da T. Pica | Dic 22, 2016
(Teatro Quirino – Roma, 22/23 dicembre 2016)
A chiusura del 2016 ricorre il primo decennale della versione de Lo Schiaccianoci di Caikovskij rivisitata da Mario Piazza. Per celebrare dieci anni di successi ininterrotti il Teatro Quirino di Roma diviene per qualche ora il tempio del Balletto d’Opera per eccellenza regalando – a romani e turisti che sanno cogliere le perle offerte dal cartellone del Teatro romano – la favola di Natale per antonomasia, quella, appunto, de Lo Schiaccianoci. Si apre il sipario e Clara e Fritz sono “rapiti” dal piattume degli schermi di tre televisori, bisticciano per avere lo “scettro” del telecomando fin quando non irrompe l’anziano zio Drosselmeyer con i regali, tra cui il dono di uno Schiaccianoci e l’inizio di un passaggio dall’infanzia all’adolescenza attraverso la dimensione onirica, nella quale si susseguono tumultuosi sentimenti, emozioni, insicurezze e angosce propriamente adolescenziali. La chiave di lettura moderna de Lo Schiaccianoci rappresentato da Mario Piazza riesce a fondere il cuore del libretto della storia originale e intramontabile dell’opera di Caikovskij (che dal 1892 è tra i topos delle storie e dell’immaginario comune – visivo, musicale e lirico – del Natale), con i sentimenti di smarrimento, di alienazione e le inquietudini interiori tipiche dei nostri tempi, anche grazie alla scenografia cupa, industriale, minimalista, priva degli sfarzi e del calore delle atmosfere natalizie da fiaba. Rafforzano questo ossimoro tra fiaba natalizia e arida alienazione i tre tvcolor che in secondo piano, alle spalle delle coreografie dei bravissimi ballerini del Balletto di Roma, proiettano senza sosta immagini frammentarie dai colori fluo, o primi piani su un occhio spaventato, oppure inviti subliminali alienanti come la frase “vieni, gioca con noi”. Tv che quasi sottolineano come spesso il sogno è sì l’unica strada per sfuggire alla monotonia della realtà commerciale di massa, ma poi esso stesso può subire repentine divagazioni in incubo o sogni tormentati e angoscianti proprio per il “martellamento” di messaggi invasivi, violenti e materialisti che tv e tecnologia hanno trasformato in fenomeni spesso devastanti per l’animo e la sensibilità dell’uomo. Lo Schiaccianoci messo in scena da Mario Piazza regala tutto questo, in un tripudio di sintonia tra le musiche di Cajkovskih, la partitura e le scene del racconto originale e i corpi eterei e soavi del corpo di ballo che sono una gioia per tutti i sensi dello spettatore. Brilla ovviamente di luce propria l’inossidabile Andrè De La Roche – nel ruolo di Schiaccianoci e, poi, di Fatina (davvero esilarante) – il quale riesce a unire ai passi di danza impeccabili, una mimica del viso, sguardi complici e giocosi, lasciandosi andare a pochi minimali versi vocali, propri del mattatore del palcoscenico internazionale. Bellissimo l’alternarsi dei passi a due e dei momenti delle danze caratteristiche (russa, araba, cinese in particolare) della Suite della Scena prima del secondo atto della partitura originale. Uno spettacolo che rapisce adulti e i numerosi bambini in sala e che riesce a far sentire la magia del Natale anche a chi ancora non era entrato nel mood delle Feste. Auguriamo a Mario Piazza e al corpo di Ballo di continuare a rappresentare con successo lo Schiaccianoci specialmente per diffondere le sue magiche atmosfere durante le settimane invernali!
data di pubblicazione:24/12/2016
Il nostro voto:
da T. Pica | Dic 8, 2016
(Spazio900 – Roma, 7 dicembre 2016)
In occasione della pubblicazione del numero 16 dell’editoriale trimestrale Fabrique du Cinéma – la carta stampata del nuovo cinema italiano (presente anche sul web fabriqueducinema.com), si è celebrata la serata del secondo Premio Fabrique du Cinéma presso gli eterei ed eleganti spazi di Spazio900, nel quartiere Eur di Roma, impreziositi dall’esposizione delle foto e dei lavori grafici di: Philippe Antonello e Stefano Montsi, con un progetto 3D; Martina Mammola e Simone Ferraro con il lavoro di artwork grafici “Les yeux De L’avenir”; Arianna Lanzusi con il suo “Progetto Cuba” e Adamo Pinto con il lavoro “Landscape”. La squadra che lavora con passione e dedizione nel progetto della rivista Fabrique du Cinéma – guidata da Davide Manca (direttore artistico), Elena Mazzocchi (direttore editoriale) e Ilaria Ravarino (direttore responsabile) – promuove i giovani talenti esordienti del cinema, italiano in primis ma anche internazionale, inteso nella complessità di professioni, arti e mestieri che si racchiudono, amalgamano e nascondono dietro la parola “CINEMA” e dietro il grande schermo.
L’Editoriale è davvero interessante e ben fatto: 73 pagine – connotate da quell’inconfondibile odore della carta dei libri e quaderni di quando eravamo bambini – in cui si alternano speciali, interviste, foto, curiosità su concorsi, premi e i dietro le quinte di giovani attori, registi, sceneggiatori e tecnici del cinema e del teatro. Il tutto con un occhio di riguardo sempre attento anche alla musica, riconosciuta come “attrice” determinante delle opere audiovisive, e all’arte come il bel pezzo “I classici e le pupazze” con i disegni davvero belli di Rita Petruccioli.
Dopo la prima edizione del Premio Fabrique du Cinéma del 2015 – che ha visto trionfare Miriam Leone come attrice rivelazione, Alessandro Borghi come attore rivelazione, Piero Messina per la categoria miglior opera prima, Matteo Garrone per la miglior opera innovativa e sperimentale e Federico Zampaglione per il miglior tema musicale -, nella seconda edizione la Giura, composta da Alessandro Borghi, Ivan Carlei, Valentina Lodovini, Piero Messina e Federico Zampaglione, ha assegnato il Premio “Miglior Opera Innovativa e Sperimentale” a Mine di Fabio Guaglione e Fabio Resinaro; il Premio “Migliore Opera Prima” a La ragazza del mondo di Marco Danieli; Premio “Migliore attrice rivelazione” a Matilde De Angelis per il film Veloce come il vento di Matteo Rovere; Premio “Migliore attore rivelazione” ad Alessandro Sperduti e, infine, il Premio “Miglior tema musicale” a Teho Teardo per il film La verità sta in cielo di Roberto Faenza. Durante la serata sono stati proiettati in anteprima i cortometraggi Oggi offro io di Valerio Groppa e Alessandro Tresi – con un cast d’eccezione composto da Enzo Iacchetti, Icio de Romedis, Giobbe Covatta, Marco Balbi, Corrado Tedeschi, Giacomo Ciccio Valenti e Lucia Vasini -; Uomo in mare di Emanuele Palamara con protagonista Marco D’Amore; Ratzinger è tornato di Valerio Vestoso e la serie web Generation N – con compagna crowdfunding in fase finale per la realizzazione dell’episodio pilota – e Unisex serie web di Francesca Marino. Dopo le proiezioni e le consegne dei Premi Fabrique la serata è proseguita dando ampio spazio alla musica con le performance live di Joe Victor Double Trouble e di Wrongonyou (alias Marco Zitelli, giovane musicista romano autore di musica rock folk davvero bravo!).
Una bella serata che lascia ulteriormente ben sperare sia per il giovane cinema e teatro italiano – e per i giovani musicisti nostrani -, sia per gli “affamati” appassionati di cinema che come noi adorano leggere di arte e cinema sfogliando la carta stampata!
Data di pubblicazione: 8/12/2016
da T. Pica | Nov 24, 2016
Dopo i clamori e gli scandali sollevati da Wikileaks, nell’era del digitale e della cyber security dove si tenta di dare attenzione e clamore ai recenti tentativi normo-legislativi di garantire una globale ed effettiva sicurezza al trattamento dei dati personali – dal cd. “Safe Harbour Principles” al cd. “Privacy Shield”, fino al nuovo Regolamento U.E. e alla Direttiva europea “Big Data” -, passando per l’ultimo episodio di hackeraggio di Yahoo, irrompe nella Selezione Ufficiale della XI Festa del Cinema di Roma Snowden di Oliver Stone.
Il grande regista ha riportato con coraggio, in 134 minuti, i nove anni più importanti – per ora – delle vita di Edward Snowden (interpretato da Joseph Gordon Levitt), il tecnico informatico – cresciuto in una famiglia conservatrice di stampo militare al servizio degli Stati Uniti d’America – che da ideatore di sistemi informatici per la CIA creati per la sicurezza del proprio paese assiste alla silenziosa manipolazione delle sue idee e delle sue invenzioni fino al loro abuso/uso distorto da parte della CIA e poi della NSA e dei suoi uffici “tentacolari” diffusi nel mondo. Dalla graduale e devastante presa di coscienza da parte di Snowden del conflitto di tale abusi con i suoi principi e ideali, il giovane tecnico – grazie anche al sostegno dell’unico “essere umano” estraneo ai lavaggi di cervello impartiti nella CIA e in NSA rimastogli accanto, la compagna Lindsay Mills (Shailene Woodley), personaggio al quale Oliver Stone ha voluto dare risalto cogliendo in lei un ruolo discreto ma fondamentale – da “primo della classe” e miglior tecnico della NSA diviene la voce di una delle più grandi denunce che abbiano mai colpito il sistema di intelligence americano e l’amministrazione Obama. Non era facile raccontare la storia del giovane Snowden e Oliver Stone ha sicuramente tentato il suo meglio per condensare nove anni di storia complessa (rivelata dal protagonista solo ai giornalisti del The Guardian e poi al regista in occasione di segretissimi incontri in Russia dove è esiliato per scampare alle condanne per altro tradimento e antispionaggio), articolata prevalentemente su un linguaggio prettamente informatico/tecnico/ingegneristico, in una pellicola di poco più di 2 ore. Se nella prima parte lo spettatore può appunto soffrire la complessità del sistema in cui Ed. Snowden si ritrovò prima a operare orgogliosamente e attivamente e poi sofferente prigioniero, negli ultimi 40 minuti il thriller si fa decisamente più dinamico e avvincente fino al sovrapporsi di “finzione” cinematografica e frammenti di quanto poi i Media riportarono dal 10 giugno 2013 quando il “più grande spionaggio di massa” venne denunciato al mondo intero. Emozionate la scena in cui irrompe l’applauso del pubblico che assiste alla prima intervista di Ed. Snowden dopo la difficile fuga in Russia dove è riuscito ad avere una seconda vita. Bellissimi i titoli di coda del film – alternati alla descrizione di come la vita di Eduard Snowden è proseguita fino ad oggi – accompagnati dalla canzone composta per Oliver Stone da Peter Gabriel “The Veil” (“il velo”): come a voler sottolineare il protettivo tentativo che con questo film Oliver Stone ha reso affinché gli americani tolgano dai propri occhi, dalle proprie orecchie e dalla propria intelligenza quel velo di affidamento e cieca fiducia in un sistema che per anni ha violato i principi e i diritti di libertà e riservatezza fondamentali di ogni cittadino sotto l’altro “velo” della “giustificazione” della minaccia del Terrorismo.
data di pubblicazione:24/11/2016
Scopri con un click il nostro voto:
da T. Pica | Nov 18, 2016
(Teatro Ambra Jovinelli – Roma 17/27 novembre 2016)
Nella deliziosa cornice del Teatro Ambra Jovinelli il tempo torna vertiginosamente indietro fino alla mattinata del 17 febbraio 1939. Ricalcando la Hollywood dei set e delle case di produzione recentemente portata sul grande schermo dai fratelli Coen e Woody Allen, rispettivamente con Ave, Cesare! e Cafè Society, Virginia Acqua porta sul palcoscenico teatrale l’ufficio dorato di David O. Selznick (un irresistibile Antonio Catania), Presidente della casa di produzione Selznick che sta lavorando alla realizzazione del più grande colossal di tutti i tempi: Via col vento.
Purtroppo però la situazione è critica, disperata, perché “Mr. Selznick”, dopo due anni di preparazione al film, non è soddisfatto né del regista, né della sceneggiatura e ha bloccato tutto. Mr. Selznick, allora, tenta il tutto per tutto: l’unico modo per risalire il baratro e scongiurare il fallimento economico e, soprattutto, il suo ritorno sotto le grinfie lavorative del suocero (Mr. Mayer) è quello di affidare la sceneggiatura al suo amico di sempre Ben Hecht (un bravissimo Gianluca Ramazzotti) e la regia a Victor Fleming (spassoso Gigio Alberti). Dalla convocazione di Hecht e Fleming alle 6 del mattino del 17 febbraio 1939, Mr. Selznick ricorrerà all’espediente di un vero e proprio sequestro di persona, a base di arachidi e banane – perché ormai è labile il confine tra la sua appassionata voglia di realizzazione del film, di riscatto morale e sociale verso il padre, il suocero, la moglie e i soci del Country Club, da un lato, è l’analoga ardente sete di riscatto della protagonista del romanzo, Rossella O’Hara, dall’altro -, per riuscire nell’impresa impossibile di avere nell’arco di soli 5 giorni la sceneggiatura di Hecht pronta per l’avvio delle riprese sul set sotto la direzione di Fleming. Virginia Acqua, anche grazie alla bravura, la simpatia e la mimica esilarante del fantastico trio “Catania-Ramazzotti-Alberti”, nonché dell’impeccabile Paola Giannetti (nel ruolo della efficiente e premurosa segretaria di Mr. Selznick), ha messo in scena uno spettacolo davvero ben fatto, che riporta fedelmente i dialoghi del libro di Ron Hutchinson. Uno spettacolo, ironico, a tratti comico, dal ritmo incalzante, spassoso seppure fortemente legato agli anni dei bagliori della guerra in Europa. Dal libro e dalla rappresentazione teatrale, di Hollywood riemergono alcuni topos mai tramontati e che a quanto pare non sono una peculiarità dei nostri tempi moderni: l’annoso problema dei finanziamenti nel mondo dell’arte, e in questo caso di quello del Cinema; il “duello” tra le diverse professioni – regista, sceneggiatore, produttore -, chi è che conta davvero, chi conta più dell’altro e muove davvero il cuore pulsante del cinema? E, ancora, lo scontro tra chi persegue il profitto e vuole realizzare film che raccontano storie, romanzi – come Selznick – e chi, come lo sceneggiatore Hecth vorrebbe incentivare la diffusione di un cinema più impegnato, che racconta la vita reale, per aiutare gli americani a capire chi siano realmente ed evitare che siano come quegli uomini descritti da Platone come coloro che vivevano guardano le proprie ombre riflesse sul muro. Ma poi perché tutti vogliono fare il cinema? per i soldi? Per la fama? No. Semplicemente perché è l’unico modo per essere immortali. Tra i pregi di questa pièce c’è sicuramente quella di sdoganare con la giusta ironia e comicità il melodramma per eccellenza di Via col vento (rendendolo ad esempio più simpatico a chi come me non ne è mai stata una fan) e, soprattutto, quello di regalare una lettura attenta e profonda del romanzo che diviene al contempo chiave di lettura e spunto di riflessione su tematiche sociali, storiche e cinematografiche ancora fortemente attuali. Il tutto sugellato dal “gran finale”: 1037 pagine del romanzo per poi sapere solo che domani è un altro giorno????;e la chicca di conoscere come nacque la famosissima battuta “francamente me ne infischio”. Insomma, da vedere!
data di pubblicazione:18/11/2016
Il nostro voto:
da T. Pica | Nov 11, 2016
Rachel Watson (Emily Blunt), da mera “spettatrice” passiva dal finestrino del treno che prende tutte le mattine per recarsi in città si ritrova, suo malgrado e in modo decisamente confuso, coinvolta nella scomparsa di Megan (Haley Bennett), una donna bellissima che insieme al marito Scott (Luke Evans) sembravano ai suoi occhi, smarriti e annebbiati, l’emblema dell’amore perfetto.
Ecco che Rachel, quasi in una sorta ricerca di “giustizia” personale contro chi infrange l’amore e la fiducia di un rapporto tradendo il partner – proprio come aveva fatto suo marito Tom (Justin Theroux) -, inizia ad indagare sulla scomparsa di Megan sebbene la Polizia sospetti proprio di lei per questa misteriosa sparizione, e, poi, per la morte della vicina di casa. Da questa indagine maldestra, ostacolata in primis dalle provate condizioni psicofisiche di Rachel che soffre di alcoolismo, la ragazza del treno arriverà a scoprire una verità non tanto eclatante per lo spettatore – visto gli intrighi e i tradimenti che tra soap opera, fiction e vita reale siamo ormai abituati e vedere, sentir raccontare o vivere -, quanto sconvolgente, dolorosa e risolutiva per lei stessa.
Tratto dall’omonimo libro La ragazza del treno – che confesso di non aver letto – il film diretto da Tate Taylor può contare su un buon cast di attori e soprattutto su una convincente Emily Blunt nel ruolo della protagonista. Tuttavia, la pellicola non convince pienamente soprattutto in termini di thriller – forse a causa di alcune inquadrature superflue o di scene che rasentano il ridicolo e fanno sorridere – e sul grande schermo prevale più una versione vicina al romanzo rosa. Da fan scatenata della serie tv americana Friends è stato bello rivedere, seppure in un ruolo minore, la sempre brava e bella attrice Lisa Kudrow (famosa per il ruolo di Phoebe Buffay in Friends) che nel ruolo di Monica, ex capo ufficio di Tom, sarà una sorta di “oracolo”, o fatina buona, che avvierà l’escalation, al cardiopalma, della risoluzione di Rachel.
data di pubblicazione:11/11/2016
Scopri con un click il nostro voto:
Gli ultimi commenti…