da Maria Letizia Panerai | Set 4, 2017
(74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia)
Judi Dench entra nuovamente nei panni della regina Vittoria e lo fa sontuosamente con un’interpretazione ad alto tasso d’ironia, oltre che di bravura. Sposata con suo cugino Alberto, la regina ebbe nove figli e regnò per un tempo lunghissimo (1837-1901) da tutti conosciuto come epoca vittoriana. Il film parla del periodo immediatamente successivo al giubileo per i primi 50 anni di regno, in occasione del quale le venne consegnata una moneta commemorativa.
Per consegnare alla Regina, che nel 1876 era diventata anche Imperatrice d’India, questo piccolo dono celebrativo, verrà scelto un umile impiegato indiano. Inviato da Agra a Londra al cospetto di Sua Maestà, Abdul Karim viene scelto casualmente solo per la sua altezza fisica. Il giovane, contravvenendo ai rituali di corte guardandola negli occhi e baciandole i piedi, conquisterà la regina a tal punto da diventarne dapprima suo servitore, poi segretario ed infine “munshi”, maestro spirituale. L’amicizia tra i due farà scandalo a corte e sarà molto osteggiata dal rigido protocollo della corte inglese sino alla morte della regina, avvenuta nell’Isola di Wight nel 1901. “Ispirato a fatti realmente accaduti … per lo più” è la frase che dà inizio a questa divertente pellicola di Stephen Frears, la quale narra di questa insolita amicizia, ovviamente malvista, tra la regina Vittoria ed un musulmano di umilissime origini. Il regista spinge molto l’acceleratore sulla stanchezza che la Regina Vittoria, allora ultra ottantenne, provava per i noiosi riti di corte e su come i comportamenti fuori protocollo di quel giovane, proveniente da una terra che seppur facesse parte dell’impero britannico lei non aveva mai visitato, la affascinano a tal punto da esserne attratta.
Inutile dire che il film è perfetto, la storia divertente, le ambientazioni sontuose, anche se a tratti stucchevoli, e la maestria di Frears (Le relazioni pericolose, The Queen, Philomena, Florence) nel portare sullo schermo tutto questo è immensa, supportata da un cast di attori tutti bravissimi. Il personaggio della regina, in particolare, viene colto in un periodo in cui è da molti anni in lutto per la morte del marito, è stanca ed annoiata, capricciosa, ma anche immensamente potente da potersi permettere di sfidare l’Impero con i suoi comportamenti. Victoria & Abdul, presentato Fuori Concorso a Venezia, sarà nelle sale a fine ottobre ed avrà sicuramente successo ai botteghini in quanto rientra in quel filone di film in costume che non annoia anche se, a giudizio di chi scrive, i capricci eccentrici della Regina Vittoria non destano particolare interesse se visti all’interno di un Festival che quest’anno sta toccando livelli particolarmente alti.
data di pubblicazione:04/09/2017
da Maria Letizia Panerai | Set 3, 2017
(74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia)
Parigi. Simon è un famoso violinista in attesa di essere convocato per lunga serie di concerti. Nel frattempo accetta un incarico presso una scuola di periferia: si tratta di affiancare un professore di musica nell’istruire un gruppo di alunni per trasformarli in una vera e propria classe-orchestra, secondo un programma scolastico che prevede a fine anno una loro esibizione alla Filarmonica. Tra questi ragazzi, alcuni dei quali vivaci e maleducati, c’è il timido Arnold di origini senegalesi, che mostra subito una spiccata attitudine per il violino, tale da far pensare che possa arrivare ad esibirsi in un assolo.
Per Simon (Kad Merad), secondo il quale la musica è un’arte universale che può aprire le porte a tutti coloro che la approcciano nel modo giusto, non sono sufficienti passione e tecnica: per riuscire a suonare bisogna innanzitutto divertirsi. Purtroppo, di fronte ad un pubblico di allievi così indisciplinati e sfrontati che devono essere in primo luogo educati a maneggiare con cura lo strumento che è stato loro assegnato, per Simon sarà davvero difficile mantenere il controllo, tranne che nei confronti di Arnold. Il ragazzo, figlio di madre single con una sorella più grande, mostra subito rigore comportamentale, impegno, disciplina ed un grande rispetto per la musica: sarà proprio lui a stimolare gli altri ragazzi a non scoraggiarsi e a continuare; anche il rigido Simon, superate le difficoltà iniziali, capirà che dare anche solo ad uno di loro la possibilità di appassionarsi a qualcosa sino ad allora irraggiungibile, ampliando così i propri orizzonti, rappresenterà oltre che una sfida anche quell’autentico divertimento che da qualche tempo non provava più nei suoi concerti.
La musica può realmente cambiare la vita delle persone? Dopo aver visto il primo lungometraggio del regista algerino Rachid Hami, presentato fuori Concorso a Venezia, non possiamo che dare a questo interrogativo una risposta positiva. La mèlodie è un commovente e tenero film sulla musica in ambiente scolastico ed i giovani attori, tutti bravissimi e scelti in base al loro talento per la commedia, hanno dovuto realmente imparare a suonare il violino, come ha dichiarato uno di loro in conferenza stampa “mi ha fatto molto piacere imparare a suonare il violino perché mentre suonavamo eravamo tutti uguali, non c’erano più diversità di razza, è stata una grande opportunità: non sarei qui oggi”.
Ed è proprio in queste parole che risiede il messaggio del film, oltre che nel brano musicale che il regista ha scelto di far suonare ai ragazzi: Shéhérazade, una suite sinfonica composta da quattro brani separati poi uniti tra loro da una parte solistica affidata al violino. Film corale di cui se ne consiglia la visione.
data di pubblicazione:03/09/2017
da Maria Letizia Panerai | Set 2, 2017
(74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia)
Un giorno Addie, una donna di quasi ottant’anni rimasta vedova, si reca dal suo vicino di casa Louis, anch’esso rimasto solo da tempo, per fargli una insolita richiesta: dormire insieme, allo scopo di farsi compagnia e parlare un po’, condizione che oramai da troppo tempo non esiste più per entrambi. Unire le loro anime di notte sarà un modo per affrontare il passato e vivere a piene mani il presente.
Nella penombra di quelle notti rubate agli sguardi indiscreti dei vicini di una tranquilla cittadina del Colorado, dopo aver vinto un inevitabile imbarazzo iniziale, prendono corpo e voce per Addie e Louis i ricordi della vita passata non sempre piacevoli, rimasti ben celati nell’animo di entrambi. Entrambi confessano sensi di colpa ed inadeguatezza di fronte a certe situazioni della loro gioventù quanto si è troppo presi dalla vita e non si dedica sufficiente tempo a tutto, ma tali confessioni non disturbano la loro singolare e notturna consuetudine che prosegue tra le chiacchiere indiscrete dei vicini. E così prende corpo la speranza di poter diventare ciò che avresti voluto essere da giovane ma non hai avuto il coraggio di diventare, non curandosi troppo delle chiacchiere della gente, e quello che inizialmente sembrava un bizzarro gioco diviene per entrambi l’inizio di una affettuosa amicizia.
Dopo quasi 50’anni da A piedi nudi nel parco, la coppia Fonda-Redford ci ammalia ancora con Our Souls at night, tratto dall’omonimo romanzo di Kent Haruf, di cui Redford ha acquistato i diritti per poi produrre il film che non potremo vedere nelle sale perché finirà su Netflix. Ci parlano di amore adulto come cura alla solitudine ed alle ferite giovanili, da quelle spine che ci si porta dentro il cuore perché non si è stati capaci di toglierle.
Inutile dire che il film è molto gradevole grazie soprattutto alla presenza di questa coppia di assi, che anche attraverso le rughe ci affascinano ancora con la loro tecnica recitativa rimasta intatta: due autentiche leggende che hanno incantato la sala stampa con la loro classe, con risposte sempre molto misurate e con una buona dose di senso d’humor. Due leoni alla carriera meritatissimi.
data di pubblicazione:02/09/2017
da Maria Letizia Panerai | Set 1, 2017
(74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia)
É il 1962. In una piccola località non meglio identificata della costa americana vive Elisa, una ragazza muta che lavora di notte come donna delle pulizie in un laboratorio governativo di massima sicurezza dove una sera, in assoluta segretezza, viene portata una sorta di cisterna cilindrica in vetro piena di un’acqua dal colore verdognolo. Elisa ode da quello strano cilindro, blindato come una sorta di piccolo sottomarino, l’eco di strani versi che sembrano appartenere ad una creatura marina che tanto innervosiscono le persone addette alla sicurezza ma che, al contrario, attraggono irrefrenabilmente la ragazza “senza voce”, tanto da volerne sapere di più…
Elisa (Sally Hawkins) è già di per sé una strana creatura, che vive in un mondo quasi ultraterreno: sembra essere grata alla vita affrontando ogni giorno come fosse una danza, allegra, spensierata e sempre con un rassicurante sorriso. Eppure Elisa è vera, in carne ed ossa, ma la sua vita assomiglia ad una fiaba come il suo piccolo appartamento dai colori che ricordano il fondo marino, situato sopra un teatro di quartiere dalle poltroncine di velluto color porpora; ogni sera, prima di recarsi a lavoro, si prende cura di sé con un bel bagno ed una cena leggera, che prepara sempre anche per il suo vicino Giles (Richard Jenkins), un talentuoso illustratore di cartellonistica per prodotti alimentari un po’ sfortunato, ma irrimediabilmente romantico, ancora alla ricerca dell’anima gemella e legato ad Elisa da una profonda amicizia. E poi c’è Zelda (Octavia Spencer), una collega di lavoro prepotente ma tanto buona, che Elisa ogni notte durante il turno di lavoro ascolta amorevolmente parlare senza tregua e, soprattutto, senza mai poter…replicare. Ma un giorno, incurante delle disposizioni del funzionario (Michael Shannon), cattivo e dai modi violenti, responsabile della custodia di questo misterioso uomo-anfibio contenuto nella cisterna che i sovietici vorrebbero sottrarre per farne esperimenti, Elisa decide di socializzare con “il mostro” e lo farà nel modo più naturale possibile: sedendosi sul bordo della vasca ed offrendo ad esso parte del suo pranzo….
É approdato a Venezia un grande film, in cui fantasia, thriller, romanticismo, sesso ed amore si mescolano e ci inondano come l’acqua presente nella vita dei due protagonisti: un uomo pesce di cui si innamora perdutamente una donna senza voce in un momento di strana sincronia che accade raramente. E così è la favola ad entrare nella vita vera, nel mondo reale, e non si può che assistere esterrefatti a tutto questo, attraverso le immagini di questa storia d’amore che vince su paura e violenza. Le scene del film sono curatissime, non solo nelle inquadrature e nella fotografia, ma anche nei colori che anticipano la trama: come il rosso del sangue o delle scarpe di Elisa, o il colore della sua casa che sembra un relitto inabissato in contrapposizione alla luce che inonda la stanza dove Giles disegna i suoi cartelloni pubblicitari. Sublime è la colonna sonora del compositore francese Alexandre Desplat (Oscar per Grand Budapest Hotel), studiata a tavolino con il regista che ha curato personalmente tutto del film, dalla sceneggiatura in poi.
Se volessimo dare una forma a qualcosa che si avvicina ad un piccolo capolavoro, potrebbe avere quella dell’acqua.
data di pubblicazione:01/09/2017
da Maria Letizia Panerai | Ago 31, 2017
(74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia)
Un uomo solo di fronte ai suoi demoni, tormentato per qualcosa che non riesce a perdonarsi. Losche società multinazionali che sorreggono con le loro offerte comunità religiose. Un ambientalista radicale che non vuole far nascere il proprio figlio in un mondo che sta inevitabilmente andando verso un disastro senza ritorno e la moglie di lui che cerca delle risposte per salvare la sua famiglia e quel figlio che deve ancora nascere. Ed in mezzo a tutto questo c’è la vita, in un continuo equilibrio tra disperazione e speranza.
Toller (Ethan Hawke), ex cappellano militare ed attuale reverendo di una piccola comunità, è tormentato dai ricordi di una vita passata che lo spingono a scrivere un testamento morale su un quaderno, destinato ad essere distrutto dopo un anno senza che nessuno al fuori di lui possa leggerlo. Il dissidio spirituale che lo attanaglia si acuisce quando una sua giovane parrocchiana Mary (Amanda Seyfried), in attesa del suo primo figlio, gli chiede di accordare un incontro a suo marito Michael (Philip Ettinger), ambientalista ossessionato dall’idea di non voler far nascere un figlio in un mondo che non si accorge del disastro ambientale senza speranze che gli lasciamo in eredità. Da questo incontro Toller ne uscirà devastato non solo perché non riesce a convincere il giovane uomo a rivedere le sue convinzioni, ma soprattutto comincerà a porsi la domanda del perché comunità religiose come la sua sono così silenti sul tema del disastro ambientale.
Si respira spiritualità in First Reformed, film definito trascendentale, dal finale ambiguo perché nessuna forma d’arte deve precludere le interpretazioni del pubblico, come ha asserito lo stesso regista in conferenza stampa,anche se poi ha aggiunto che se nutriamo speranza nell’umanità non prestiamo attenzione a ciò che ci sta accadendo, perché non credo che l’umanità potrà sopravvivere a questo secolo.
Il film, attraverso la vita tormentata del pastore Toller, fa percepire allo spettatore di camminare sempre sull’orlo dell’abisso a cui si contrappone l’amore, in ogni sua forma, che riequilibra le cose; a supportare questa tesi ci sono anche le inquadrature in cui le immagini appaiono sempre nette, nitide, divisibili, simmetriche, ad indicare un equilibrio destinato a venire meno, tranne che sul finale in cui l’inquadratura avvolge gli interpreti, conferendo allo spettatore la sensazione che qualcosa è cambiato.
Ethan Hawke è semplicemente bravissimo nel portare sulle spalle del suo personaggio il peso di un’intera umanità; di Paul Schrader basti dire che nella sua carriera è stato pluripremiato sia come sceneggiatore (Taxi Driver, Toro Scatenato, American Gigolò, Il bacio della Pantera, L’ultima tentazione di Cristo etc.) che come regista (American Gigolò, Il bacio della Pantera, Cane mangia cane etc.); quanto al film chi vi scrive ha avuto la netta sensazione di assistere a qualcosa di grande, di palpabile ma di non spiegabile, ma soprattutto a qualcosa che realmente ognuno può interpretare in base a ciò che interiormente percepisce.
data di pubblicazione:31/08/2017
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