da T. Pica | Lug 3, 2015
In una serata di luglio particolarmente calda Rock in Roma, nonostante l’ora tarda (23,00), si è trasformato in un centro di gravità permanente di energia pura. Energia sonora, energia visiva ed energia dello spirito.
Anche questa volta il longevo duo inglese, degli eclettici Tom Rowlands e Ed Simons, espressione del “big bit” e della musica elettronica internazionale hanno fatto centro. Due ore di concerto energico e avvolgente tra grandi classici, come quello di apertura Hey Boy hey girl, e il debutto di alcune tracce dell’ultimo album Born in Echoes in uscita il prossimo 17 luglio, come la fortissima Go! Ottima la qualità del live e le performance dei due dj che si non si sono risparmiati lasciandosi andare a virtuosismi e contaminazioni sonore come quelle tipicamente brasileire fuse nella performance live del brano Star Guitar.
Questa volta però a rendere speciale l’evento musicale (l’ultima volta dei The Chemicals Brothers in Italia era stata a Roma nel giugno 2011) è stata l’eccellente regia delle luci che hanno creato immagini e cornici a ritmo dei brani e, soprattutto, le immagini proiettate sullo schermo centrale e i due schermi laterali del palco di Rock In Roma – quest’anno davvero imponente – : dalle sagome fluorescenti in movimento, a due simpatici e rassicuranti robot dal cuore più che ritmato, a vere e proprie fotografie artistiche e scene da teatro di posa dal sapore orientale, fino alle immagini e alle icone sapientemente create dagli artisti del passato e dai mastri vetrai dell’epoca medievale a metà tra il sacro e la simbologia del profano.
Al netto di qualche perplessità sull’organizzazione esterna al palco e alle esibizioni degli artisti, in quella che è la cornice e l’ingresso di questa preziosa arena estiva nello scenario della musica internazionale, un concerto unico e coinvolgente che accompagna il pubblico del Duo verso l’atteso ascolto del nuovo album dei Chemicals!
data di pubblicazione 3/7/2015
da T. Pica | Giu 1, 2015
E com’è casa tua?, chiede Khaleed (interpretato dal bravissimo Mehdi Dehbi) a Stefania (Isabella Ragonese). La risposta dell’errante Stefania (e dello spettatore) è inevitabilmente come qui. Una Storia Sbagliata di Gianluca Maria Tavarelli, ambientato durante la seconda guerra del Golfo, è un coraggioso e inedito viaggio nel Sud iracheno che accompagna un altro altrettanto difficile percorso: quello di Stefania, siciliana di Gela innamoratissima del marito Roberto (Francesco Scianna), la quale, avvolta nella sua fredda corazza di rabbia e risentimento, prende il primo aereo della sua vita alla disperata ricerca della verità sulla scomparsa dell’uomo che ama e dell’uomo iracheno ha sconvolto le loro esistenze. In un perfetto alternarsi di flash back tra la storia d’amore di Stefania e Roberto, tanto semplice quanto vera e speciale (ormai il suo passato), e la ricerca della verità in Iraq, la protagonista compie un viaggio dell’anima che probabilmente ogni donna, protagonista suo malgrado di una “storia sbagliata”, avrebbe voluto compiere dopo il rientro in Italia della salma del proprio padre, del proprio marito, del proprio figlio. I tramonti sul mare e sulle torri fumanti del Petrolchimico di Gela e le “solfatare” di petrolio fumanti lungo le strade del Kuwait non sono poi così diverse e lontane. Il fil rouge dell’oro nero segna i paesaggi, le vite, le sofferenze, la speranza di un futuro migliore e le malformazioni dei bambini siciliani e iracheni rendendoli un popolo unico: un popolo solo. Dalla ricerca incosciente della protagonista dove tutto sembra esser governato dalla regola “corrotta” Io ti pago, pago te e pago chi mi da informazioni, il percorso dell’anima si conclude con la forte dolcezza dell’incontro delle “due vedove” e dei loro sguardi silenziosamente eloquenti.
Un’ottima Isabella Ragonese e una matura interpretazione di Francesco Scianna che finalmente mette a nudo il suo talento spogliandosi dei panni del bel tenebroso maledetto in stile anni ‘60/’70. Il film di Gianluca Maria Tavarelli racconta un viaggio dentro noi stessi guidandoci verso la comprensione e l’abbattimento dei pregiudizi. Dal 4 giugno da non perdere!
data di pubblicazione 01/06/2015
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da T. Pica | Apr 23, 2015
(Teatro dell’Orologio – Roma, 21 aprile 2015 / 26 aprile 2015)
Si respira un’aria primaverile decisamente british in quel del Teatro dell’Orologio di Roma! Mauro Parrinello, protagonista nel ruolo di George insieme Elisa Benedetta Marinoni (nel ruolo di Flip), ha saputo ricreare, nella veste di regista di Tre Desideri, la tipica atmosfera dei piccoli teatri londinesi. A distanza di quasi quindici anni dall’esordio dell’opera di Ben Moor, i due protagonisti potrebbero tranquillamente essere una coppia dei nostri giorni: e come gran parte delle coppie dei trentenni di mezzo mondo – “mondo” che ricorre all’inizio e alla fine dello spettacolo con l’immagine della Terra vista dal Planetario – anche loro finiscono con lo smarrirsi tra interrogativi sul futuro, sulla perenne “ricerca di altro”, che impediscono loro di vivere serenamente il presente. A far da contraltare a quello che poi è l’amaro, ma indolore, epilogo c’è l’immortale bellezza della note di “Can’t take my eyes off you” – cantata da Frank Sinatra, Gloria Gaynor, così come da Lauryn Hill e Damien Rice è sempre bella – che si diffonde come per magia ogni volta che c’è un “primo appuntamento” o durante una festa di fidanzamento quasi a dar voce alla latente speranza che in quei momenti c’è nel cuore di ogni uomo e di ogni donna. E quella “voce” fa ripeter al cuore “dai che è lui (o lei) quello (quella) giusto(a) / dai che stavolta me lo sento / si siamo proprio fatti l’uno per l’altra / oddio quando mi piace dai che stavolta davvero guarderò nessun altro (o altra), lo (la) amo….siamo perfetti!” ovvero, riassumendo, la magica atmosfera d’amore del “mantra” “Can’t take my eyes off you, ‘cause you are just too good to be true”. Eppure, dopo aver vissuto con Flip e George la fase del rapporto amoroso assaggia questa cosa è disgustosa (ma quanta verità!) e la fase a cosa stai pensando?, è sufficiente che all’improvviso ciascuno abbia la possibilità di esprimere 3 desideri di realizzazione istantanea per far sì che donne e uomini si perdano dietro futili paure, i soliti egoismi, o le solite banali megalomanie, a scapito del bene comune e, nel caso dei protagonisti George e Flip, a scapito del rapporto di coppia per desiderare “di non averti mai incontrata” e per finire nella fase mucca pazza del loro rapporto. Con la cartina tornasole dei 3 desideri che si dissolvono con la Nuvola si ribadisce come uomo e donna non siano fatti per camminare e invecchiare insieme mostrandosi decisamente repellenti al matrimonio. Sono due particelle di segno opposto che si attraggono intensamente e con pari forza si respingono – alla ricerca di un altro amore perchè ci si illude di meritare sempre qualcosa di grande e migliorare rispetto a quello che si adorava fino a qualche istante prima – fino a dimenticarsi grazie all’immediato incontro (frutto della forza attrattiva che fa avvicinare altri due atomi di segno opposto) con colui/colei che verrà subito dopo. C’è di buono che grazie al self control di Ben Moor tutto sembra apparentemente semplice e senza strascichi dolorosi e se non è detto che anche per i due protagonisti sia davvero così, senza rimpianti e ripensamenti, sicuramente la sua visione aiuta a vivere con la giusta leggerezza i piccoli fallimenti e ad affrontare con onesta franchezza i sentimenti che cambiano e svaniscono. Una rappresentazione davvero valida del testo di Ben Moor e ben articolata anche con le “incursioni” musicali ad hoc dotate – anch’esse – di inconfondibile british humor così come l’espressività, anche fisica, dei due Attori. Un toccasana in questa primavera!
data di pubblicazione 23/04/2015
Il nostro voto:
da T. Pica | Apr 13, 2015
(Teatro dell’Orologio – Roma, 7 aprile 2015 / 19 aprile 2015)
In questa primavera teatrale più Adamo & Eva di Mauro Santopietro per tutti! Un’Opera ben strutturata, una miniatura del Paradiso e del rovinoso allontanamento della coppia per antonomasia da Dio alla scoperta della Terra che incanta per le luci di scena, i colori, la scenografia e le musiche. Mauro Santopietro si conferma Attore e Regista di spessore della scena romana e non solo. Nel primo dei sette quadri che compongono Adamo & Eva siamo avvolti dall’aria rarefatta di soffici nuvole bianche e tra l’atmosfera candida e fumosa ecco le altalene fatte di funi – che poi altro non sono che i timori, i tabù, la proiezione delle complessità interne a ciascun individuo, sempre pronti a frenare l’uomo, rallentarne l’azione, la passione, l’iniziativa anche sottoforma di alibi – e poi mele, tante mele invitanti e succose sparse ai piedi dei dondoli fluttuanti. Siamo nell’Eden e subito è chiaro che fin “dai tempi di Adamo e Eva” la donna era, “ovviamente”, l’elemento passionale, curioso, ribelle, talvolta fastidioso e sciocco, imprudente e tentatore al quale si contrapponeva la razionalità, la prudenza, talvolta codarda, la cultura e l’intelligenza dell’uomo. Questa diversità, questa stereotipata distribuzione dei ruoli viene continuamente ribaltata nel passaggio da un quadro all’altro del viaggio spazio temporale con cui i due protagonisti, allontanandosi dal Paradiso, vivono il loro rapporto attraversando epoche storiche lontanissime ma al contempo incredibilmente vicine sotto il profilo della relazione uomo-donna. Dall’età delle Crociate, passando per l’Amor Cortese e la Rivoluzione Industriale fino ai giorni nostri uomo e donna, Adamo e Eva, sono due universi che si attraggono e respingono con pari forza: incomunicabilità da cui nascono incomprensioni e costanti interrogativi sul significato di “Amore”. Questo è il tema di fondo, il grande interrogativo che non trova risposte cristallizzabili in nozioni enciclopediche. Nonostante Eva offra ad Adamo un’impeccabile declinazione del significato di Amore, il senso continua ad essere inafferrabile. Ciò che invece appare una verità ineluttabile è che l’Amore non è eterno e che il matrimonio finisce con il rendere l’Amore una mela marcia minata dall’abitudine. Eva (una bravissima Alessia Giangiuliani), incantevole ed emozionante nel suo splendido abito di sposa bohémien che si infanga sotto la pioggia (compresa la “pioggia” miserevole che sgorga dalla bocca di Adamo, ma anche da quella di Eva), incarna tutte le donne: sognatrice, curiosa, romantica, generosa, fragile, forte e sempre risolutiva si scontra con un Adamo che non ha sentimenti ma passioni mutevoli in funzione del fluttuare delle sue fugaci sensazioni, dei suoi obiettivi primari e che, come tutti gli uomini, recrimina il suo spazio: bisogna lasciargli aria. Se Eva è assetata di conoscenza, se vuole capire trovare un senso per poter amare e costruire, Adamo, accecato dalla sola conoscenza accademica e scientifica, qualunque sia il contesto storico, ha una sola certezza: praticità, che spesso sfocia in semplicismo, e insofferenza quando dibatte con Eva perché ci sono sempre troppe parole, troppe parole inutili. E così, mentre ogni spettatore ha rivissuto, o sta rivivendo, su quel palcoscenico le proprie fragilità, una parte di se stesso e qualche tassello della propria vita di e in coppia, Adamo e Eva ricorrono al piano B, ovvero al divorzio: Eva “placa” le proprie domande e la sete di conoscenza arrendendosi alla vita terrena e, in attesa della morte, alleggerisce la mente dai suoi incessanti pensieri complessi dedicandosi a cure beauty e a letture “impegnate”; Adamo, invece, lasciato finalmente libero nel suo spazio punta verso l’infinito per morire tra le nuvole senza però apparire del tutto convinto e appagato dalla sua egoistica ricerca megalomane. Due universi apparentemente (ed eternamente?) inconciliabili destinati a rimanere soli? A ciascun Adamo spettatore e a ciascuna Eva spettatrice l’ardua risposta. Da non perdere!
data di pubblicazione 13/04/2015
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da T. Pica | Apr 12, 2015
(Teatro dell’Orologio – Roma, 8 aprile 2015 / 19 aprile 2015)
Sulla scia del boom dei talent show dei fornelli va in scena al Teatro dell’Orologio la pièce Note di cucina che già in tempi non sospetti, lontani dalle luci della ribalta televisiva, aveva colto nella “cucina” – intesa come luogo di confronto/scontro e come vera e propria “arte” – la forza attrattiva, come una sorta di inconscio riconoscimento, che essa esercita sull’essere umano, donna o uomo che sia. La voce narrante, e non solo, del bravissimo Giorgio Carducci, avvolto nella sua impeccabile mise elisabettiana, introduce i quattro protagonisti, ma non prima di aver scrupolosamente ricordato a tutti il decalogo delle regole della buona tavola. E dalla “tavola” da cui tutto ha avuto inizio – che lascia presagire un incontro di commensali rievocativo della tavolata, con i suoi altrettanto bizzarri scambi di battute esistenzialistiche, della pellicola di Patroni Griffi Metti, una sera a cena – inizia il dialogo, o presunto tale, tra due uomini (Giancarlo Fares e Alessandro Porcu) e due donne (Sara Valerio e Mariasilvia Greco), cuochi e commensali al contempo. Uno dei due uomini si presenta affermando Io sono Stupido e subito si innesca un ritmato “doppio” di affermazioni, domande, risposte: tutte si rincorrono riflettendo la complessità dell’animo umano. Si susseguono riflessioni sulla vita, sulla società, sulla desolazione dell’anima, sul successo e l’affermazione del singolo, sul guadagnarsi la vita, sul senso della vita: annegare nella vita per qualcuno dei “cuochi” ha un’accezione positiva e si contrapporrebbe al negativo ed “affannoso” stare a galla; per altri invece annegare nella vita non è sinonimo di vitalità, passione, né vuol dire assaporare tutti i sapori e gli odori delle sfumature che la vita offre bensì altro non è che lo smarrimento di chi rimane fermo, e succube degli eventi senza sapere cosa fare, quale strada prendere. Ognuno percepisce e vive le cose in modo diverso. Il mondo è una trappola e ogni strada è sbagliata. Ad ogni nato è stato abortito il diritto di non nascere: i quattro protagonisti, durante un surreale banchetto di nozze sviscerano un dialogo che spesso diviene un “corale monologo” come individuale flusso di coscienza che li accomuna sovrapponendone i pensieri, i timori, i sogni infranti. Il tema della famiglia, della scuola, della precarietà, dell’amore e del rapporto di coppia e con i figli. I capisaldi della società sono affrontati con tratto forte, spregiudicato e ironico da Rodrigo Garcia con incredibili picchi di humor, paradossi e venature amare. In particolare, davvero spassoso e irresistibile è il “quadro” del papà (un bravissimo Giancarlo Fares) che denuncia la scuola, composta dai parassiti dell’educazione, e decide di far crescere suo figlio in “modo sano”, lontano dall’odore di famiglia – fatto di latte, miele, pane, marmellata – portandolo ogni mattina a fare una colazione a base di vermut, ma con olive, e Campari così trascorrerà le ore in classe ridendo continuamente senza ascoltare e “immagazzinare” l’educazione demenziale. Altrettanto acuto e tagliente è la proposta/organizzazione con epilogo finale di una cena “speciale” – Maxim’s di Parigi o dallo Zozzone?-. Visionarie ricette, come in una gara a chi è più bravo quantomeno nel destare meraviglia nei commensali – come la visionaria e iperbolica progettazione/competizione di un banchetto matrimoniale – “pepano” qua e là il testo dello spettacolo insieme all’incantevole voce dell’“elisabettiano” narratore che regala intermezzi musicali d’autore con la giusta ironia.
Da assaggiare e assaporare fino all’ultima goccia amarognola del no sense addolcita dal liuto di Simone Colavecchi.
data di pubblicazione 12/04/2015
Il nostro voto:
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