da Maria Letizia Panerai | Set 19, 2024
La scritta Anywhere anytime spicca sul contenitore giallo che Issa porta sulle spalle mentre cerca di sopravvivere facendo il rider per le strade di Torino. Nonostante sia da sei anni in Italia è ancora un immigrato clandestino.
Issa è solo e possiede un cellulare con cui comunica con la sua famiglia in Senegal, a cui cerca di inviare soldi appena può. Dorme e mangia presso i locali della Caritas. Ogni suo giorno è una lotta per la sopravvivenza in una città italiana come tante che sembra non volerlo accogliere, tranne che in rari momenti di inaspettata umanità. Ma lui, chiuso nella sua cupezza con uno sguardo che racconta la sua storia, vuole solo lavorare per inviare i soldi a sua madre. Dopo essere stato licenziato ai mercati generali perché sprovvisto del permesso di soggiorno, chiede aiuto a Mario, un suo conterraneo che lavora nelle cucine di un ristorante. Questi gli fa comperare una bicicletta usata, gli regala lo zaino giallo indispensabile per il trasporto su due ruote e gli presta per il weekend il suo smartphone così che possa ricevere le prime chiamate. L’indomani Issa comincia a correre sulla sua bici, fa le sue prime consegne e torna presso i locali della Caritas stanco ma fiero della sua prima giornata di lavoro. Così invita una ragazza, che dorme nel container accanto al suo, a fare un giro serale per Torino con lui in bici. Sembra l’inizio di una vita vera. L’indomani, dopo una consegna, la bici gli viene rubata. Issa vede il ladro e lo rincorre. Ma è solo l’inizio della sua odissea per tornare in possesso di quel mezzo per lui indispensabile.
La sceneggiatura, declinata nel mondo attuale, di questo bellissimo esordio alla regia dell’iraniano Milad Tangshir, ricorda Ladri di biciclette di De Sica, Premio Oscar nel 1950. Nel 2019 fu il grande Ken Loach con Sorry me missed you, dal titolo emblematico proprio come Anywhere anytime, ad affrontare il tema degli “schiavi del nuovo millennio” che svolgono lavori usuranti e senza tutele, simbolo di uno sfruttamento che si consuma ogni giorno sotto i nostri occhi. Ma nonostante le affinità citate, il film di Milad Tangshir vive di vita propria e ci catapulta in una storia dura, di grande effetto ed impatto emotivo, che deflagra nel nostro stomaco sino a farci sentire piccini per la nostra reiterata cecità. Assistiamo alla disperazione di questo ragazzo che non ha nulla e che lotta per sopravvivere in un mondo estraneo e fondamentalmente ostile. Issa è l’emblema dell’invisibilità, eppure la sua vita come quella di tantissimi immigrati è sotto i nostri occhi, tutti i giorni. L’attore non professionista Ibrahima Sambou è il protagonista di questa storia che passa attraverso il suo corpo, il suo sguardo, le sue corse disperate, le sue rinunce e i suoi sforzi per poi dover drammaticamente ricominciare sempre tutto da capo. Assolutamente da non perdere.
data di pubblicazione:19/09/2024
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da Maria Letizia Panerai | Set 11, 2024
Siamo sul finire del 1700 quando Philippe Clicquot, proprietario di numerosi vigneti nella regione dello Champagne, decide di affidare la propria azienda al figlio François che sposa, giovanissimo, la ventenne Barbe Nicole Ponsardin. Seppur combinato, il matrimonio è molto felice e tra i due nasce una profonda intesa destinata a durare nel tempo. Ma l’improvvisa morte di François porterà la giovane vedova ad affrontare importanti decisioni.
Inizialmente osteggiata per la sua inesperienza dal suocero, che avrebbe preferito vendere al confinante Monsieur Moët i vigneti già fortemente in perdita a causa della eccentrica e non convenzionale gestione del suo giovane rampollo, Barbe Nicole contro il parere di tutti decide di proseguire l’attività del marito. Si farà affiancare da Louis Bohne, un commesso viaggiatore che lo stesso François aveva assoldato per ampliare l’attività. Questi le proporrà di esportare in Russia, nazione dove sino ad allora nessuno aveva osato spingersi. L’idea frutterà alla coppia in affari i primi insperati guadagni. Ma nel 1811 una vendemmia eccezionale chiamata “cometa” perché avvenuta in occasione del passaggio di una stella cometa nel cielo della regione dello Champagne (che pare favorì un’annata destinata a rimanere nella storia), suggellerà il successo della vedova Clicquot ed del suo omonimo champagne.
La pellicola, ambientata durante le guerre napoleoniche e prodotta da Joe Wright (regista di film quali Orgoglio e pregiudizio, Espiazione e Anna Karenina), è basata sulla storia vera della Grande Dama dello Champagne che a soli vent’anni rivoluzionò l’industria del settore sfidando la famiglia e lo stesso codice napoleonico che, fatta eccezione per le vedove costrette dalle circostanze a prendere il posto dei mariti, non riconosceva alle donne alcuna attività imprenditoriale. Presentato nel 2023 in anteprima mondiale al TFF e successivamente alla Festa del Cinema di Roma, il film seppur ambientato in Francia ricorda le atmosfere di una certa cinematografia anglosassone in costume, oltre a vantare una fotografia che ci fa quasi sentire l’odore dei vigneti e dei suoi preziosissimi acini, in particolare nelle scene in cui Barbe si dedica alla chimica del suolo, accasciandosi sul terreno per cantare ai suoi vitigni, sino all’assaggio ripetuto del suo prodotto e al lungo studio delle tecniche di imbottigliamento. Ottimo il cast di attori, tra i quali spicca proprio Haley Bennet che infonde al suo personaggio lo spessore di una figura femminile all’avanguardia, appassionata, creativa; la affiancano un intenso Tom Sturridge nel ruolo di François ed un bravissimo Sam Riley che interpreta Louis Bohne. Il film, che non pecca certo di originalità per il tema trattato, rientra con merito nel novero di quelle pellicole che puntano un faro sul coraggio di certe figure femminili che hanno fatto la differenza in ambiti, sino ad allora, di esclusivo appannaggio maschile.
data di pubblicazione:11/09/2024
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da Maria Letizia Panerai | Ago 27, 2024
Presentato in anteprima durante l’ultima edizione del Taormina Film Fest, il secondo lungometraggio di Riccardo Antonaroli ha come protagonisti Pilar Fogliati e Filippo Scicchitano nei ruoli di Eleonora e Valerio, coppia di novelli sposi alle prese con una prima notte di nozze un po’ anomala ed alquanto scoppiettante…
Finita la festa, gli sposi si incamminano verso la loro “Love Suite” sita all’ultimo piano di un lussuoso albergo di Roma. La suite è stata offerta da Ester e Michele, gli invadenti e protettivi genitori di Valerio, scettici da sempre su questa unione già così carica di presagi negativi. Nei corridoi gli sposi si imbattono in un singolare cameriere le cui fattezze ricordano più quelle di un fantasma che di un personaggio reale. Senza essere interpellato, l’uomo (che “apparirà” più di una volta durante questa lunga notte appena iniziata) ricorderà a chiunque lo incontri i nomi dei personaggi illustri che hanno soggiornato nella “suite dell’amore”. Ma l’idea della sposa di aprire “prima” qualche regalo, darà a questa notte una valenza completamente diversa da quella che, canonicamente, avrebbe dovuto avere. Inizierà subito un battibecco tra i due sposi che diventerà lite quando Eleonora in una busta-regalo destinata allo sposo troverà un assegno bancario e un anello con su inciso ”monamour”… E così quella che doveva essere una romantica notte d’amore si trasformerà in una angosciante odissea metropolitana, fatta di incontri sbagliati, dubbi, paure, fughe e sogni infranti.
Il film è un remake di Honeymood, una commedia israeliana del 2020 presentata solo tre anni fa proprio al Taormina Film Fest. Nonostante il film pecchi decisamente di originalità vista la così stretta vicinanza in termini temporali con “l’originale”, può fortunatamente fare affidamento su di un cast d’attori che non delude, ad iniziare dalla affiatata coppia Fogliati-Scicchitano. Lei aspirante osteopata con il sogno infranto di diventare stilista. Lui, figlio di un rabbino, appassionato di libri gialli con il sogno nel cassetto di potere un giorno scriverne uno, preferisce fare l’agente immobiliare invece di lavorare nel negozio di famiglia. Ci sono poi un singolare tassista, molto minaccioso, molto romano ma molto poco romanista, interpretato da Francesco Pannofino e Armando de Razza, il cameriere-fantasma che con le sue improvvise incursioni sulla scena riesce a strappare più di un sorriso. Ma la coppia d’assi è rappresentata da Lucia Ocone e Giorgio Tirabassi, che incarnano Ester e Michele, i genitori invadenti e soffocanti di Valerio, entrambi molto nella parte, con una vena comica da navigati attori.
Premesso che di temi come la fuga o i pentimenti prima, durante e dopo le nozze, è piena la cinematografia mondiale e che il film non è di quelli che lasciano il segno, qualche battuta carina c’è (“…non basta essere ebrei per fare battute, bisogna essere Woody Allen…”) e l’uscita nelle sale il 28 di agosto agevolerà sicuramente la pellicola che verrà vista come una continuazione, in termini di spensieratezza, delle vacanze prima della ripresa autunnale. Al pubblico l’ardua sentenza.
data di pubblicazione:27/08/2024
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da Maria Letizia Panerai | Ago 21, 2024
Arriva finalmente nelle sale italiane l’ultima pellicola di Kore’eda Hirokazu premiato nel 2023 al Festival di Cannes per la migliore sceneggiatura firmata da Sakamoto Yuji. Il film è dedicato alla memoria del compositore premio Oscar Ryuichi Sakamoto, autore della colonna sonora, scomparso due mesi prima che il film venisse presentato al pubblico di Cannes.
Minato e Yori sono figli di genitori single. Minato vive con la mamma vedova ed è in età preadolescenziale, Yori con il padre, manesco e sovente ubriaco. Tra i due sembra esserci uno strano rapporto: Minato è più grande e sembrerebbe bullizzare Yori, piccolo e stravagante e per questo sovente oggetto di battute e sberleffi da parte di molti compagni di scuola. Saori, la madre di Minato, si accorge che suo figlio si comporta in maniera strana, è triste, pensieroso, e sembra nasconderle qualcosa. Un giorno, nell’osservare dalla finestra il divampare di un incendio ai piani alti del palazzo di fronte dove all’interno c’è un “bar per adulti” abitualmente frequentato dal padre di Minato, questi chiede alla madre: “se a un uomo viene impiantato il cervello di un maiale è ancora un uomo o è un mostro?”. La domanda porta Saori a chiedere al figlio da chi avesse sentito una cosa simile e dopo tante insistenze Minato confessa che il suo professore, il signor Hori, gli aveva detto che aveva il cervello di un maiale. Saori si rivolge alla preside per avere spiegazioni. Ma sia lei che l’intero corpo docente non le forniscono risposte. La situazione cambia quando Minato prende parte a una rissa a scuola…
Il film è articolato in un modo tale che la storia iniziale si ripeta diverse volte inquadrata dall’angolazione di ogni partecipante. Ognuno di loro apre allo spettatore una visione differente dell’accaduto, ad iniziare dal misterioso incendio iniziale da cui sembra nascere tutto. Appare evidente che la tranquillità di una piccola cittadina giapponese nasconda “scintille” che fanno poi divampare incendi, paragonabili alle incomprensioni di alcuni adulti che non sanno o non vogliono vedere ciò che è davanti i loro occhi, in uno scenario a volte vero e autentico e a volte presunto e assai limitato dallo sguardo parziale di alcuni protagonisti.
Alla fine si arriverà, grazie ad una sceneggiatura perfetta, a qualcosa di inaspettato che ha a che fare con l’amore, con la crescita, con gli interrogativi più intimi e primari che assalgono chi è sulla linea di confine tra infanzia e adolescenza, di cui Minato e Yori ne sono i degni rappresentanti. Il pregiudizio e la cieca incomprensione sono tra i temi principali di questo film, un vero gioiello delicato e struggente che attraverso immagini e dialoghi ci insegna tanto sull’amore e l’amicizia.
data di pubblicazione:21/08/2024
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da Maria Letizia Panerai | Mag 14, 2024
Dopo aver vinto i Premi per la miglior regia e per la migliore attrice protagonista al Bif&st 2024, dal 9 maggio è nelle sale l’opera prima diretta e sceneggiata dalla coppia Bortone-Porto. Nata da genitori calabresi, Daniela Porto è anche autrice dell’omonimo romanzo costruito attorno ad un racconto della madre su un signore del suo paese, braccio destro del parroco e omosessuale, soprannominato“l’uomo dei matrimoni”.
Lorenzo, sagrestano della parrocchia, deve organizzare con una certa celerità il matrimonio di Marta, una ragazza-madre promessa in sposa ad un vedovo con prole molto più grande di lei. Siamo nell’entroterra calabrese dell’immediato dopoguerra. Marta, nonostante abbia frequentato solo sino alla seconda elementare, sa leggere e scrivere. Ha conosciuto l’amore del suo ragazzo non tornato dalla guerra e capisce che quel matrimonio combinato rappresenti la sua tomba, ma non ha la forza né i mezzi per opporsi alla decisione presa dai suoi genitori. A causa della sua giovane età non sa cogliere neanche i primi flebili segnali di un imminente cambiamento sociale. Sarà proprio “l’uomo dei matrimoni”, da tutti così chiamato e nel contempo deriso per la sua omosessualità, a farle prendere coscienza della sua condizione. Tornato da Milano al suo paese d’origine inseguendo l’amore, Lorenzo stringe una profonda amicizia con la giovane donna. Da quell’amicizia nasce in Marta la consapevolezza di quel dolore che si porta addosso, figlio della discriminazione, dell’ipocrisia e della maldicenza.
Il film, uscito nelle sale dopo il grande successo di C’è ancora domani, seppur parli anch’esso di amicizia ed emancipazione nell’Italia che fa accedere le donne alle urne, lo fa con profondo realismo e un linguaggio molto diretto. Una dura sfida ai pregiudizi, che diventa lotta per una vita senza umiliazioni e prevaricazioni. Nel film è evidente la fatica della protagonista nel procedere a piccoli passi verso la libertà, sottolineata anche da un abbigliamento povero e mortificante, oltre che da una vita già decisa e senza appello.
Ludovica Martino (Marta) è sorprendente: unica attrice romana in un cast interamente calabrese di primissimo livello, al suo primo ruolo da protagonista recita in un dialetto arcaico della ionica degli anni ‘40. Il film, girato a Gerace nella Locride, curato in ogni minimo dettaglio, ha sicuramente il merito di sottolineare che Lorenzo, interpretato da un intensissimo Marco Leonardi, seppur deriso e discriminato è comunque un uomo. E come tale può sopravvivere alle asperità di una vita fatta di solitudine perché più libero di tutte le donne dell’epoca, “prigioniere” solo in quanto donne, in un’Italia dimenticata che a volte purtroppo non sembra tanto lontana.
data di pubblicazione:14/05/2024
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