da Antonio Iraci | Mar 4, 2015
(Teatro Due – Rassegna A Roma! A Roma! – Roma, 3/8 marzo 2015)
Mosella Fitch si suicida il giorno del suo ottantesimo compleanno.
Lascia al garzone del droghiere precise istruzioni riguardo la sistemazione del suo cadavere e, in modo particolare, circa la custodia dei suoi preziosi taccuini.
Questi suoi appunti, scritti per aiutarla a non dimenticare, contengono dettagliate informazioni circa la sua vita a partire dalla sua prematura nascita, completamente inascoltata sin dal suo tenue primo vagito in un giorno in cui la pioggia aveva spinto la madre, tra il fango e gli escrementi, a tentare di salvare le vacche che davano sussistenza alla famiglia.
Mosella cresce sviluppando sentimenti ed atteggiamenti tipici degli individui affetti da forme di autismo: lei è Dio e dall’alto di un albero, che rappresenta il suo trono di giudice universale, impartisce urbi et orbi punizioni esemplari alla stupida umanità sottostante, con un cinismo che rappresenta il sadismo.
Lo stesso atteggiamento non cambia quando lei stessa sarà costretta a frequentare la scuola; durerà poco, odiata da tutti e soprattutto dalla maestra, per cui decide di abbandonare l’istruzione e di ritirarsi intanto a casa a fare pane, perché lei comunque diventerà uno scienziato e come tale non avrà bisogno di studiare: le dieci dita delle mani saranno sufficienti ad inculcarle lo scibile matematico.
Questo lavoro, il cui testo è stato scritto da Stefano Massini, giovane regista teatrale fiorentino, formatosi come assistente di Luca Ronconi al Piccolo Teatro di Milano, è presentato da Teatro delle Donne diretto da Maria Cristina Ghelli, che da molti anni affronta problematiche prevalentemente al femminile.
Affiancata dal giovanissimo Luigi Fedele, risulta subito veramente singolare l’interpretazione di Barbara Valmorin che dà voce lei stessa ai “taccuini” nelle mani del garzone, su uno sfondo di scena quasi metafisico accompagnato da canzoni che ci portano in un passato non tanto lontano. Attrice prevalentemente teatrale, ma con una formidabile e riconosciuta carriera anche cinematografica, la vediamo valida interprete, come in questo caso, di ruoli drammatici in cui prevale la sua presenza scenica e l’espressività del suo volto.
data di pubblicazione 04/03/2015
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Mar 1, 2015
(Teatro Due – Roma, 27 febbraio/1 marzo 2015)
21 agosto 1964: muore Palmiro Togliatti.
Questa data non verrà mai dimenticata dal narratore, anche lui di nome Palmiro, ma non certo per le ragioni che crede il padre, convinto comunista.
Quel giorno succede dell’altro: Eugenia viene stuprata da un gruppo di giovani coetanei e lui, nonostante ne fosse forse segretamente innamorato, era lì.
Tutta una vita per pensare a quello, ma direi senza pentimento, incapace di dare amore vero e soprattutto di rendere giustizia a quella donna che disperatamente si era rivolta a lui, quasi implorandolo.
Dopo tanti anni, un giorno, Palmiro vede Eugenia dal balcone della sua abitazione, in una di quelle costruzioni popolari che crescono come funghi nelle periferie delle città: la vede sì, ma precipitare nel vuoto e poi il nulla, solo il rumore della caduta al suolo. Eugenia è morta, suicida, e tutto il vicinato accorre attonito ed incuriosito.
Ne I funerali di Togliatti, in scena al Teatro Due in questo giorni, molto convincente risulta l’interpretazione di Massimo Verdastro, accompagnato dal vivo dalla chitarra e dal violino, in alternanza, suonati da Giulio Saverio Rossi, anche se il racconto, a volte frammentario, sembra divagare allontanandosi dal dramma vissuto per introdurci in sentieri laterali di artificiosa retorica, in un buio di scena che appesantisce già di per sé il monologo.
Massimo Verdastro, nato a Roma nel 1957, è attore e regista con alle spalle una vivace attività teatrale, iniziata a Roma e consolidata poi a Palermo nella scuola di Teatro di Michele Perriera, città dove svolge per anni un intenso lavoro drammaturgico e fonda insieme ad altri soci la cooperativa Teatès.
Il suo poliedrico dinamismo lo porta a firmare come regista moltissimi lavori, con un taglio sempre molto particolare, partendo dal teatro classico fino ad arrivare allo sperimentale.
Nel 2002 ottiene il premio UBU come miglior attore non protagonista per L’Ambleto, dramma teatrale scritto nel 1972 da Giovanni Testori, quale scrittura in chiave comica e dialettale dell’Amleto di Shakespeare. Lo spettacolo in programma, proposto dalla Compagnia SemiCattivi/Centro Sperimentale d’Arte Contemporanea, ha vinto nel 2012 il Premio Autori Italiani della rivista Sipario, menzione speciale monologhi.
data di pubblicazione 01/03/2015
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Feb 26, 2015
(Teatro Due – Roma, 24/26 febbraio 2015)
Nel 1994 nasce il Teatro dell’Argine a San Lazzaro di Savena, Bologna, come progetto artistico, culturale e sociale. I suoi esperimenti teatrali hanno avuto molto successo non solo nel territorio di appartenenza ma anche all’estero. Mimmo Sorrentino, è regista e drammaturgo che aderisce a questo progetto: insegnante di “Teatro Partecipato” presso la scuola “Paolo Grassi “ di Milano, nel 2013, per 24 settimane racconta, nella rubrica “Piazza Verdi” promossa da RAI Tre, le sue storie di vita di teatro sperimentato da diverse realtà sociali in giro per l’Italia. Vince nel 2014 il premio della critica promosso da Anct, Sezione Teatri della diversità.
Il suo spettacolo Adesso che hai scelto, che si sta rappresentando in questi giorni al Teatro Due, esce dagli schemi canonici della drammaturgia teatrale. Ma il dramma c’è, lo percepiamo subito.
Sorrentino ci racconta delle storie vere, di realtà vere che vivono il teatro e lo rappresentano per sé e nel proprio contesto. Fuori da quell’ambiente non avrebbe più senso ed è per questo che le diversità messe in scena sono funzionali agli stessi interpreti per riscattarsi, per conoscersi, per affermarsi: una sorte di necessaria catarsi.
Sorrentino dà l’incipit e spiega le regole del gioco: noi del pubblico saremo qui gli artefici, lo spettacolo lo facciamo noi e decidiamo noi cosa vogliamo che ci venga raccontato. Abbiamo a disposizione 5040 diverse opzioni, non poche direi, ma dobbiamo decidere, badando bene che ogni scelta, una volta presa, comporta una responsabilità perché la imponiamo agli altri.
Il meccanismo funziona, ci si appassiona, ci si diverte a sentire le storie raccontate con una spontaneità che ci coinvolge in prima persona, perché si tratta di racconti di vita vissuta veramente da coloro che vengono riconosciuti come diversi: detenuti, tossici, malati terminali, rom…ma anche medici, magistrati venditori ambulanti, anche loro diversi per “motivi diversi”.
Ognuno ha da raccontare la propria storia e noi ce la lasciamo raccontare.
Saremo poi noi pubblico a chiudere la pièce, perché le nostre poesie scritte al momento sono anche le nostre storie e ci piace sentircele raccontare…
data di pubblicazione 26/02/2015
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Feb 20, 2015
Germania, inizio anni ’70. Alì (El Hedi Ben Salem) è un immigrato marocchino che deve lottare ogni giorno contro i pregiudizi per le sue origini. Tale ostilità diventerà più manifesta dopo aver sposato una donna tedesca di mezza età, Emmi (Brigitte Mira).
Alì, umiliato per essere stato esposto come un oggetto di desiderio di fronte alle colleghe di lavoro della moglie, decide di abbandonarla e di iniziare una nuova relazione con la barista di un locale dove lui va solitamente a bere birra con gli amici.
Alla fine però Emmi capirà, i due si riconcilieranno e la loro unione, nonostante la differenza d’età, di cultura e di razza, verrà finalmente accettata da tutti, incluso dai figli della donna.
Nella scena finale Alì è ricoverato in ospedale per un’ulcera allo stomaco, tipica malattia da immigrato (Gastarbeiter). Il piatto che abbiamo deciso di abbinare a questo film, tipico della cucina tedesca, è il polpettone di carne.
INGREDIENTI: 800 grammi di carne macinata – 100 grammi di pecorino grattugiato – prezzemolo – sale e pepe q.b. – 2 uova – 2 patate grandi – 100 grammi prosciutto cotto – 100 grammi di emmenthal – uno spicchio di aglio.
PROCEDIMENTO: Fare bollire le due patate in acqua salata; quindi lasciatele raffreddare e schiacciatele anche in maniera grossolana con una forchetta. Intanto preparate l’impasto con la carne macinata aggiungendo sale, pepe, prezzemolo, il pecorino, le due uova e lo spicchio d’aglio triturato ed infine le patate schiacciate.
Una volta preparato l’impasto, date al polpettone una forma allungata introducendo nel mezzo l’emmenthal a pezzi grossi ed il prosciutto lasciato a fette intere. Sigillare bene e sistemare in una teglia ben oleata; infine mettere a forno per almeno 45 minuti ad una temperatura di 180°.
Una volta pronto va fatto raffreddare bene prima di poterlo tagliare a fette, e va quindi servito con un contorno di crauti o di patate al forno (queste ultime possono essere preparate assieme al polpettone stesso).
da Antonio Iraci | Feb 19, 2015
(Teatro Due Roma – 17/22 febbraio 2015)
La compagnia ATIR (Associazione Teatrale Indipendente per la Ricerca) presenta il terzo spettacolo, nell’ambito della rassegna “A Roma! A Roma!” presso il Teatro Due. Ancora una volta un monologo tutto al femminile, interpretato da Sandra Zoccolan, co-fondatrice del gruppo teatrale che gestisce oggi l’interessante spazio del teatro Ringhiera, nella zona sud di Milano.
Impegnata sia come attrice sia come conduttrice di vari laboratori teatrali, si presenta qui circondata da molti microfoni verso i quali dirige il proprio appello disperato di donna insoddisfatta per un matrimonio piatto e sterile. Ma qui i microfoni non hanno solo una funzione scenica, servono bensì a dare eco alla propria voce interiore, alla voce di quel sé che vorrebbe qualcosa di proibito, di non lecito: una passione verso un’altra donna e l’abbandono di un marito che da anni fedelmente le sta accanto.
Ma come non rimanere aggrovigliati da tutti questi cavi elettrici sulla scena? Essi stessi forse non rappresentano altro che tutte quelle convenzioni sociali che ci attanagliano nella vita e che non ci fanno afferrare la scelta giusta per noi, pur nel rischio di risultare, agli occhi degli altri, ridicoli o quanto meno pazzi.
Letizia Russo, romana classe 1980, autrice anche del testo, riesce a trasmetterci a tratti il travaglio interiore della protagonista, alla quale non rimane altro che lasciarsi condurre da una sorta di filo di Arianna che questa volta non servirà per uscire, ma per entrare nel labirinto della propria coscienza.
data di pubblicazione 19/02/2015
Il nostro voto:
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