati professionalmente. E così lo psichiatra infantile Giorgio (Raoul Bova), l’agente immobiliare Lorenzo (Ricky Memphis), la manager Luisa (Barbora Bobulova), divorziata e con una figlia a carico, lo chef Francesca (Ambra Angiolini), affetta da un’irrefrenabile appetito sessuale e per questo motivo in costante contatto con Giorgio, il DJ Piero (Luca Bizzarri) il bugiardo del gruppo, l’“infedele di professione” Virgilio (Paolo Kessisoglu) e l’ex fidanzata di Giorgio Eleonora (Anita Caprioli), si vedono annullare dal Ministero della Pubblica Istruzione il loro esame di maturità e, per non vedere compromesse le loro attività lavorative ed i loro titoli di studi presi successivamente, saranno costretti a ripeterlo. Il più immaturo, almeno in apparenza, sembra essere rimasto Lorenzo (un divertentissimo Ricky Memphis, figlio sulla scena di Giovanna Ralli e Maurizio Mattioli): diplomatosi con il massimo dei voti ai tempi del liceo, da allora continua a comportarsi come un inguaribile bamboccione non volendone sapere di andare a vivere da solo, continuando addirittura a dormire nella camera di quando era ragazzo con tanto di letto a castello!
Il gruppo di ex liceali, ricreatosi per l’occasione, si confronterà sul presente e soprattutto sul passato, ritrovando quell’affiatamento che sembrava perduto.
Il film è molto divertente e consacra Genovese nella veste di regista. A questa pellicola, che ci ributta inevitabilmente indietro negli anni, dedichiamo una ricetta semplice che sa di prima colazione casalinga: il plumcake all’arancia.

INGREDIENTI: 250gr di farina – 250 gr di zucchero – 170ml di olio di riso – 4 uova intere – 50ml di latte -1 bustina di vanillina – 1 bustina di lievito –succo di 1 arancia grande e la sua scorza tagliata fine – 1 pizzico di sale – zucchero a velo per decorare.
PROCEDIMENTO:
Accendere il forno a 170° (termoventilato) e farlo scaldare bene. Mettere in una coppa lo zucchero e la scorza dell’arancia, poi l’olio di riso e le uova ad una ad una, lavorare bene il composto, quindi aggiungi il latte, il succo dell’arancia e a pioggia setaccia la farina continuando a mescolare per farla incorporare bene. Infine aggiungere la bustina di lievito continuando a girare. Versare il composto (che risulterà piuttosto liquido) in uno stampo da plumcake imburrato e sul quale avremo passato un po’ di farina. Mettere in forno per 45 minuti. Quando il plumcake sarà freddo, cospargere con abbondante zucchero a velo.

Note:
-unitamente al succo dell’arancia si può rendere il plumcake più aromatico se aggiungeremo del cointreau o del grand marnier.

LES SOUVENIRS di Jean Paul Rouve, 2016

LES SOUVENIRS di Jean Paul Rouve, 2016

Jean Paul Rouve dirige una commedia lieve, graziosa, delicata, attraversata dal sottile filo della vita che scorre. Madeleine (Annie Cordi) una donna anziana rimasta sola dopo la morte del marito, viene portata dai suoi tre figli maschi in una casa di riposo contro il suo volere. L’unico che sembra capirla è suo nipote Romain (Mathieu Spinosi), figlio del suo primogenito Michel (Michel Blanc), con il quale l’anziana signora ha un’intesa particolare; anche sua nuora Nathalie (Chantal Lauby) sembra avere con lei maggiori affinità di Michel, uomo e marito noioso e prevedibile, privo di interessi e di cose da fare da quando è andato in pensione. Sarà proprio il carattere combattivo di Madeleine che riporterà un po’ di sale nelle loro vite, non appena la donna deciderà di scappare dalla casa di riposo facendo perdere le sue tracce e gettando i suoi figli nello sconforto totale. Ma Romain, con i suoi 23 anni ed il suo sogno di diventare uno scrittore, riuscirà grazie a quello speciale legame che li unisce, a mettersi sulle sue tracce, in un viaggio che gli farà comprendere il significato vero dei ricordi e quanto essi possano essere un balsamo rigenerante per rinvigorire il presente. Les souvenirs, appunto, parla di questo: di come non bisogna dimenticare ciò che si è stati, sforzandosi di apprezzare ogni stagione dell’esistenza per dare un significato a ciò che stiamo vivendo. La melanconia leggera ed il sorriso albergano in questo gioiellino francese, dall’andamento circolare che si apre e si chiude con la medesima scena e che ci fa assaporare il dolce scorrere della vita, in cui l’evento della morte le si contrappone, ma tuttavia ad essa si lega naturalmente. Bravissimi gli attori, meravigliosa l’intesa nonna-nipote che ci fa respirare l’importanza profonda di simili legami intergenerazionali. Michel Blanc conferma la sua già nota bravura e la frase con la quale conquista la sua Nathalie è un autentico capolavoro: signorina, lei è così bella che non voglio rivederla mai più! Il film invece è decisamente da vedere.

data di pubblicazione:1 maggio 2016


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NEMICHE PER LA PELLE di Luca Lucini, 2016

NEMICHE PER LA PELLE di Luca Lucini, 2016

Luca Lucini (La donna della mia vita, Solo un padre, Oggi sposi, Amore,bugie & calcetto) confeziona con Nemiche per la pelle una commedia divertente, confermando la tendenza di questo 2016 inaugurato dall’esplosione del “fenomeno Zalone” ed ulteriormente consacrata in questi giorni con l’assegnazione del David di Donatello come migliore film a Perfetti sconosciuti, invertendo l’orientamento che storicamente voleva il genere commedia in perenne posizione secondaria.

Il pregio principale del film di Lucini è soprattutto quello di aver portato alla ribalta una nuova coppia comica, tutta al femminile, che funziona veramente: Buy e Gerini non dimostrano di essere brave perché sarebbe pleonastico dirlo, ma di saper lavorare su piani paralleli prestandosi una a fare da spalla all’altra, cosa poi non così scontata e facile e che solo i veri attori sanno fare, conferendo al film una forza che altrimenti non avrebbe, vista la fragilità dello script. Lucia (Buy) è una sorta di veterinaria che si occupa più dell’aspetto psicologico dei suoi “pazienti”, tutta intenta in sedute psicoanalitiche per cani e gatti, vegana, ansiosa e problematica, con il classico abbigliamento di chi non segue affatto le mode e che non si cura di mortificare la propria femminilità; Fabiola (Gerini) gestisce un’agenzia di compravendita di immobili di lusso, aggressiva nei modi e nell’abbigliamento, aculturata ma intelligente, tutta dedita al lavoro che svolge con instancabile dedizione. Queste due donne, palesemente agli antipodi, saranno costrette a condividere l’educazione del figlio illegittimo del defunto Paolo, ex marito di Lucia ed attuale marito di Fabiola (ma a quanto pare non molto fedele), per seguire la sua volontà testamentaria espressa in un documento gelosamente custodito nelle mani di un fidato avvocato di famiglia (Paolo Calabresi).

Si ride e ci si diverte, i tempi comici ci sono ed il film tutto sommato è gradevole. La cosa più divertente è l’inadeguatezza di queste due donne verso questo bambino, non solo nell’educazione ma nel raffrontarsi con qualsiasi tipo di problematica legata all’infanzia, come se loro non ne avessero mai avuta una di infanzia. Brillante il personaggio dell’avvocato, meno quello del fidanzato della Buy impersonato da un impacciato Giampaolo Morelli, che abbiamo amato di più negli originali panni del cantante neomelodico Lollo Love in Song’e Napule dei Manetti Bros.

data di pubblicazione: 21/04/2016


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MISTER CHOCOLAT di Roschdy Zem, 2016

MISTER CHOCOLAT di Roschdy Zem, 2016

Non convince la storia di Mister Chocolat, il primo artista circense nero che conobbe fama e danaro tra la fine dell’800 ed inizi 900 in Francia, in un periodo inevitabilmente carico di pregiudizi e discriminazioni. Rafael Padilla, in arte Chocolat per il colore della sua pelle, dopo aver fatto i mestieri più disparati, riesce in maniera fortuita a lavorare clandestinamente in un piccolo circo di provincia alle dipendenze del Signor Delvaux. Inizialmente si esibisce impersonando lo stereotipo del selvaggio che viene dal continente africano, seminudo con tanto di pelle maculata addosso, emettendo incomprensibili versi gutturali con il precipuo compito di terrorizzare donne e bambini presenti tra il pubblico, facendosi accompagnare in scena da una scimmia. Finché un giorno il clown Footit, un vero professionista che tuttavia non riusciva più ad accontentare il suo pubblico, nota Rafael e ravvisa in lui un potenziale comico oltre a notevoli doti di cascatore. L’inusuale duo comico Footit-Chocolat ottiene da subito un notevole successo e ben presto, notati da un impresario parigino, lasceranno il circo Delvaux alla volta di Parigi. Fama, danaro, donne e gioco d’azzardo saranno la “droga” con cui Mister Chocolat si stordirà nella Parigi della Bella Epoque, sino ad arrivare a nutrire ambizioni teatrali.

Omar Sy, nel ruolo di Rafael Padilla, non riesce ad eguagliare le precedenti interpretazioni: la disinvoltura a volte esagerata con cui si muove nei panni di Rafael Padilla in un ambiente di bianchi alquanto chiuso, colonialista ed inevitabilmente razzista, conferisce al suo personaggio scarsa credibilità, non riuscendo a farci dimenticare la carica di umanità di Driss in Quasi amici, né la profonda intensità di Samba nel film omonimo, accanto alla sempre brava Charlotte Gainsbourg.  

In Mister Chocolat è sicuramente da apprezzare la ricostruzione scenografica dell’epoca, come molto belli sono i costumi, ma la storia, seppur attinga dal vero, non emoziona né commuove, e nel complesso la pellicola non ha quello spessore che la bizzarra vicenda di quest’uomo realmente esistito avrebbe fatto sperare.

data di pubblicazione:13/04/2016


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