da Maria Letizia Panerai | Ott 22, 2021
Johnny (Joaquin Phoenix), giornalista radiofonico, sta conducendo un lavoro in giro per gli Stati Uniti che consiste nell’ intervistare bambini sulle loro aspettative, i loro sogni ed i loro desideri. Con pochi fidi collaboratori, un microfono ed un registratore, spostandosi tra New York, Los Angeles e New Orleans, l’uomo raccoglie con passione ed amorevolezza le testimonianze di tanti bambini su come vedono loro il futuro e cosa pensano del mondo in cui vivono.
Johnny ha una sorella, Viv, con cui non parla da un anno: dopo la scomparsa della madre, in seguito ad una brutta lite, i loro rapporti si sono interrotti. Una sera Viv rompe il muro di silenzio: al telefono chiede al fratello di occuparsi di suo figlio Jesse, di appena 8 anni, perché lei deve raggiungere il marito, e padre del bambino, ricoverato a Detroit per curare una forma di bipolarismo da cui è affetto da tempo. Johnny, nonostante l’esperienza accumulata con il suo lavoro, resta spiazzato dall’incontro con il nipote (interpretato da uno stupefacente Woody Norman) così attento e consapevole e, non potendolo affidare a nessuno, decide di portarlo con sé durante il suo itinerario lavorativo. Sarà un’occasione formativa per entrambi, di scambi mentali e fisici, che sancirà l’inizio di un legame inaspettato. Entrambi, con le dovute differenze, opereranno un inevitabile cambio di prospettiva, in un confronto continuo che li farà crescere.
Il film ha dei contenuti molto profondi e Joaquin Phoenix, l’uomo dai mille volti, è perfetto nel rappresentare la crescita interiore di un uomo alle prese con un bambino molto impegnativo, senza calcare mai la mano, in maniera equilibrata, tenera, reale. Intenso e dalla trama impalpabile, il film si interroga sui traumi personali presenti ad ogni età, ed affronta le difficoltà di linguaggio per il raggiungimento di una reciproca conoscenza tra adulti e bambini. Da questo continuo confronto tra zio, nipote ed i bambini intervistati da Johnny che raccontano cosa si aspettano dalla vita, cosa desiderano nonostante l’incertezza dei tempi che stanno vivendo tra difficoltà economiche e sociali, il regista trae spunto per rivolgere l’obiettivo sulla necessità di vivere il presente, di andare avanti anche senza una idea precisa del futuro, impedendo alle aspettative di non farci mettere a fuoco tutte le sfaccettature dell’oggi, prestando così il fianco solo ad ansie e dubbi.
Il film scava nel rapporto tra adulti e bambini analizzando anche la difficoltà di essere genitori ed i traumi presenti ad ogni età, in una sorta di itinerario di crescita, di stimolo ad incontrarsi, di sprone ad andare avanti (come il titolo stesso recita) anche se non si ha idea di cosa accadrà nel futuro, regalando allo spettatore una vera e propria meditazione su quanto i rapporti d’amore aiutino a crescere nel modo migliore e ad ogni età.
data di pubblicazione:22/10/2021
da Maria Letizia Panerai | Ott 16, 2021
“Ero l’Arminuta, la ritornata. Parlavo un’altra lingua e non sapevo più a chi appartenere”. È l’estate del 1975: una tredicenne viene lasciata dal padre, senza troppe spiegazioni, in un casale al centro di una campagna brulla, ed affidata ad una famiglia di contadini che scoprirà essere i suoi genitori biologici. La coppia, fortemente indigente e con una nutrita prole, aveva ceduto la ragazzina a soli sei mesi di vita ad una coppia di cugini benestanti che non potevano avere figli e che, sino a quel momento, l’avevano cresciuta come fosse la loro bambina, in una bella casa in città, lontana da quella povertà rurale dell’entroterra abruzzese.
La giovane adolescente, con una valigia in mano, “restituita” dall’uomo che credeva essere suo padre a quella che invece è la sua vera famiglia d’origine, all’improvviso perde tutto il suo mondo, le sue amiche, la bella casa dove era cresciuta e si ritrova circondata dal silenzio e dall’indifferenza. Comincia dunque a patire il mutismo assordante di quella famiglia a lei estranea, diventando trasparente agli occhi degli adulti che l’avevano cresciuta e di quelli che l’avevano ceduta, come se tutti loro avessero perso la “memoria della sua esistenza”. Diviene invisibile. Come una rifugiata in terra straniera, la ragazza dovrà tentare di reinventarsi una nuova vita in un nucleo familiare, respingente e diffidente che, pur non appartenendole, è il suo. Solo la piccola Adriana, bambina sveglia e solare, a suo modo la accoglierà, traghettandola in quella vita che le è stata imposta senza alcuna spiegazione.
È un vero gioiello, rude e tenero al tempo stesso, il film di Boniti, unica pellicola italiana voluta da Monda in selezione ufficiale alla Festa del Cinema di Roma. Applauditissimo dal pubblico alla prima in sala, il film fa venire immediatamente voglia di leggere l’omonimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio, anche co-sceneggiatrice della pellicola. Molti sono i temi affrontati, da quello sui minori maltrattati o sradicati da adulti non responsabili, a quello sull’abbandono sovente collegato a maternità non consapevoli o non supportate da figure maschili idonee. Il film fa emergere anche certe usanze di alcune zone depresse del sud, in cui sino a qualche decennio fa erano praticate private forme rudimentali di “affido”, per garantire ai numerosi figli di famiglie bisognose una vita migliore, soffermandosi soprattutto sugli strappi affettivi che privano le persone della propria identità (l’Arminuta non ha un nome, non ha un compleanno da condividere: è solo colei che viene restituita), e su quanto la conoscenza sia l’unico vero antidoto alla paura e al buio.
Il cast è eccezionale, ad iniziare da Sofia Fiore (l’Arminuta), struggente e dura al tempo stesso, suo malgrado temprata da quell’affetto materno negato, e la piccola Carlotta De Leonardis che impersona Adriana, bambina matura e disincantata ma che nonostante tutto ama ancora giocare e andare sulla giostra; un immenso Fabrizio Ferracane nel ruolo di un padre-padrone che non conosce il perdono e la comprensione, ma solo il silenzio e la forza delle proprie mani come forma di punizione, ed infine le due madri, ognuna infelice a modo suo, degnamente interpretate da Vanessa Scalera e Elena Lietti.
L’Arminuta è un piccolo grande film, di quelli che ci insegnano qualcosa, che ci allargano il cuore, che scalfiscono il muro dell’indifferenza e che ci inducono ad essere più aperti e generosi nei confronti dei più deboli.
In uscita nelle sale il 21 ottobre distribuito da Lucky Red.
data di pubblicazione:16/10/2021
da Maria Letizia Panerai | Set 28, 2021
Tre piani di una palazzina nel Quartiere Prati di Roma, tre storie familiari che vengono scosse dal loro abituale “torpore” da una deflagrazione notturna, tre donne che dovranno decidere della loro vita: Nanni Moretti ci pone di fronte all’importanza di operare delle scelte, a volte dolorose ma necessarie. Un inno all’assunzione delle proprie responsabilità per costruire un nuovo assetto di crescita individuale.
Al terzo piano di una palazzina vive una coppia di giudici, Vittorio (Nanni Moretti) e Dora (Margherita Buy); una notte vengono svegliati dal rumore causato da un brutto incidente: Andrea (Alessandro Sperduti), il loro figlio ventenne, rientrando a casa in macchina a forte velocità investe ed uccide una donna, per poi schiantarsi contro una parete in vetrocemento di un locale-studio al piano terra del suo stesso palazzo, sotto gli occhi increduli dei proprietari Lucio (Riccardo Scamarcio) e Sara (Elena Lietti) e della loro bambina. Lucio e Sara vivono al primo piano di quella stessa palazzina, lavorano entrambi e sovente affidano la loro figlioletta Francesca a Giovanna e Renato, una coppia di anziani (Anna Buonaiuto e Paolo Graziosi) che hanno un appartamento sullo stesso pianerottolo. Al secondo piano invece vive Monica (Alba Rohrwacher) ed anche lei quella notte assiste all’incidente: è sola perché suo marito Giorgio (Adriano Giannini ) come spesso accade è all’estero per lavoro; la donna, in procinto di partorire la sua prima figlia Beatrice, sta aspettando un taxi che la porti in ospedale proprio nel momento in cui Andrea a tutta velocità travolge la passante e sfonda con la sua auto lo studio di Lucio e Sara. Quell’incidente rappresenterà un evento che scombinerà tassello dopo tassello l’apparente equilibrio di queste tre coppie e tutte, da quel momento, prenderanno lentamente consapevolezza della propria infelicità.
Moretti tratteggia, con uno stile registico scarno, tre coppie infelici ma che sembrano non sapere di possedere la possibilità di scegliere per cambiare lo stato delle cose e trasforma in immagini tre storie intime, riscrivendo con Federica Pontremoli e Valia Santella, le vicende narrate nell’omonimo libro di Eshkol Nevo, trasferendo l’adattamento cinematografico da Tel Aviv a Roma.
Tre piani è uno schiaffo in pieno viso, che genera sgomento perché Moretti maneggia la storia in maniera diretta ed asciutta, senza alcun accenno a quell’ironia a cui ci ha da sempre abituati. Le figure maschili sembrano essere più a fuoco nell’accezione negativa delle loro mancanze, ben blindati nella loro rigidezza, nei loro egoismi e nelle loro paure, rispetto a quelle femminili che, seppur a fatica, saranno tutte capaci di scegliere tra il perdono, l’abbandono ed il cambiamento.
È un film decisamente complesso, di quelli a “lievitazione lenta”, in cui il malcontento che aleggia sin dal primo fotogramma tende a diradarsi man mano che si rompono gli schemi in cui sono intrappolate le coppie protagoniste, generando scelte finali non prevedibili.
data di pubblicazione:28/09/2021
Scopri con un click il nostro voto:
da Maria Letizia Panerai | Set 23, 2021
Nel suo terzo lavoro da regista, Alessandro Gassman racconta la storia della famiglia Primic puntando l’accento sui piccoli silenzi che, sommati tra di loro, diventano grandi e sulle cose pensate ma non dette di una famiglia, come lui stesso ha dichiarato, “che in qualche modo somigliava alla mia”. Tutta la pellicola viaggia sulla constatazione di questa profonda incomunicabilità e su “l’amara consapevolezza che vivere non significa essere vivi”.
Siamo a Napoli a metà degli anni sessanta. La lussuosa ma decadente villa Primic con vista su Capri è stata messa in vendita da Rose Primic (Margherita Buy), con la complicità dei figli Massimiliano (Emanuele Linfatti) e Adele (Antonia Fotaras), ma contro il volere di suo marito Valerio (Massimiliano Gallo), noto scrittore. Valerio incarna la figura del grande capofamiglia ma sembra tuttavia non accorgersi quanto la sua fama, e soprattutto la sua cultura, non abbiano contribuito a creare per i suoi due figli l’ambiente ideale per affermare la propria personalità.
E mentre iniziano le visite dei possibili acquirenti che passano in rassegna tutte le stanze, nello studio della villa, unica stanza non visitabile, si susseguono una serie di incontri tra i singoli componenti della famiglia ed il grande scrittore. Durante questi incontri, ognuno gli manifesterà non solo la irreversibile decisione di vendere, ma anche tutta una serie di piccoli e grandi rancori troppo a lungo sopiti. Valerio, incredulo, tenterà invano di difendersi da chiunque varchi la porta di quel polveroso studio, che neanche la vecchia e fedele governante Bettina (una straordinaria Marina Confalone) riesce a pulire come si converrebbe. Ma quei dialoghi assomigliano tutti a dei monologhi, sfoghi individuali da cui lo scrittore ne esce quasi sempre sconfitto e con la amara consapevolezza di non conoscere affatto i propri cari.
Durante la proiezione, salta subito all’occhio dello spettatore che sullo schermo si stia assistendo ad una pièce teatrale la cui storia ha qualche elemento di similitudine con la famiglia del regista. Tratto da un testo di Maurizio De Giovanni di cui Gassman ne ha già curato la regia teatrale, Il silenzio grande è un film ricco di sentimenti e piacevolmente profondo, in cui il silenzio, patito ed inflitto, genera disagio nello spettatore. Notevole l’interpretazione di tutto il cast, attori giovani compresi, così come appare molto curata l’ambientazione, anche se la vera protagonista è la fotografia, a volta seppiata a volte a colori, che ci racconta “il silenzio”, e non solo, sino al finale della storia.
E così tra confronti, silenzi, luci ed ombre, vengono a galla conflitti, rivendicazioni, e tante paure sino ad allora inconfessate: tutte manifestazioni spontanee verso colui che sembra essere “il grande assente” nelle relazioni della famiglia Primic, quel capofamiglia che ha fatto del silenzio la sua malattia senza neanche accorgersene.
data di pubblicazione:23/09/2021
Scopri con un click il nostro voto:
da Maria Letizia Panerai | Set 9, 2021
Il film di Martone narra la storia di un patriarca e della sua famiglia allargata, ma anche la storia del teatro napoletano di cui Eduardo Scarpetta fu il più importante autore tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento, raffigurato dal regista in un gioco senza soluzione di continuità tra vita reale e palcoscenico. Grande attore, marito ed amante, egocentrico capostipite di una dinastia teatrale, Scarpetta creò il personaggio immaginario di Felice Sciosciammocca, maschera del teatro dialettale napoletano che, nell’immaginario collettivo, rappresentò l’evoluzione di Pulcinella sino quasi ad oscurarne la fama.
È un’opera grandiosa e sontuosa quella portata in scena da Martone, in cui le cornici del palcoscenico si intersecano con gli ambienti di un grande appartamento dove i componenti della famiglia Scarpetta consumano scene di ordinaria e straordinaria quotidianità, come i personaggi di un’opera teatrale. Toni Servillo rappresenta, ed è lui stesso, un mattatore: straordinario nell’interpretare un uomo straordinario, ovvero fuori dall’ordinario, a tratti crudele per eccesso di egocentrismo, divenuto famoso e molto ricco, seppur di umili origini. Un uomo che, grazie al suo genio, visse nel lusso preveniente dai proventi della sua attività di commediografo: Qui rido io fu la frase che Scarpetta fece scolpire sulla facciata della sua villa al Vomero, costruita con i proventi di una sola delle sue commedie. Marito di Rosa De Filippo (interpretata da una bravissima Maria Nazionale) con cui ebbe Vincenzo e Domenico (che pare non fosse suo ma frutto di una probabile relazione della moglie con il re Vittorio Emanuele), adottò Maria nata da una di lui relazione con una maestra di musica; Scarpetta ebbe poi altri tre figli maschi – Ernesto, Eduardo e Pasquale – dalla sorellastra di sua moglie Rosa ed altri tre ancora, i noti Titina, Eduardo e Peppino, da Luisa De Filippo, nipote di sua moglie Rosa. Quest’ultima, interpretata da una convincente Cristiana dell’Anna nota al pubblico televisivo per la serie Gomorra, viene raffigurata da Martone come una sorta di “favorita” da Scarpetta, seppur triste ed in perenne attesa di sue attenzioni e riconoscimenti per quei figli illegittimi, come una sorta di antesignana di quella Filumena Marturano di eduardiana memoria.
Martone riesce sicuramente con il suo film nell’impresa titanica di illustrarci una vita interessante, complessa ed anticonvenzionale. Una grande compagnia teatrale che si fa famiglia e viceversa, in cui figli, compagne di vita, attori e personale di servizio, vivendo sotto lo stesso tetto o in appartamenti attigui, recitano anche sugli stessi palcoscenici secondo il volere di quell’unico “padrone” che vigila su tutto e tutti, e che tutto decide con autorità ma anche autorevolezza, confondendo il possesso con l’amore, ed infondendo con spietata consapevolezza una unica, grande passione: quella per il teatro.
Ma se i figli non potranno che accettare le contaminazioni familiari nel teatro della vita, alcuni degli autori contemporanei a Scarpetta non gli perdoneranno la tracotanza per aver parodiato la tragedia dannunziana La figlia di Iorio, cominciando a segnare il declino del commediografo, macchiandone il nome con un’accusa di plagio che solo la difesa affidata a Benedetto Croce cancellerà. Martone ci racconta infine, con amore e crudeltà, che il personaggio di Pippiniello di Miseria e Nobiltà verrà interpretato a giro da quasi tutti i figli di Scarpetta, anche da quelli che lo chiamavano zio, maschi e femmine senza distinzione, ponendo in particolare l’accento su un recalcitrante Peppino, l’unico dei figli cresciuto da una balia in una casa di campagna, lontano dalla famiglia, lasciandoci comprendere perché molti anni dopo il grande Eduardo alle domande su come fosse stato Scarpetta come padre, rispondesse sempre che “era un grande attore”.
Film da non perdere.
data di pubblicazione:09/09/2021
Scopri con un click il nostro voto:
Gli ultimi commenti…