da Antonietta DelMastro | Gen 8, 2017
Decisamente un libro adatto a questo periodo; la storia di un’amicizia profonda e sincera che travalica l’età, il tutto condito con ricette da vero gourmet.
Isabel e Valerie, sua cara amica, si sono date appuntamento per passare insieme la Vigilia di Natale; durante la cena Valerie esterna tutta la sua preoccupazione per la salute del proprio padre novantenne, Edward, depresso per la recente morte dell’adorata moglie Paula. Questa confidenza e il racconto del rapporto idilliaco tra i due anziani sposi fa crollare Isabel: il suo matrimonio che vacilla nonostante gli sforzi che sta facendo per tenerlo in piedi, l’angoscia di quello che potrebbe accadere e dell’impatto che potrebbe avere sulla figlia ancora piccola, tutti questi risvolti la rendono particolarmente sensibile al racconto dell’amica e la commozione per la splendida storia d’amore tra Edward e Paula è tale che Isabel cede alle pressioni di Valerie e si fa convincere dall’amica a “tenere d’occhio” il padre, andando di tanto in tanto a cena da lui, il quale per altro è appassionato di cucina e ottimo cuoco.
Il loro primo incontro avviene in una fredda sera di febbraio. Isabel si presenta a casa di Edward, quasi biasimando la propria debolezza nell’aver accettato tale compito, ma viene subito irretita dal profumo che arriva dalla cucina: Edward ha preparato una cena squisita, da gustare insieme e farsi compagnia.
Isabel ed Edward non hanno nulla in comune, il mezzo secolo che li separa, anagraficamente parlando, li ha portati ad avere delle esperienze di vita diverse, a compiere scelte diverse, a vedere e vivere la vita in modo completamente diverso. Eppure questo incontro sarà catartico per Isabel …Qualsiasi fosse stata la molla, mai avrei potuto immaginare che quell’incontro mi avrebbe cambiato la vita.
Tra i due nascerà un legame speciale, sincero, affettuoso; le loro cene diventeranno un appuntamento settimanale durante le quali Edward si esibirà in menù raffinati e la loro amicizia diverrà sempre più forte e intima. Edward potrà tenere fede alla promessa di continuare a vivere al suo meglio fatta sul letto di morte all’adorata moglie, e Isabel guarderà con occhi diversi la sua vita: Edward mi stava insegnando l’arte della pazienza, il lusso di rallentare il ritmo e di concedermi il tempo di riflettere su quello che facevo.
Un libro che parla di un’amicizia intensa, un romanzo pieno di tenerezza che ci insegna ad apprezzare la vita. Un romanzo da cui mi sono staccata con difficoltà: mi ero affezionata a Edward, alla sua saggezza al suo modo di “donarla” agli altri, non potevo non immaginare cosa sarebbe potuto succede alla fine e proprio per questo volevo che non arrivasse mai, avrei voluto che la storia, che il diario di questi incontri, di questi scambi, continuasse ancora e ancora e con gli incontri anche gli insegnamenti del caro Edward.
data di pubblicazione: 08/01/2017
da Antonietta DelMastro | Dic 18, 2016
Flashback continui per questo nuovo giallo di Michel Bussi; la storia si snoda contemporaneamente su due piani temporali distanti ventisette anni uno dall’altro.
Agosto 1989. Corsica, dal diario di una Clotilde quindicenne veniamo a conoscenza degli antefatti dell’evento clou di quell’estate: dopo una corsa per le tortuose strade a precipizio sul mare della penisola della Revellata, l’automobile su cui viaggia la famiglia Idrissi finisce nel vuoto; nel mortale salto muoiono i genitori e il fratello di Clotilde, solo lei si salverà, con la vita inevitabilmente segnata.
Agosto 2016. Clotilde torna per la prima volta sull’isola con il marito e la figlia adolescente, torna al Camping dei Tritoni anche se non nella stessa piazzola C29, ma è lì che la raggiunge una lettera: la calligrafia e la firma sono quelli della madre…
Clotilde non è più un’adolescente, non crede ai fantasmi. I suoi ricordi sono chiari, gli ultimi momenti prima dell’impatto li ha scolpiti nella mente: rivede ancora il padre che stringe la mano della madre elegantissima nell’abito regalatole qualche giorno prima. Quindi come si spiega questa lettera?
E non è la sola stranezza, altre se ne presentano, altre coincidenze che soltanto uno di loro quattro avrebbe potuto conoscere, e Clotilde inizia a vacillare …
Dalla famiglia non ha alcun aiuto: il marito Franck e Valentine, la figlia, non le danno ascolto, sembrano anzi annoiati dal suo rivangare gli eventi accaduti tanti anni prima, quasi a dire che il passato è passato e bisogna guardare avanti.
Clotilde non si dà per vinta e comincia la sua indagine.
Interroga i vecchi amici, suoi e del fratello, i nonni, tutti coloro che in qualche modo erano stati partecipi della sua vita in quell’ultima estate di felicità. Con le sue indagini, con le sue domande riesce a ricostruire cosa sia accaduto realmente quella notte sulle strade della Revellata e riporta in vita vecchie sofferenze che porteranno a conseguenza terribili: “L’uomo aprì il quaderno. Non gli piaceva quello che stava per leggere. Eppure doveva. Per nutrire il suo odio”
Bussi torna a proporci lo schema che ha usato nei suoi precedenti libri, un capitolo via l’altro con uno sfasamento temporale degli accadimenti.
Il diario di Clotilde è scritto magistralmente, forse troppo per essere quello di una quindicenne, perfetto anche il contenuto con le descrizioni dei vari personaggi: il fratello “grande” che la guida, la bella della comitiva e i comportamenti dei maschi del gruppo, le rivalità tra le amiche, i sentimenti estremi e, in ultimo, la delusione della scoperta che i genitori sono esseri umani che sbagliano e non gli esseri perfetti che ci si immagina da piccini.
Il diario di Clotilde, e le descrizioni della Corsica, sono state le cose che più ho apprezzato del libro.
La storia è originale e ben congegnata, il ritmo aumenta man mano che si va avanti, un thriller che tiene sulle spine. La fine mi ha lasciata un poco interdetta, francamente troppo inverosimile, e avrei totalmente eliminato le ultime pagine che ci proiettano nel 2043, assolutamente!
Sicuramente un buon romanzo, in cui si riconosce la mano dell’autore di Un aereo senza di lei, purtroppo non si avvicina minimamente a Ninfee nere, che resta insuperabile!
data di pubblicazione:18/12/2016
da Antonietta DelMastro | Dic 11, 2016
Romanzo sulle conseguenze del cambiamento climatico e con una visione “particolare” dell’immigrazione, poiché in questo romanzo i migranti siamo noi…!
Dovremmo leggerlo tutti e riflettere su quando ha scritto Bruno Arpaia: il cambiamento climatico, che è già in atto da anni, interessa tutti noi e non può (e non deve) essere solo argomento da salotto perché le sue conseguenze potrebbero essere inarrestabili e devastanti.
La scenografia sembra quella di Mad Max, un futuro distopico con pianure desertificate, fiumi secchi, acqua esaurita; l’Europa e il mondo intero sono stati devastati dalle conseguenza del mutamento climatico. In questo scenario si muove una colonna di “migranti”, uomini, donne, bambini che hanno pagato tutti i loro averi per affidare le loro vite in mano a novelli “scafisti” per intraprendere il viaggio della speranza che dovrebbe portarli verso la Scandinavia che, insieme alle altre zone del circolo polare artico, è tra i pochi luoghi ormai accoglienti per la vita dell’uomo.
Attore principale Livio Delmastro, anziano professore di neuroscienze; il suo viaggio nella realtà post-apocalittica viene interrotta da angosciosi flashback che ci narrano sia la sua storia personale sia le scelte ottuse della politica internazionale, troppo incentrata sulla difesa dei propri interessi egoistici, che hanno portato a oltrepassare il punto di non ritorno.
In questo preoccupante scenario Arpaia ci regala momenti di umanità in cui Livio, benché estremamente spossato, ogni sera dedica del tempo a impartire lezioni ai bambini che si lasciano cullare nel ricordo di quello che era, e si distraggono da quello che è. Una realtà in cui, benché le condizioni di tutti siano precarie, si cerca di non lasciare indietro i più deboli, i vecchi, i malati, una realtà in cui si è capaci di provare ancora amore e affetto, e fino all’ultimo alito di vita si pensa al prossimo.
Perché l’umanità che contraddistingue l’uomo non si spegne, neanche nei momenti più bui.
data di pubblicazione:11/12/2016
da Antonietta DelMastro | Dic 4, 2016
Un libro che ha fatto molto scalpore in Israele. La decisioni di escluderlo dai programmi scolastici dei licei, perché avrebbe potuto “minare le identità separate di ebrei e arabi”, ha di fatto reso il volume un vero caso editoriale con un boom di vendite che nessuno si sarebbe potuto aspettare.
A New York è il secondo autunno senza le Torri; due ragazzi si incontrano e si innamorano.
Lei è Liat, una ragazza di Tel Aviv, figlia di ebrei iraniani, a NY con una borsa di studio; i suoi tratti, nella NY ferita e ancora sotto shock, la classificano come una “mediorientale” e quindi persona sospetta, tanto che l’FBI riceverà una segnalazione e si presenterà alla sua porta per verificare le sue credenziali.
Lui è Hilmi, un ragazzo di Ramallah che ha passato 4 mesi in carcere in Israele per aver disegnato delle bandiere palestinesi sui muri, ed è a NY per dipingere; molti dei suoi quadri rappresentano sempre lo stesso soggetto, un bambino che sogna il mare.
I due giovani si incontrano in modo fortuito: Liat ha un appuntamento con un amico che, impossibilitato ad avvertirla di un contrattempo, manderà al suo posto Hilmi.
È così che si conoscono, ed è così che piano piano inizia tra loro qualcosa di più di una semplice amicizia, qualche cosa che, tra mostre, feste e la paura di Liat che qualcuno possa vederli e avvisare la sua famiglia, sfocerà in amore.
Un “amore a tempo”, un amore con una data di scadenza quella che, come una scatola di corn flakes, è impressa sul biglietto che riporterà Liat a Tel Aviv.
Sono tutti e due consapevoli che non esiste un futuro comune per loro due.
Sono uniti dall’amore per la stessa terra, si scaldano nella gelida e nevosa primavera newyorchese al ricordo del loro caldo sole levantino, Liat parla con nostalgia del suo mare e Hilmi ascolta affascinato, perché il suo sogno è quello di poter vivere in riva a quel mare.
E quello stesso amore li separa. I continui tentativi di trovare una soluzione che possa far convivere sulla stessa amata terra due popoli che si odiano da decenni portano con sé solo litigi e discussioni.
Tra fasi alterne la loro storia va avanti fin quasi alla fine di maggio, quando Liat torna a Tel Aviv e Hilmi rientra a Ramallah per trascorrere l’estate. Fin quando, in un pomeriggio estivo, il fratello di Hilmi non telefonerà a Liat…
Leggendo questo libro si ha l’impressione di guardare un album fotografico, tante immagini si presentano ai nostri occhi e forse rallentano un poco il corso della storia così come i troppi flashback che distraggono la nostra attenzione dalla storia principale; i personaggio sono costruiti e descritti egregiamente e i sentimenti che scaturiscono dal confronto di Lilat e Hilmi, dal confronto delle loro culture, dall’appartenenza a due popoli in lotta, ne fanno un libro che va assolutamente letto.
data di pubblicazione:04/12/2016
da Antonietta DelMastro | Nov 21, 2016
Ammetto la mia immensa ignoranza; per me la Mongolia era solo Gengis Khan e le cavalcate nei deserti quindi, quando Fahrenheit (Radio RAI3) ha presentato il libro di Ian Manook e la storia del commissario mongolo Yeruldelgger sono stata così incuriosita che non ho potuto fare a meno di iniziare la lettura.
Le indagini che richiedono l’intervento del commissario sono due e proseguono parallelamente. Il rinvenimento dei cadaveri di tre cinesi i cui corpi sono stati oggetto di riti sessuali e il ritrovamento, nel mezzo della steppa, del corpo di una bambina di pochi anni seppellita insieme al suo triciclo.
Il commissario dovrà superare non pochi ostacoli che verranno lasciati sul suo cammino da poliziotti corrotti, magnati stranieri in cerca di facili affari e gruppi neonazisti per portare a termine le sue indagini, nel corso delle quali potrà contare solo su tre persone: la collega ispettrice Oyun, l’anatomopatologa Solongo, e Gantulga un ragazzino di strada che si rivelerà essere di una furbizia e di un valore assoluto.
Nel corso delle 524 pagine scopriremo un commissario burbero, chiuso, che mal sopporta l’autorità, che va dritto per la sua strada senza chiedere permesso a nessuno e senza paura delle conseguenze, che ha un passato di intense sofferenze e un futuro che non promette nulla di buono …
L’ambientazione del libro è spettacolare!
Manook descrive una steppa traboccante di fascino, immensa, silenziosa, eterna con le usanze e tradizioni di cui è pervasa: la benedizione dei viaggiatori che avviene spargendo alle loro spalle latte verso i quattro punti cardinali, i suoi cibi, su tutti il boodog, il tè salato con latte di yak e burro di cui è goloso Yeruldelgger, le yurta, abitazioni dei nomadi descritte minuziosamente fin nel modo in cui la tradizione vuole che ci si muova al loro interno.
Con il commissario entriamo nel monastero buddista di Yelintey e poi nella capitale della Mongolia, Ulan Bator, quasi irrimediabilmente corrotta, sfregiata dai vecchi squallidi e grigi palazzoni senz’anima dell’edilizia sovietica, invasa dal traffico, con nuovi cantieri che nulla hanno a che vedere con la cultura mongola, con i tanti disperati che la abitano.
Sono rimasta affascinata dalla Mongolia di questo libro, assolutamente, totalmente, innegabilmente affascinata.
Purtroppo non posso dire altrettanto della trama che ho trovato per alcuni versi un po’ farraginosa, in alcuni punti scontata e in altri forzata. Alcune descrizioni sono state esageratamente crude e violente e, la fine inevitabilmente scontata e dal sapore esageratamente buonista.
Ci sarà un seguito e so già da ora che lo leggerò per potermi nuovamente immergere nei venti della steppa: speriamo che la trama migliori così da potermi affezionare anche alle storie.
data di pubblicazione: 21/11/2016
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