IL PRANZO DI BABETTE di Gabriel Axel, 1987

IL PRANZO DI BABETTE di Gabriel Axel, 1987

Siamo alla fine dell’Ottocento in un piccolo villaggio della Danimarca, dove vivono due anziane sorelle, figlie di un pastore protestante che è anche il capo religioso della comunità. Dopo la morte del genitore, le due donne continuano la sua missione dedicandosi completamente agli altri, rinunciando ognuna a crearsi una famiglia. La loro vita è semplice e frugale, così come i pasti che sono solite elargire ai compaesani in difficoltà, come una sorta di mensa benefica per i più bisognosi. Un bel giorno bussa alla loro porta una donna: è Babette Hersant, sfuggita alla repressione della Comune di Parigi dove le sono stati uccisi marito e figlio. Ha con lei una lettera di presentazioni di Achille Papin, una vecchia conoscenza di una delle due sorelle, in cui viene chiesto di ospitare la donna in cambio del suo valido aiuto come governante. Passano molti anni e Babette, che nel frattempo si è conquistata la stima dell’intera congrega, un bel giorno riceve da Parigi diecimila franchi d’oro frutto di una vincita alla lotteria. Come forma di ringraziamento, prima di congedarsi per fare rientro in patria, la donna chiederà alle due sorelle di poter allestire un pranzo in memoria del pastore loro padre, omettendo di dire che userà gran parte di quella esagerata somma di danaro per il banchetto. I dodici commensali non sanno che quello sarà un pranzo speciale; solo il generale Lorens Lowenhielm, ospite d’onore della serata, riconoscerà portata dopo portata che, dietro quelle sofisticate delizie, si nasconde la mano di un prestigioso chef parigino donna che, molti anni addietro in un famoso ristorante di Parigi, riusciva con la sua cucina sublime a trasformare ogni banchetto “in una avventura amorosa”. La seduzione di quel cibo inebrierà tutti i commensali, nessuno escluso, facendo loro superare discordie ed antichi rancori, facendoli quella sera danzare tutti insieme perché “rettitudine e felicità si sono baciate”. Babette rimarrà in Danimarca senza un soldo, ma rafforzando la consapevolezza che “un artista non è mai povero”.

Tratto dall’omonimo racconto di Karen Blixen, Il pranzo di Babette è un autentico capolavoro da non perdere e da rivedere.

Il film venne presentato nella sezione Un Certain Regard de la 40^ edizione del Festival di Cannes dove il regista ottenne una menzione speciale dalla giuria ecumenica, per poi vincere nel 1988 l’Oscar come miglior film straniero e nell’89 il Bafta per la stessa categoria; mentre Stéphane Audran (Babette) fu insignita del Nastro d’argento nel 1988, come miglior attrice straniera.

Alla raffinatezza di questa splendida pellicola ed in onore della splendida Babette, vorrei abbinare la ricetta di un dolce sublime: la torta di mandorle e crema di mia madre Argia.

INGREDIENTI – per la sfoglia: 100 gr di burro – 4 tuorli – 4 cucchiai di zucchero – 2 etti circa di farina 00 (quanta ne assorbe per una consistenza di pasta morbida) – la buccia di 1 limone grattugiato; per la crema pasticcera: 4 tuorli – 100 gr di zucchero – 50 gr di farina 00 – 1/2lt di latte intero o alta qualità – 1 stecca di cannella; per la crema di mandorle: 150 gr di mandorle tritate finemente – 3 albumi – 125 di zucchero – buccia grattugiata di 2 limoni.

PROCEDIMENTO:

La torta consta di tre passaggi: la pasta di base con cui foderare lo stampo, la crema pasticcera e la crema di mandorle.

Per la pasta mettere in una coppa la farina a fontana ed all’interno della cavità i 4 tuorli, il burro a temperatura ambiente ridotto a pezzetti, lo zucchero, e la buccia grattugiata del limone. Mescolare il tutto sino all’assorbimento della farina. Otteniamo una palla di pasta piuttosto morbida ma che non deve risultare appiccicosa sulle dita: qualora lo fosse, aggiungere all’occorrenza un po’ di farina. Mettere la pallina in frigo avvolta alla pellicola trasparente.

Per la crema pasticcera (che può essere fatta anche la sera prima in quanto deve essere fredda e ben compatta), unire ai 4 tuorli i 100gr di zucchero e i 50gr di farina, e girare il tutto con un mestolo di legno senza creare grumi finché non si raggiunge un colore chiaro. Aggiungere il latte a filo, precedentemente riscaldato con all’interno una stecca di cannella che poi va tolta, e mettere a cuocere il tutto a fuoco lento mescolando con il mestolo sino a raggiungere una consistenza piuttosto soda.

Per la crema di mandorle, montare a neve ferma i 3 albumi con lo zucchero, ed alla fine aggiungere la buccia di 2 limoni grattugiati e i 150gr di mandorle pelate precedentemente macinate a grana sottile ma non troppo (non deve essere una farina). Gli ingredienti vanno ovviamente aggiunti agli albumi montati mescolandoli sempre dal basso verso l’alto.

Prendere a questo punto una teglia circolare da 28 cm di diametro (che, preferibilmente, dovrebbe essere di quelle con bordo sganciabile), imburratela e infarinatela, foderatela con la pasta appena tolta dal frigorifero aiutandovi con le mani, creando un bel bordo alto e bucandola sul fondo e ai lati con la forchetta. Inserire quindi sul fondo prima la crema pasticcera ed sopra a chiusura la crema di mandorle. Infornare a forno ben caldo fisso solo sotto a 160°/170° per circa 30 minuti scarsi, trascorsi i quali aprire il forno e vedere se la crema di mandorle è diventata dorata ed il bordo della pasta cotto.

Una volta sfornata, aspettare che la torta sia ben fredda per toglierla dalla teglia sganciando delicatamente il bordo, perché è molto delicata e potrebbe rompersi.

E’ una torta raffinatissima, ottima come fine pasto o per un the.

GLI SDRAIATI di Francesca Archibugi, 2017

GLI SDRAIATI di Francesca Archibugi, 2017

Tratto dal monologo di un padre, come Michele Serra ha definito il suo non-romanzo Gli sdraiati, il film di Francesca Archibugi liberamente ispirato ad esso è una gradevole storia, scritta a quattro mani con Francesco Piccolo, in cui compaiono personaggi che nel libro non ci sono ma che ci consegnano il senso profondo di ciò che Serra ha voluto trasmetterci: una lunga lettera senza risposta di un padre ad un figlio.

Intelligenza, ironia, profondità sono gli ingredienti di questa nuova avventura della regista e sceneggiatrice di Mignon è partita, Il grande cocomero, L’albero delle pere, Lezioni di volo, Questioni di cuore. Un padre ed un figlio visti da una donna, con un occhio attento alle loro sofferenze, ai loro silenzi così carichi di tante parole, al loro senso di abbandono: tutto questo senza lacrime o drammi, ma con quella leggerezza di chi riesce a descrivere i sentimenti senza sentimentalismi, entrando nelle pieghe dei turbamenti di un padre che non riesce a ritrovare la rotta e di un figlio che resiste con maturità mista ad un muro di insofferenza ai suoi tentativi goffi, seppur colmi di un amore smisurato, per appianare le loro diversità.

Claudio Bisio, che ha già portato a teatro questo ruolo nello spettacolo Father and son, è molto bravo nell’esprimere il tentativo impotente di insegnare delle regole ad un figlio che non le vuole apprendere, in questo dialogo tra opposti che non sanno riconoscersi e rispettarsi, in un film che al contrario è un inno al vivere e lascia vivere in cui è importante, anzi fondamentale, per un genitore essere presente senza invadere, andando incontro con rispetto, pazienza e comprensione a chi non ha ancora formati gli strumenti per difendersi, astenendosi dal dettare troppe regole che inevitabilmente vengono disattese creando disinteresse.

Come è già accaduto in altri film della regista romana, anche ne Gli sdraiati la Archibugi riesce a mettere a fuoco il punto di vista dei figli, non solo di Tito interpretato in modo molto convincente dal giovane esordiente Gaddo Bacchini, ma anche dei suoi compagni, un gruppo di amici che ci raccontano quell’alchimia tutta maschile che li unisce, che li rende forti ed invincibili come dei supereroi, impermeabili ai dolori della vita ed alle loro diversità sociali.

Film equilibrato, di cui se ne consiglia la visone anche a chi figli non ne ha.

data di pubblicazione:03/12/2017


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THE PLACE di Paolo Genovese, 2017

THE PLACE di Paolo Genovese, 2017

The Place è il nome di un bar con piccoli tavoli tondi ed una insegna luminosa, sito all’angolo di una strada che può appartenere ad una qualsiasi città italiana. Quel che conta è ciò che in questo posto avviene: un uomo (Valerio Mastandrea), seduto tutti i giorni allo stesso tavolino, fa colazione, pranza e a volte si intrattiene sino a notte fonda. La sua attività sembra essere quella di ascoltare ed esaudire i desideri di sconosciuti che, avvicendandosi al suo cospetto, gli chiedono di cercare una soluzione ai propri problemi. La soluzione di ogni cosa sembra essere contenuta in una grande agenda dal fodero in pelle nera, sulla quale l’uomo annota ogni richiesta.

 

 

Dopo il successo di Perfetti sconosciuti, film originale e sorprendente per le dinamiche che si innescano in un gruppo di amici allo scambio dei loro telefoni cellulari, Paolo Genovese torna a sorprenderci questa volta con una pellicola dove tutto è ben delineato sin dall’inizio, senza troppe sorprese, in una costruzione di scene che si ripetono in maniera eguale. L’unica differenza la fanno i dieci personaggi che espongono le loro richieste a questo insolito “psicologo” che sembra sapere tutto sulle dinamiche dello spirito umano. Sino a quanto questi strani interlocutori oseranno spingersi per raggiungere ciò che desiderano? La cosa che appare subito chiara è proprio che per ogni richiesta c’è un prezzo da pagare: affinché il desiderio si avveri, ogni individuo può scegliere se fare o meno ciò che l’uomo chiede loro di fare ed in cambio di ciò che desiderano ottenere, viene offerta loro una soluzione da accettare in libertà, senza alcuna costrizione da parte dell’offerente. Un esercizio dunque di libero arbitrio. Ma il fine giustificherà i mezzi?

Seppur sia palese che il regista abbia voluto fare qualcosa di diverso senza cavalcare l’onda del successo ottenuto con Perfetti sconosciuti, The Place, purtroppo, rappresenta una sperimentazione che non convince. L’idea del film potrebbe essere buona se portasse a qualcosa che non sia semplicemente un esercizio di stile, rivelandosi un tentativo non perfettamente riuscito di farci fare i conti con la parte oscura che c’è in ognuno di noi.

Quanto agli interpreti, Mastandrea è l’unico che ha un ruolo realmente a fuoco, mentre il resto del cast, seppur messo costantemente sotto una lente di ingrandimento, non convince: anche la grande attrice di teatro Giulia Lazzarini (indimenticabile nel recente Mia madre di Moretti), Alba Rohrwacher ed il bravo Alessandro Borghi, risultano penalizzati pur vestendo i panni dei tre personaggi più interessanti.

data di pubblicazione:09/11/2017


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LOGAN LUCKY di Steven Soderbergh, 2017 – Selezione Ufficiale

LOGAN LUCKY di Steven Soderbergh, 2017 – Selezione Ufficiale

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

Ironia, una buona dose di umorismo e tanta leggerezza sono alla base di questo nuovo film di Soderbergh che, a giudicare dal finale aperto, fa già presupporre un sequel. Sulla scia delle tre pellicole che hanno narrato le gesta della banda capitanata da Danny Ocean, in Logan Lucky il regista assolda Channing Tatum – con lui in Magic Mike del 2002 – nella parte di Jimmy Logan, offeso ad una gamba e fratello di Clyde (Adam Driver), che invece ha perso un braccio in Iraq. Non curanti della loro proverbiale sfortuna, che li perseguita peggio di una maledizione, i fratelli Logan si apprestano ad organizzare il colpo del secolo alle spese della Charlotte Motor Speedway.

 

Il colpo avverrà durante la leggendaria gara di auto Coca-Cola 600 e ad affiancare i due fratelli ci sarà Joe Bang (un irriconoscibile quanto spassoso Daniel Craig), esperto in esplosioni che, seppur in galera, riuscirà ugualmente a partecipare al colpo: “l’ingrediente” principale per costruire la sua bomba saranno due confezioni di caramelle gommose a forma di orsetti, di quelle che si acquistano al luna park! E così: tra una serie di goffi incidenti, una ex moglie intenta solo ad iscrivere la figlia a stupide gare da reginetta di bellezza, improbabili soci che partecipano alla rapina andando contro i dettami della loro “morale”, stupidi piloti vanesi che in qualche modo intralciano i Logan nella loro “folle corsa” ed un integerrimo agente dell’FBI che vuole vederci più chiaro (interpretato dalla irriconoscibile Hilary Swank, rigida come se avesse ingoiato una scopa), il colpo sembra andare incredibilmente a buon fine…

È un’America profonda e sempliciona al tempo stesso quella che emerge da questa pellicola, grazie ad un impacciato gruppo di ladri ingenui, certamente non glamour come la banda della trilogia Ocean’s, ma piuttosto con caratteristiche più accostabili a certi personaggi visti nei film dei Coen.

Divertente, leggero, autoironico (il regista si cita nel film), ben interpretato, con brani musicali ben scelti ed un finale non banale che ci fa sognare un po’ senza che tutti i tasselli tornino al proprio posto, Logan Lucky è intrattenimento di qualità. Distribuisce Lucky Red.

data di pubblicazione:02/11/2017








LOGAN LUCKY di Steven Soderbergh, 2017 – Selezione Ufficiale

ABRACADABRA di Pablo Berger, 2017 – Selezione Ufficiale

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

Titolo emblematico per una pellicola ad alto tasso di follia, in cui una casalinga trascurata, un marito insensibile e dai modi bruschi, un cugino particolarmente galante e l’ipnosi si incontrano tra le vie periferiche di Madrid, dando origine ad una commedia esilarante, dal finale un po’ prevedibile.

 

Carmen, per andare al matrimonio della cugina, vuole essere particolarmente originale e copia da una nota rivista di gossip l’acconciatura di Madonna, ma il marito Carlos non ne vuole sapere di arrivare in orario: è più importante la finale di coppa del Real Madrid e… non è il solo a pensarla così! Durante il ricevimento, per pura e semplice goliardia, Carlos si sottopone ad un amatoriale esperimento di ipnotismo proposto a tutti gli invitati dal cugino di Carmen, da sempre suo fedele corteggiatore. È un modo come un altro per ridicolizzare quell’uomo che osa mettere gli occhi sulla sua donna, anche se lui da anni non prova più per lei alcun interesse. Ma qualcosa durante l’esperimento, apparentemente mal riuscito, sembra essere accaduto e Carlos da quel momento non sarà più lo stesso.

Si ride molto durante la proiezione di questa folle commedia di Pablo Berger, giovane regista spagnolo che nel 2014 rappresentò la Spagna agli Oscar con Blancanieves nella categoria Miglior film straniero. È quasi impossibile non pensare quanto lo stile e la filmografia di Almodóvar abbiano potuto influenzare giovani registi come Berger, che riesce con Abracadabra, in chiave ovviamente grottesca, a raccontare una storia di reincarnazione alquanto surreale, che appassiona senza grossi cali di attenzione. Peccato solo che sul finale la storia perda corpo e la soluzione a tutto ciò che il regista ha messo in scena sia un po’ banale e non all’altezza del corpo centrale del film.

data di pubblicazione:28/10/2017