da Maria Letizia Panerai | Ago 31, 2017
(74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia)
“Non chiamarmi Nico, chiamami con il mio vero nome: Christa”. Una parabola al contrario, e non il classico biopic, racconta pochi anni della vita di una icona senza raccontarne il tutto ovvero il personaggio e la sua carriera, ma al contrario come è diventata negli ultimi anni della sua vita. Da cantante dei Velvet Underground, modella e musa di Andy Warhol per la sua bellezza leggendaria, il personaggio Nico diviene Christa Päffgen e vuole camminare da sola come artista, come donna e come madre.
Apre la sezione Orizzonti l’inteso film di Susanna Nicchiarelli, vincitrice a Venezia nel 2009 per Controcampo con Cosmonauta, regalando al pubblico la storia di una donna che ha vissuto due vite andando prima in cima per poi toccare il fondo e scoprendo che entrambi erano “vuoti”. La Nicchiarelli racconta una piccola porzione della vita di questa donna, rappresentandola senza alcuna idealizzazione di quello che fu il suo periodo d’oro, concentrandosi solo su ciò che era diventata negli anni ’80, lontana dai clamori del successo, quando con la sua piccola band girava l’Europa. Il film si chiude nel 1988: alla vigilia del crollo del muro di Berlino e del grande cambiamento.
Ad incarnare Nico è la splendida attrice e cantante danese Trine Dyrholm, Orso D’Oro alla Berlinale 2016 per La comune ed interprete di film intensi come Festen, In un mondo migliore, Love Is All You Nedd, che riesce grazie alle sue doti di interprete a tutto tondo ad entrare nella voce oltre che nel fisico di Christa, una donna che “non si adatta bene e che lotta contro tante cose”, anche contro quella bellezza che un tempo le aveva regalato la notorietà, inventando assieme alla regista un personaggio dotato di una tagliente ironia, una buona dose di cinismo e di un atteggiamento dissacrante verso tutto ciò che l’aveva resa famosa. In particolare la regista si sofferma sul suo ruolo di madre e sul fragile rapporto che ha con il figlio Ari a causa della sua tossicodipendenza, a causa della quale le era stato sottratto alla tenera età di quattro anni ed affidato ai nonni paterni. Non essendoci molte testimonianze se non qualche filmato e le sue canzoni, alcuni dei personaggi rappresentati nel film sono inventati: essi creano una sorta di piccola comune che ruota intorno alla vita e all’arte della protagonista, per ammissione della stessa regista che ha dichiarato di aver ritrovato la realtà lavorando sulla fantasia.
I Gatto Ciliegia, gruppo musicale torinese fondato alla fine degli anni ’90, hanno curato le musiche del film come fu per Cosmonuata e La scoperta dell’alba.
data di pubblicazione: 31/08/2017
da Maria Letizia Panerai | Mag 18, 2017
Un fastidioso fischio nelle orecchie scandisce “una giornata di ordinaria follia” di un professore (supplente) di filosofia, dopo che al risveglio riceve in maniera insolita la notizia della morte del suo amico Luigi. Quando finalmente, alla fine di una serie di disavventure, arriverà nella chiesa dove si terranno i funerali, avrà capito quanto sia importane dare ascolto a quel fastidioso fischio invece di tentare di curarlo per la paura, giorno dopo giorno, di mettersi in gioco.
Scritto e diretto dal palermitano Alessandro Aronadio e presentato alla Biennale College, che lo ha prodotto e sostenuto, della 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Orecchie è una divertente commedia low cost in bianco e nero, che rispecchia la vita tragicomica del suo protagonista in una Roma animata da personaggi quasi surreali, ma che al contrario risultano essere terribilmente calati nella realtà odierna. Il protagonista, un professore supplente di filosofia, non sa gestire una realtà così incredibilmente folle anzi, giorno dopo giorno, tenta di sfuggirle sino al risveglio di un giorno qualsiasi quando, nel tentativo paradossale di ricordare chi fosse l’amico defunto al cui funerale dovrà recarsi, cercherà prima di risolvere un fastidioso fischio alle orecchie con il quale si è destato. Ma nel tentativo disperato di capire cosa esso sia incontrerà un otorinolaringoiatra molto sicuro di sé quanto incompetente e folle ed un suo collega burlone e terribilmente cinico, non prima di essersi imbattuto in due suore particolarmente invadenti, in una irritante impiegata di un pronto soccorso, nel direttore di una testata giornalistica “illuminata” e all’avanguardia, nella moglie di un suo ex professore che custodisce amorevolmente un triste segreto, sino all’incontro in fine giornata con il prete che officerà la funzione funebre, bevitore di vodka allo scopo di rilassarsi prima di celebrare. Tutto questo sembra essere il prezzo da pagare per evitare di confrontarsi con l’affetto sincero, ma titubante, della sua fidanzata e con quello, decisamente debordante, di una madre immatura ed egoista.
Il protagonista di questa sorprendente pellicola, l’esordiente Daniele Parisi che nelle espressioni di smarrimento ed incredulità ricorda il miglior Francesco Nuti, è affiancato da un ricco cast di attori del nostro cinema italiano: dalle bravissime Pamela Villoresi, Piera Degli Esposti e Milena Vukotic, oltre che dai fantasiosi Rocco Papaleo, Massimo Wertmuller e Andrea Purgatori che lo insidiano in questo viaggio incomprensibile e minaccioso sino alla fine di questa folle giornata, fastidiosa come quello strano fischio…
Il film, che a Venezia ha ricevuto il Premio NuovaImaie Talent Award per il Miglior Attore Emergente ed il Premio ARCA CinemaGiovani per il Miglior Film Italiano, ha anche vinto al Monte-Carlo Film Festival de la Comédie il Premio del Pubblico
Premio per il Miglior attore ed al Bif 2017 il Premio Ettore Scola. Se ne consiglia la visione.
data di pubblicazione:18/05/2017
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da Maria Letizia Panerai | Mag 16, 2017
Roma. Quartiere Trastevere. Giorgio Ghelarducci, nato a Pisa ottantacinque anni fa, è un poeta dimenticato. La sua mente, seppur un po’ smarrita a causa dell’Alzheimer che non gli permette di fissare il presente, non cancella tuttavia quei versi che “i poeti scrivono quando non si sa dove mettere l’amore”, versi che riaffiorano improvvisi come fulmini in quel cielo ricco di nubi in movimento che è la sua memoria, assieme ai ricordi di un passato oramai molto lontano.
Rimasto vedovo e solo, di Giorgio si prende cura la sua cara amica nonché vicina di casa Laura che, conoscendolo bene, decide di trovargli una compagnia maschile che lo obblighi ogni giorno ad uscire di casa per prendere una boccata d’aria. La donna quindi propone ad Alessandro, un giovane del quartiere ignorante e per nulla incline verso qualsiasi tipo di occupazione, di fare da badante a Giorgio dedicandogli giornalmente qualche ora del suo inutile tempo in cambio di denaro. Inizialmente Alessandro prova vergogna nel farsi vedere prestare il braccio a quell’anziano signore, ma questo incarico lo sottrae dalle pressioni di suo padre che lo vorrebbe a lavoro con lui e ben presto essere di compagnia ad un famoso poeta diventa anche motivo di vanto con i suoi tre amici del bar. Ed alquanto inaspettatamente, da quella frequentazione fatta di passeggiate pomeridiane nel verde e chiacchierate a tratti surreali tra due individui così diametralmente opposti, nascerà una improbabile quanto insperata alchimia nell’incontro magico tra memoria ed ascolto.
Dopo il brillante esordio con Scialla! seguito dal tiepido Noi 4, con questo suo terzo film Francesco Bruni sviluppa il tema della memoria in quella sorta di passaggio del testimone tra generazioni diverse, invogliando i giovani a crescere senza tagliare le proprie radici e gli anziani ad avere più fiducia nel mettere i propri ricordi così pregni di esperienza nelle loro mani. Tutto quello che vuoi è un film acuto e sensibile, ben radicato nella nostra realtà, che colpisce al cuore per la semplicità della storia, in un giusto equilibrio tra commedia (perché si ride e molto) e dramma, come la vita stessa ci insegna nelle molteplicità delle sue sfaccettature. I misteriosi graffiti sui muri dello studio di Giorgio, incisi con un tagliacarte in un suo momento di profondo sconforto e che tanto incuriosiscono gli amici di Alessandro da ravvisare in essi la mappa di “un tesoro” nascosto, portano in realtà a scorgere in chi li legge, nascosti tra le righe, i desideri profondi di chi li ha tanto appassionatamente graffiati.
Troviamo i bravi Antonio Gerardi, Raffaella Lebboroni e Donatella Finocchiaro tra gli interpreti, anche se è l’esordiente Andrea Carpenzano nel ruolo di Alessandro che stupisce con quella sua aria a tratti inebetita dall’ignoranza, e che fa da spalla al grande Giuliano Montaldo (Giorgio), quel “vecchio” di cui non possiamo che innamorarci e per sempre.
data di pubblicazione:16/05/2017
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da Maria Letizia Panerai | Mag 14, 2017
Costa Azzurra. Samuel, detto Sam, è un eterno Peter Pan. Lavora in un villaggio vacanze, ma il suo più che un lavoro è un autentico divertimento, fatto di scorribande in motoscafo assieme a turisti assetati di bella vita e bagordi notturni. Nel suo doppio ruolo di accompagnatore e viveur notturno, Sam fa regolarmente strage di cuori ed ogni notte finisce inevitabilmente nel letto di una delle tante turiste invaghite della sua travolgente vitalità. Una mattina si vede recapitare, in maniera a dir poco inusuale, una neonata di appena tre mesi da una bionda ragazza londinese: quell’esserino urlante sarebbe il frutto di una di quelle tante notti d’amore che lui neanche ricorda. La sua vita da quell’istante cambierà.
Inizialmente Sam tenta di respingere quel fagottino di nome Gloria: prende un volo per Londra, lascia in panne la titolare del villaggio che non esita a licenziarlo su due piedi, ed in meno di 24 ore tenta ad ogni costo di rintracciare quella giovane donna, fragile e spaesata, che lo ha fatto diventare padre all’improvviso. Ma il tentativo purtroppo fallisce. Conosce fortuitamente Bernie, un impresario gay che, un po’ per attrazione fisica ed un po’ per fiuto professionale, decide di aiutarlo scorgendo in lui doti da stuntman, e lo scrittura immediatamente. In questa vita vissuta pericolosamente per finzione sui set cinematografici passano gli anni, Gloria cresce e Sam realizzerà che essere padre è il suo vero lavoro ad “alto rischio”: nella sua vita precedente, ad alto tasso di totale disimpegno, non avrebbe potuto neanche immaginare di avere dentro di sé neanche un briciolo di senso di responsabilità, lo stesso che lo porta a garantire alla piccola una vita piena di affetto, di attenzioni e, in un modo tutto suo, anche di regole con l’abilità di farle sembrare divertenti.
Dopo lo scivolone di Mister Chocolat, Omar Sy ritorna ad essere quel ciclone che avevamo conosciuto in Quasi Amici: seduttivo, sinuoso, irresistibile, con quella sua risata che conquista e ci travolge. Famiglia all’improvviso – istruzioni non incluse è una discreta commedia francese dai risvolti drammatici, dove non c’è posto per la retorica o i rimpianti, ma dove al contrario si può trarre insegnamento anche dalle ferite più terribili che la vita ci può riservare.
Il film riesce sapientemente a mescolare risate e lacrime, senza tuttavia rattristare nel complesso lo spettatore che esce dalla sala con un’idea di figura paterna forse fantastica, da supereroe, ma decisamente positiva in un mix perfetto di realismo e fantasia.
Il film, godibile e ben costruito, accontenta diverse fasce di età. La coppia padre-figlia funziona, come funziona sempre più questa nuova cinematografia francese che dimostra di sapersi misurare un po’ con tutto, garantendo sempre prodotti di buon livello anche in presenza di storie semplici come questa.
data di pubblicazione:14/05/2017
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da Maria Letizia Panerai | Mag 9, 2017
Il film, che segna l’esordio di Katia Ricciarelli come interprete cinematografica e che le valse il Nastro d’argento come miglior attrice protagonista, è una di quelle chicche che Pupi Avati è riuscito a tirare fuori dal cilindro nella sua lunga e prolifica carriera, fatta di tante pellicole di successo. La storia come sempre, in ogni suo film, parte dalla sua amata Bologna per poi svilupparsi nelle zone rurali della Puglia all’interno di contrade e masserie vicino Monopoli, Fasano, Savelletri e Torre Canne, sino alla bellissima Ostuni. La melanconia, tipica delle pellicole di Avati, ne La seconda notte di nozze è incarnata splendidamente da un bravissimo Antonio Albanese, capace di dare spessore ed umanità al personaggio di Giordano, infatuato di sua cognata Liliana (K.Ricciarelli) sin dall’adolescenza e che continua a coltivare questo puerile sentimento anche da adulto. Liliana, rimasta vedova il giorno seguente alle nozze e donna ancora piacente ma in gravi ristrettezze economiche (siamo nell’immediato dopo guerra), si vede costretta a lasciare Bologna a causa del figlio Nino, un fannullone interpretato da uno splendido Neri Marcorè (che aveva già lavorato con Avati ne Il cuore altrove), tendenzialmente ladro e senza alcun buon sentimento, con l’insana passione per il cinema: il suo sogno è partire per Hollywood per recitare come protagonista in un film e, purtroppo per tutti, lo farà. Nino infatti, per tentare di realizzare il suo progetto, costringe la madre a recarsi in Puglia da Giordano, quello zio un po’ “scemo” e che per questa fragilità era stato a lungo ricoverato in manicomio, ma che possiede ancora qualche acro di terra e per guadagnarsi da vivere aiuta i contadini a disinnescare gli ordigni inesplosi rimasti sotto la terra da coltivare. Giordano accetta la proposta e pur di accogliere in casa l’amata cognata e mettere a tacere le due zie Suntina (Angela Luce) e Eugenia (Marisa Merlini nella sua ultima straordinaria interpretazione), smette con le sue operazioni di artificiere, rinuncia a parte della sua eredità in favore delle avide zie e paga tutti i debiti di Nino.
Riuscirà infine a sposare Liliana, grata a lui per averla salvata da un destino terribile, con il patto tuttavia che il matrimonio venga consumato solo su richiesta della sposa…
A questo film, di cui se ne consiglia la visione a chi non lo avesse visto perché è una commedia melanconica e piacevole, abbiniamo una ricetta semplice, quasi campagnola: i sanacchioli, un dolce pugliese che faceva molto bene mio suocero Romano, al quale dedico con il cuore questa nuova ricetta di cinema.
INGREDIENTI: 1 kg di farina 00 – 300 gr di zucchero semolato – 180 gr di burro – 4 uova – 1 bustina e ½ di lievito per dolci – la buccia grattugiata di 1 limone – un pizzico di cannella – vaniglia – 800 gr di miele millefiori+ ½ bicchiere di acqua – granella si zucchero colorata per decorazione– olio di semi di arachidi per friggere.
PROCEDIMENTO:
Mettere la farina a fontana in una spianatoia, aggiungere le uova nel centro, lo zucchero, il burro a temperatura ambiente a pezzettini, la buccia del limone grattugiata, il pizzico di cannella e la vaniglia. Impastare il tutto. Staccare quindi dei piccoli pezzi e fare dei serpenti di circa mezzo dito di diametro e tagliare degli gnocchetti. Friggere in abbondante olio di arachidi gli gnocchetti e metterli a scolare bene, asciugandoli di volta in volta con carta assorbente. Mettere sul fuoco in una pentola dai bordi alti e bella grande il miele con il ½ bicchiere di acqua e portarlo ad ebollizione; quando sarà bello liquido, aggiungere gli gnocchetti fritti e girarli nel miele con un cucchiaio di legno senza danneggiarli, facendo sì che il miele li ricopra tutti e bene. Fate questa operazione per qualche minuto e se volte rendere il tutto più gustoso aggiungete mentre girate 1 etto di mandorle pelate e tostate.
Rovesciare gli gnocchetti ben imbevuti di miele in un recipiente da portata e decorare con la granella colorata. I sanacchioli mettono allegria e si mangiano come ciliegie: uno tira l’altro!
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