da Maria Letizia Panerai | Mag 9, 2017
Walter Matthau è Padre Maurizio, un prete americano specializzato in esorcismi. Nel liberare una giovane donna dal demonio, questi salta fuori dal corpo della sventurata nella forma di un simpatico diavoletto che si fa chiamare Giuditta (Roberto Benigni). Scappato dall’aldilà per scoprire come funziona il mondo dei vivi e, curioso come un bambino, Giuditta dichiara immediatamente di voler restare sulla terra perché tutto gli sembra molto divertente e nuovo. Dispettoso, stravagante e burlone, Giuditta diventerà ben presto l’ossessione di Padre Maurizio, la cui vita era già abbastanza complicata a causa di una relazione sentimentale con Patrizia (Stefania Sandrelli). Diretto ed interpretato da Roberto Benigni, affiancato da un partner d’eccezione come Walter Matthau, Il piccolo diavolo è una commedia esilarante, ricca di trovate geniali e battute che ancora oggi vengono ricordate come, ad esempio, quando Maurizio viene rimpiazzato dal diavoletto per la celebrazione della Messa che verrà trasformata da questi in una simpatica sfilata di moda: famosa la frase di Benigni-Giuditta “Modello numero 4: Giuditta! Eh, ora io non voglio influenzare nessuno. Guardatelo in silenzio e riflettete. Avete aspettato un’ora ma ora finalmente lo potete vedere: è un modello scintillante, intimo, malinconico e – com’era? – e sincero e… ma è un modello soprattutto adatto per saltare questa Giuditta!”
A questo film, più che mai irriverente del toscanaccio Benigni, non potevamo che abbinare un’altra versione del castagnaccio, più ricca e gustosa di quella classica già pubblicata (vedi Il Mostro). Ecco qui di seguito come si esegue la ricetta del castagnaccio morbido.
INGREDIENTI: 300 gr di farina di castagne – 80 gr di zucchero – 50 gr di olio di semi – 2 uova – 500 gr di latte – 80 gr di noci sgusciate – 80 gr di pinoli – 50 gr di uvetta ammollata nel brandy o nel rum –– sale e rosmarino q.b..
PROCEDIMENTO:
Setacciare la farina di castagne in una ciotola ed aggiungere prima lo zucchero e poi il latte filo mescolando con una frusta, e alternando latte alle uova una per volta; infine aggiungere l’olio di semi; appena il composto diventa liscio, aggiungere le noci tritate grossolanamente, i pinoli interi e l’uvetta strizzata. Tenere da parte qualche pinolo e un po’ di uvetta da mettere sopra la torta. Mettere la carta da forno su una teglia dai bordi bassi e versare il composto livellandolo con una spatola. Cospargere la superficie con l’uvetta e i pinoli rimasti, aggiungendo un pochino di rosmarino. Condire il tutto con un filo d’olio. Cuocere a forno caldo fisso solo sotto a 180° per 30 minuti. Sopra si formeranno delle crepe e la frutta sarà dorata.
da Maria Letizia Panerai | Mar 28, 2017
Scritto dallo stesso Benigni in collaborazione con Vincenzo Cerami, il film si è verosimilmente ispirato ai fatti che insanguinarono Firenze per mano del famoso Mostro di Scandicci. Benigni impersona Loris, un disoccupato che si guadagna da vivere con lavoretti saltuari e qualche truffa e che abita in un appartamento di proprietà di un odioso amministratore di condominio. Perseguitato dai condomini, ai quali ha rubato uno dei sette nani da giardino (Mammolo), Loris cerca sempre di passare inosservato ogni volta che esce dal palazzo per non farsi vedere e fermare da nessuno. Ha tuttavia una strana ostinazione: quella di prendere lezioni di cinese da un professore apparentemente garbato e tranquillo. Ma proprio perché Loris è una brava persona che ha come unica pecca quella di arrangiarsi con qualche piccolo espediente per campare, diventerà inevitabilmente il principale sospettato di essere lui il pericoloso maniaco assassino che da qualche tempo sta terrorizzando il quartiere, uccidendo donne sole ed indifese. Loris, ovviamente ignaro di essere nel mirino delle forze dell’ordine che lo tengono sotto controllo in attesa che compia un passo falso, se la dovrà vedere con una poliziotta in borghese che cercherà di sedurlo per coglierlo in flagranza di reato, e con un psichiatra criminologo (un meraviglioso Michel Blanc) che farà di tutto per riscontrare in ogni suo più normale atteggiamento il segno di una patologia criminale, già data per scontata.
Il Mostro superò, e a ragione, il successo di Jonny Stecchino, ed alcune scene di questa meravigliosa commedia come l’esame di cinese, l’assemblea di condominio, la scene in cui il criminologo cerca di prendere le misure al corpo di Loris fingendosi “un sarto”, quella di Loris con il manichino e molte altre ancora, sono rimaste nella storia della cinematografia italiana.
Non potevamo che abbinare a questo film, in omaggio alla toscanità di questo splendido artista nonchè premio Oscar, una classica ricetta di castagnaccio.
INGREDIENTI: 300 gr di farina di castagne – 300 gr di acqua – 80 gr di noci sgusciate – 80 gr di pinoli – 50 gr di uvetta ammollata nel brandy o nel rum – 50 gr di olio di semi o extravergine d’oliva – sale e rosmarino q.b..
PROCEDIMENTO:
Setacciare la farina di castagne in una ciotola ed aggiungere l’acqua a filo mescolando con una frusta. Aggiungere quindi l’olio di semi (o a piacimento extravergine d’oliva) e, appena il composto è liscio, aggiungere le noci tritate grossolanamente, i pinoli interi e l’uvetta strizzata, tenendo da parte qualche pinolo e un po’ di uvetta da mettere sopra la torta. Mettere la carta da forno su una teglia dai bordi bassi e versare il composto livellandolo con una spatola. Cospargere la superficie con pinoli, uvetta e un pochino di rosmarino. Aggiungere un filo d’olio. Cuocere a forno caldo fisso solo sotto a 180° per 20/30 minuti. Togliere la teglia dal forno non appena sopra il castagnaccio si formeranno delle crepe e la frutta sarà dorata.
da Maria Letizia Panerai | Mar 22, 2017
“Ma la mafia ucciderà anche noi?”- “Tranquillo, ora siamo d’inverno…la mafia uccide solo d’estate”. Questo primo lungometraggio di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, è una commedia drammatica fortemente ironica, che narra di una sanguinosa stagione dell’attività mafiosa di Cosa Nostra a Palermo attraverso la vita e i racconti di Arturo Giammarresi, in un arco temporale che va dalla sua infanzia sino all’età adulta. Nato in una Palermo amministrata da Vito Ciancimino, Arturo sin da piccolo sembra aver un fiuto particolare nel riconoscere i mafiosi. Siamo negli anni settanta ed in occasione della nascita del suo fratellino, Arturo fa la sua prima importante conoscenza in quanto, tra i padri accorsi al nido per osservare i propri figli appena nati, ce n’era un po’ particolare: Salvatore Riina. Alle elementari conosce la figlia di un famoso banchiere che vive nello stesso stabile di Rocco Chinnici e di cui Arturo diventerà “amico e confidente”: lei si chiama Flora ed Arturo se ne innamora perdutamente; al suo primo carnevale Arturo sceglie di vestirsi da Giulio Andreotti dopo essere stato folgorato da alcune sue dichiarazioni durante una trasmissione televisiva. La vita di Arturo è dunque puntellata da avvenimenti ed incontri che lo riconducono costantemente, anche se sotto aspetti diversi, alla mafia: egli di fatto “assiste”, come una sorta di involontario testimone – ndr. Il testimone è stato un programma televisivo di grande successo di Pif – alle morti di Boris Giuliano, Pio La Torre e Carlo Alberto dalla Chiesa, con i quali in qualche modo “era venuto in contatto” nella sua personale lotta alla mafia, sino a sfiorare le figure di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino in occasione delle stragi di Capaci e Via d’Amelio. Il piccolo Giammarresi conosce anche Francesco, un giornalista che per il suo impegno contro la mafia è obbligato dal direttore del giornale a curare le rubriche sportive: sarà proprio lui, quale figura emblematica di libertà di pensiero e parola, a spronarlo a diventare da grande un giornalista.
La mafia uccide solo d’estate ha ricevuto molti e meritati premi tra cui due David, due Nastri d’argento, l’Europian Film Award, un Globo d’oro; da esso ne è nata una serie TV di grande successo che ha portato anche sul piccolo schermo, in maniera assolutamente insolita, argomenti e situazioni che tutti conosciamo purtroppo molto bene, attraverso la vita ed i racconti del piccolo Giammarresi.
A questo film, ambientato in Sicilia, associamo una ricetta a base di mandorle, ingrediente di cui questa regione è ricca assieme a molte altre buone e splendide cose. Ecco come eseguire dei facili ma buonissimi amaretti morbidi.
INGREDIENTI: 500 gr di mandorle pelate intere – 400 gr di zucchero – 4 albumi montati a neve ferma – 1 cucchiaio da tavola raso di farina – ostie.
PROCEDIMENTO: Accendete il forno a 160° per farlo ben scaldare. Macinare grossolanamente le mandorle e metterle in una coppa, aggiungere lo zucchero ed un cucchiaio raso di farina per dare più corpo; incorporare quindi gli albumi montati a neve girando con un cucchiaio di legno con un movimento dal basso verso l’alto per non fare smontare gli albumi. Aiutandosi con due cucchiai da tavola, fare delle forme di amaretto adagiandoli su ostie, distanziate regolarmente, sopra della carta da forno con cui avrete foderato una leccarda. Mettere la leccarda in forno ben caldo (fisso solo sotto e non termo-ventilato altrimenti gli amaretti si asciugano troppo), e fate cuocere gli amaretti per 10/12 minuti: tirateli fuori appena dorati. Conservare gli amaretti non appena di saranno freddati in una scatola di latta foderata di carta oleata.
da Maria Letizia Panerai | Mar 19, 2017
Paolo si imbatte in Mia durante una serata in discoteca. Lei gli sviene tra le braccia: da quel momento le loro vite si legano indissolubilmente in qualcosa che è molto più grande di quanto possano sperare, perché ha a che fare con la realizzazione dei desideri più profondi, quelli che non si pensa mai, un giorno, possano diventare realtà.
Paolo, taciturno, introverso e solitario, è un uomo che vuole nascondersi alla vita e non vuol essere trovato. Cresciuto in un orfanotrofio, tra l’affetto delle suore e la compagnia di bambini sfortunati come lui, della madre non ricorda più il viso ma solo le spalle, che ancora oggi rappresentano il suo incubo ricorrente, testimonianza di un tragico abbandono. Mia, con la sua vitalità, riesce a stravolgere tanta apparente tranquillità: è una ragazza esuberante, bugiarda, che fuma e beve pur essendo in avanzato stato di gravidanza, e racconta a Paolo tasselli di una vita inventata al momento, in cui anche lei in fondo vuole crederci un po’. Eppure Paolo ci crede e ne viene attratto, proprio lui che è da poco uscito da una storia straziante con Mario, l’uomo con cui non ha voluto impegnarsi dopo aver condiviso otto anni della sua vita; con Mia invece mette tutto in discussione: lavoro, vita, abitudini, forse perché lei ha il dono di portare in grembo una creatura con cui potrebbe creare quella famiglia che non ha mai avuto, quel sogno etero, che lui colloca nella normalità, e che gli è sempre stato negato.
Esce nelle sale Il padre d’Italia, secondo lungometraggio del regista e sceneggiatore Fabio Mollo, road movie in cui i protagonisti partono da Torino per arrivare, passando da Asti, Roma e Napoli, sino alle case sempre in costruzione e mai finite di Gioia Tauro, con le strade abitate da soli uomini e le case piene di donne intente a fare lavori domestici, tra il rumore di un mare cristallino di cui nessuno sembra accorgersi. Il film, attraverso le vicende intime dei due protagonisti, parla d’amore ed anche dell’importanza del ruolo genitoriale, e lo fa partendo dall’opposto ovvero dall’assenza di desideri, da quel lasciarsi andare ad una vita preconfezionata, precaria, senza futuro, fatta di non-scelte, in cui si tende a reprimere ogni sogno perché sognare vuol dire guardare al futuro quando invece, per impossibilità o semplicemente per paura, si può solo vivere il presente.
Le figure di Paolo e Mia sono, seppur estremizzate, assolutamente profonde e reali perché rappresentano gli alti e i bassi di un medesimo presente: due vite solitarie ed incomprese che riusciranno ad aprirsi uno spiraglio per guardare oltre.
Il film merita di esser visto. Una menzione particolare va agli interpreti: Isabella Ragonese (Il giovane favoloso, Dobbiamo parlare) e Anna Ferruzzo (Anime Nere, Le ultime cose), che nei ruoli rispettivamente di figlia e madre incarnano splendidamente due figure femminili agli antipodi; e il bravissimo Luca Marinelli (Non essere cattivo, Lo chiamavano Jeeg Robot), che riesce a commuoverci profondamente con la sua toccante interpretazione declinata attraverso gli occhi di Paolo, occhi che riescono ancor prima delle parole a dirci tutto ciò che c’è da sapere.
data di pubblicazione:19/03/2017
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da Maria Letizia Panerai | Feb 19, 2017
Lee Chandler (Casey Affleck) è un tipo taciturno che lavora come “factotum” presso un condominio, in una non meglio identificata località degli Stati Uniti. Passa le sue giornate in solitudine, facendo ogni genere di riparazioni presso case private per poi tornarsene la sera, dopo aver bevuto una birra al pub, a dormire davanti la TV in una stanza nel sottoscala del palazzo. Non appena riceve la notizia che il suo unico fratello Joe, malato di cuore da diverso tempo, è morto per un infarto, è costretto a tornare a Manchester, nel Massachusetts.
Lee, profondamente addolorato dalla perdita, sarà l’unico a potersi occupare del funerale e scoprirà, di lì a breve, che Joe lo ha nominato tutore di suo figlio Patrick ancora minorenne.
Questo non preventivato soggiorno obbligato a Manchester, per un periodo piuttosto lungo, farà prepotentemente riemergere in Lee ricordi dolorosi sino ad allora soffocati dal grigiore della sua esistenza, veri e propri demoni che corrodono giorno dopo giorno la sua coscienza. Ritornare alle proprie radici, in questa bella cittadina con il faro e le barche dei pescatori dove un tempo era stato felice, lo obbligherà a fare i conti con un passato che lo ha ineluttabilmente segnato.
Manchester by the sea di Kenneth Lonergan, è stato preceduto da giudizi estremamente lusinghieri quando, in ottobre, fu presentato nella selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma.
In effetti il film si avvale di un cast di primissimo livello, con interpretazioni molto misurate, quasi sussurrate, senza eccessi, urla o atteggiamenti sopra le righe, tra cui spicca per bravura Casey Affleck nella parte del protagonista, candidato come miglior attore agli Oscar 2017. Seppur tutto questo sia un pregio, che sembrerebbe far discostare la pellicola dal solito cliché del drammone esistenziale americano, i 135 minuti pacati e lenti di questa storia irrimediabilmente senza ritorno non conferiscono profondità ma, al contrario, finiscono con l’annoiare lo spettatore costretto a seguire il susseguirsi della grigia vita drammaticamente prevedibile del protagonista. Purtroppo, pur riconoscendo la bravura degli interpreti, secondo il parere di chi scrive, si finisce con il ricordare Manchester by the sea anche per le troppe birre con annessa scazzottata, per gli scarponi da lavoro da “normotipo” americano, per certe strette di mano che sembrano cancellare con naturalezza anche le ferite più profonde, per gli incontri casuali che spazzano via come d’incanto ogni rivalità del passato e che avvengono nella più assoluta ed inverosimile pacatezza: tutti elementi che finiscono per collocare la pellicola irrimediabilmente in un filone già visto.
Come al solito, comunque, al pubblico il giudizio finale.
data di pubblicazione:19/02/2017
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