da Antonietta DelMastro | Set 27, 2015
Febbraio, ora antidiluviana. Tre amici, tre adolescenti, si incontrano per una sessione di surf.
Uno di loro non tornerà a casa, verrà stroncato da un incidente sulla via del ritorno; arriverà in ospedale in coma irreversibile e, in quel momento, una macchina inesorabile si metterà in moto perché la morte di uno possa significare la vita per molti.
Un libro veramente bello e originale, che si dipana in ventiquattro ore cariche di suspense, con pause e ripartenze e che parla della vita attraverso la morte.
Un argomento molto complesso, il trapianto, che l’autrice tratta non solo dal punto di vista “tecnico” scandendo i tempi entro cui andranno espiantati gli organi perché siano utilizzabili, l’avvicendamento in camera operatoria delle equipe che si occuperanno ognuna del proprio organo, cuore, fegato, reni, ma anche “introspettivo”, con pochi tratti essenziali ci farà conoscere tutti gli attori di questa tragedia moderna.
I genitori con il loro dolore inconsolabile, inenarrabile, che dovranno decidere di staccare le macchine che tengono in vita il proprio figlio per permettere ad altri di continuare a vivere; le vite, i sentimenti, il dolore, l’amore e l’immenso rispetto di tutti coloro che sono coinvolti, dai medici, agli addetti ai trapianti, dagli infermieri alla donna che riceverà il cuore del giovane Simon che le permetterà di tornare a vivere.
Un libro che fa sicuramente riflettere; quando non è rimasto più nulla della persona che siamo stati il nostro corpo si trasforma in un insieme di organi che possono essere tenuti in “vita” da una macchina, una vita che non è “vita” è ben altro.
Un libro che si riassume in una frase: “Che fare Nicolas? – Seppellire i morti e riparare i viventi.”
da Antonietta DelMastro | Set 20, 2015
La rivista Millennium naviga in cattive acque, la popolarità del suo direttore responsabile Mikael Blomkvist sta pian piano scemando tanto che lui stesso è assalito dal dubbio che sia forse il caso di dedicarsi ad altro.
Ma, in piena notte durante una bufera di neve, il telefono di Blomkvist squilla: all’altro capo Frans Balder, autorità mondiale dell’intelligenza artificiale, ha urgenza di vederlo.
Purtroppo Blomkvist al suo arrivo rimane coinvolto nell’attacco che causerà la morte dello scienziato, unico altro testimone August Balder, il figlio autistico e incapace di parlare; la necessità di proteggere il bambino e di scoprire chi e perché ha ucciso il padre farà nuovamente incrociare le strade di Mikael e Lisbeth.
Questa, per sommi capi, la trama del libro, ma la storia è tutta un’altra.
David Lagercrantz, un giornalista svedese autore di alcune biografie, da noi Rizzoli ha pubblicato quella di Zlatan Ibrahimovic, è stato scelto dalla casa editrice Norstedts, in accordo con il padre e il fratello di Larsson, per scrivere il quarto volume della serie Millennium; quarto volume che non è il sequel dei tre precedenti, che si sono conclusi con la fine dell’ “affare Zalachenko”, ma un nuovo caso in cui viene coinvolta la redazione di Millennium, il suo direttore Mikael Blomkvist e Lisbeth Salander, nulla di più.
Durante la presentazione del volume a Stoccolma, Lagercrantz ha dichiarato: “Ho sentito una grande responsabilità e devo dire anche una certa pressione. Non volevo deludere l’editore che aveva scelto me per questo progetto, ma allo stesso tempo volevo mantenere la mia identità di scrittore … Ho capito che sarei stato patetico a cercare di imitarlo (Larsson) e a quel punto mi sono sbloccato. Dunque non cercate alcuna similitudine nel linguaggio”. Il portavoce della Casa editrice ha dichiarato di aver scelto Lagercrantz proprio perché il suo stile è diverso da quello di Larsson, in modo da recidere ogni possibile tentativo di “sequel” dei primi tre volumi.
È innegabile che la loro campagna pubblicitaria abbia, invece, molto giocato sul fatto che questo volume fosse il sequel dei primi tre ma, d’altra parte, come non sfruttare una scia da ottanta milioni di copie vendute???
Non lo consiglierei a chi si aspetta di leggere un altro “Larsson”: questo libro non è coinvolgente come i tre precedenti, non c’è traccia della forza aggressiva che incatenava il lettore fino alla fine, il linguaggio non ha nulla a che vedere con quello a cui eravamo abituati e i personaggi non sono tratteggiati con la maestria di Larsson.
È un nuovo autore che si inserisce in quello che ormai viene definito “giallo Svezia”.
da Antonietta DelMastro | Set 13, 2015
Un altro libro sul mondo dell’editoria… Sì, ma questo è veramente divertente!
Alice Basso conosce le case editrici e si districa nella descrizione dei ruoli e dei personaggi come solo chi li conosce da vicino può farlo. Mettiamoci anche che è scritto molto bene, che è scorrevolissimo e che la protagonista, Silvana Sarca per noi Vani, è di una ironia magistrale… Cosa possiamo chiedere di più?
Nel libro c’è un po’ di tutto dal romanzo rosa alla spy story, il finale ci fa capire che ci sarà un seguito e la Basso ci ha già tranquillizzati ammettendo che il secondo capitolo è già stato scritto.
Vani Sarca è giovane, simpatica e ironica ha una capacità empatica fuori dal comune tanto da renderla perfetta per il ruolo che ricopre in casa editrice: la ghostwriter, gli autori le indicano le linee guida del volume, a volte le consegnano una serie di appunti, e Vani crea “l’Opera” con lo stesso stile che caratterizza ogni autore.
Le prime pagine del libro ci accompagnano a conoscere e apprezzare Vani. Poi compaiono tutti gli altri attori: Riccardo, autore che necessita di aiuto e che coprirà la ghostwriter di attenzioni e porterà il loro rapporto a un altro livello; Enrico, direttore editoriale e superiore diretto di Vani spregiudicato e talmente venale da essere patetico e ricattabile; Morgana, alter ego adolescente di Vani e l’ispettore Braganza un Philip Marlowe nostrano.
Che dire, a me è molto piaciuto, l’ironia di Vani mi è mancata nel momento stesso in cui ho finito il libro e ho trovato geniale l’idea di scandagliare il mondo dell’editoria dal punto di vista di una ghostwriter; forse manca di originalità la parte “gialla” in cui la protagonista aiuta le forze dell’ordine a dirimere il caso della scrittrice scomparsa, ma è pur vero che è la prima ghostwriter a farlo e con uno stile tutto suo.
da Antonietta DelMastro | Lug 28, 2015
È un diario delle mutazioni del corpo e dei limiti che ci vengono da esso imposti con il passare degli anni, limiti di cui noi stessi restiamo spesso sbalorditi.
Il diario che un padre lascia in eredità alla propria figlia e che descrive, dall’età di 12 anni fino a ben oltre gli ottanta, la sua vita attraverso le mutazioni del corpo, le scoperte, e le sensazioni e, infine, il triste e lento decadimento.
Il romanzo si dipana alternando descrizioni fatte da frasi brevi e concise a elenchi di propositi a descrizioni di avvenimenti che descrivono storie, sensazioni, paure che ci fanno conoscere l’io narrante, un francese nato nel ’24. Veniamo così a conoscenza della sua infanzia con l’adorato padre che lo copriva di parole affettuose e che, una volta morto, lo lascia solo con una madre anaffettiva; conosciamo la tata Violette che crea appositamente per lui bambino la merenda di pane e mosto d’uva e che lo cresce con affetto e saggezza contadina; poi la guerra che porta con sé i primi amori, fino al matrimonio, alla paternità, alla gioia di diventare nonno e all’ultimo capitolo: “agonia”.
Un vero viaggio attraverso tutti i sentimenti che costituiscono il nostro essere e che il corpo esprime a suo modo, sesso, paura, affetto, dubbi…
Il protagonista osserva che “passiamo la vita a confrontare i nostri corpi. Ma, una volta usciti dall’infanzia, in maniera furtiva, quasi vergognosa. A quindici anni, sulla spiaggia, studiavo i bicipiti e gli addominali dei ragazzi della mia età. A diciotto o vent’anni il gonfiore sotto l costume. A trenta, a quaranta, gli uomini paragonano i capelli (guai ai calvi!). A cinquant’anni la pancia (non metterla su), a sessanta i denti (non perderli). E adesso in queste adunate di vecchi avvoltoi…. Semplicemente l’età. Tizio dimostra molti più anni di me, non trova?”
In una intervista del novembre 2012, apparsa sul soulfood-capital.blogautore.repubblica.it, Pennac dice del suo libro: “…È stata la voglia di raccontare non i sentimenti o l’anima di un personaggio, ma una vita attraverso la tensione che un uomo ha nei confronti proprio del suo corpo ed è appassionante per me perché il soggetto è anche l’oggetto della scrittura…”
Innegabile che, scritto da altri, sarebbe probabilmente stato un volume noioso e senza senso. Pennac ha una plume magica, e lo abbiamo imparato con la saga di Benjamin Malaussène scritto in modo comico e surreale, in Storia di un corpo riesce a rendere intriganti anche le descrizioni dei vari esami che, uomo ormai avanti negli anni, deve subire.
da Antonietta DelMastro | Lug 28, 2015
Ho stentato a finirlo.
Il mio personalissimo parere è che il libro sia reso faticoso a causa di un linguaggio eccessivo che sposta l’attenzione del pubblico dalla storia che si vuole narrare all’architettura delle frasi, alla ricerca continua di termini desueti, alla costruzione del periodo, per i miei gusti, troppo intricato, tortuoso, che manca di chiarezza con flashback improvvisi che lasciano spiazzati e obbligano a tornare indietro e rileggere il brano dall’inizio…
Un esercizio stilistico fine a se stesso che toglie potenza ai personaggi per altro mirabilmente costruiti, che fa perdere il lettore e rende meno potente il messaggio che l’autore vuole fare arrivare perché nascosto in un mare di parole, parole, parole…
La storia è interessante.
Quando si poggia il blocco note e l’evidenziatore, ci troviamo spettatori in uno spaccato della Bari bene, purtroppo dilaniata dagli interessi personali che distruggono tutto quello che è di ostacolo alla creazione di potere e altro denaro. Queste vicende ci arrivano attraverso la storia di una potente e ricchissima famiglia: padre palazzinaro, madre disposta a chiudere gli occhi su tutto pur di mantenere il suo status, e i figli che oscillano continuamente tra l’odio per ciò che il padre rappresenta e le comodità di cui usufruiscono proprio per quel che il padre rappresenta.
Una bella storia.
Speriamo che il prossimo libro salvaguardi più i contenuti che la forma.
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