da Antonio Iraci | Apr 30, 2015
(Teatro Due – Roma, 28/29 aprile 2015)
Al nastro di partenza la prima edizione del DOIT FESTIVAL al Teatro Due che ci presenterà sino al 24 maggio ben 8 proposte, selezionate da una apposita giuria, su un progetto ideato e curato da Angela Telesca e da Cecilia Bernabei.
L’intento è di promuovere quelle iniziative drammaturgiche contemporanee, non solo con testi originali, ma anche con il riadattamento di classici e con riferimento al teatro di impegno civile e sociale.
In questo contesto si inserisce pertanto Tessuto che vede come protagonista, in un serrato monologo pieno di coinvolgente espressività, Mia vissuta sin dalla nascita con la nonna materna in un piccolo paesino brasiliano.
La ragazza, oramai adulta, sogna ed immagina sua madre Teresinha che lei non ha mai conosciuto e verso la quale, negli anni, ha maturato un sentimento di profondo amore, sia pur accompagnato da un doloroso ed acuto senso dell’abbandono.
Mia intraprende così un viaggio pieno di entusiasmo e di speranza alla ricerca della madre, di cui sa poco o nulla, e che in parte impara a conoscere attraverso un tessuto, ritrovato quasi per caso, in cui la stessa madre, che faceva la sarta, ha ricamato fiumi di parole senza comprenderne pienamente il significato.
La ragazza, attraverso questi scritti, ricucirà pertanto un mondo in cui si è trovata coinvolta la madre e da questo emergeranno soprattutto tutta una serie di ingiustizie sociali e di brutalità subita in silenzio.
Daniela Scarpari recita con disinvoltura e si fa portavoce di una esigenza sociale di denuncia dello sfruttamento e della violenza subita dalle donne che spesso non hanno forza sufficiente per gridare il proprio dolore e rivendicare il proprio diritto alla vita ed alla propria dignità.
Ottimo e suggestivo l’allestimento scenico dove la grafica digitale, sapientemente utilizzata, pone in evidenza un gioco fatto di luci ed ombre, di bianco e di nero, con frequenti pennellate di rosso come a sottolineare che il sangue è quello che ci nutre e ci dà vita, ma che allo stesso tempo può darci sconforto e morte.
data di pubblicazione 30/04/2015
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Apr 25, 2015
Film cult americano che ha come protagonista l’indimenticabile Joan Crawford che per questo lavoro, nei panni di Mildred, ottenne nel 1946 il premio Oscar come migliore attrice.
Mildred vive con il marito Albert (Bruce Bennet) e le sue due figlie Veda (Ann Blyth) e Kay (Jo Ann Marlowe) conducendo una normale e modesta vita da casalinga.
Accortasi che il marito la tradisce con un’altra donna, si separa da lui ed a fatica inizia una nuova vita lavorando intensamente in un ristorante di proprietà di Ida Corwin (Eve Arden) con la quale stringe una profonda amicizia.
Le due donne, oramai socie in affari, decidono di aprire un nuovo ristorante ed in occasione dell’acquisto dei locali Mildred conosce il venditore Monty Beragon (Zachary Scott), ricco possidente di cui si innamora.
Morta la figlia Kay di polmonite, Mildred riversa tutto il proprio affetto su Veda, ragazza viziata ed ingrata che tra l’altro si lascia sedurre, assecondandolo, Monty, il nuovo marito della madre.
Dopo varie ed alterne vicende Veda si sposa, abbandona subito dopo il marito e, allontanata da casa, inizia a lavorare come ballerina in un locale notturno, conducendo una vita dissoluta.
La madre, presa dai rimorsi, le chiede di tornare a stare con lei esponendola quindi nuovamente alle attenzioni da parte del marito.
Per il compleanno di Veda, Monty la invita da sola nella sua casa al mare e quando improvvisamente arriva Mildred trova i due abbracciati, come due amanti.
A questo punto Veda chiede alla madre di divorziare per poter sposare lei stessa Monty, ma al rifiuto da parte di entrambi, frustrata e delusa in un momento di rabbia uccide con una pistola l’uomo.
Mildred in un primo momento si autoaccusa dell’omicidio per salvare la figlia irriconoscente, ma la polizia scopre la verità ed arresta Veda, mentre a Mildred non rimane altro che tornare con il primo marito Albert.
Visto che Mildred era solita preparare torte per i vicini, lei stessa ci suggerisce questa torta di ricotta e pere, semplice ma di grande effetto.
INGREDIENTI: 300 grammi di farina, 150 grammi di burro, 350 grammi di zucchero, 1 bustina di lievito vanigliato per dolci, 1 uovo, 1 tavoletta di cioccolato fondente amaro, 500 grammi di ricotta di pecora, due pere.
PREPARAZIONE: Preparare l’impasto per la base e la copertura della torta, utilizzando solo 150 grammi di zucchero assieme alla farina, il burro e lievito; ripore l’impasto ottenuto per circa mezz’ora in frigorifero avvolto nella pellicola per alimenti. Poi lavorare la crema di ricotta utilizzando i rimanenti 200 grammi di zucchero, mettendo il cioccolato fondente a piccole scaglie, e le due pere tagliate a piccoli cubetti. Quindi foderare la teglia con i due terzi del’impasto, mettere dentro la crema di ricotta, sistemare sopra la pasta rimasta, ben spianata in modo da ottenere una torta perfettamente sigillata.
Fare cuocere in forno a 180° per circa 45 minuti.
da Antonio Iraci | Mar 26, 2015
Film semplice e senza pretese, potremmo dire girato quasi in maniera dilettantesca, che affronta il difficile tema della disoccupazione giovanile, il tutto svolto con una velata malinconia dalla quale però, a tratti, emerge una inaspettata vitalità.
Sergio (Daniele Liotti) si è laureato in agraria con una tesi sulla coltivazione dei carciofi. Vani sono i suoi tentativi di trovare lavoro mentre Enzo (Valerio Mastandrea), con il quale divide casa, non pensa altro che a spassarsela con le donne.
Un giorno viene a sapere che Rita (Francesca Schiavo), la sua ex ragazza e della quale è ancora innamorato, sta per sposarsi. Imprevedibilmente lei stessa propone a Sergio di passare con lui la notte prima delle nozze per festeggiare l’addio al nubilato.
Ma ci aspetta un finale a sorpresa: Rita non si sposerà più ed insieme a Sergio andranno in Africa, a Mimongo, ad avviare una coltivazione di carciofi.
Il film ci suggerisce questa ricetta molto semplice: tortino con carciofi ed alici.
INGREDIENTI: 8 carciofi – 1kg di alici fresche ben pulite dalle lische – 400 grammi di formaggio fresco tipo primo sale – sale e pepe q.b. – pan grattato ed olio d’oliva.
PROCEDIMENTO: Pulire i carciofi e tagliarli in fettine molto sottili. Sistemare le alici già ben pulite e tagliare il formaggio a fettine. Oleare una teglia e cospargerla con il pan grattato, quindi sistemare un primo strato di carciofi, poi uno strato di alici e poi di fettine di formaggio. Aggiungere un poco di sale, pepe ed olio d’oliva, poi rifare l’altro strato sino a chiudere con le fettine di formaggio.
Il tortino va poi coperto con un foglio di alluminio ed infornato per circa un’ora alla temperatura di 180°. Va servito tiepido.
da Antonio Iraci | Mar 23, 2015
(Teatro Due Roma, 20 – 22 marzo 2015)
Nel novembre del 2012 il fiume Albenga esonda travolgendo uomini e cose.
Il fango entra dovunque, nelle case e nell’animo della gente e si porta via tutto.
La coscienza di molti è invasa dai detriti, si attendono i soccorsi per un tempo sospeso lungo come tutta una vita, anch’essa spazzata via. Abbiamo una alluvione.
Solo qualcuno galleggia senza sporcarsi: sono i politici che detengono il potere e che già pensano, mentre il fiume sommerge il paese, a tutto quello che ne verrà in termini di ricostruzione e di soldi da intascare.
L’attrice, in questo serrato monologo tra i pochi oggetti sparpagliati, sopravvissuti al disastro, trova abilmente il pretesto per denunciare che qui in Italia non funziona niente e, mentre la gente è imbottita di programmi spazzatura, i teatri chiudono e si muore di inedia: solo una vera rivoluzione interiore, più che sociale, ci potrà salvare da questa dilagante indifferenza a tutto.
Buona l’interpretazione di Elena Guerrini, alla quale ha fatto seguito un serrato dibattito con il pubblico presente sulla disastrosa situazione dei teatri italiani; l’attrice, che è anche regista dello spettacolo, ha lavorato per molti anni in teatro con la compagnia di Pippo Delbono e nel cinema affiancando registi quali Pupi Avati, Pappi Corsicato, Giuseppe Bertolucci.
Da alcuni anni organizza laboratori teatrali portando avanti un discorso di impegno politico ed ambientale.
data di pubblicazione 23/03/2015
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Mar 12, 2015
(Teatro Due – Roma, 10/14 marzo 2015)
A vussìa cuntamu stu cuntu. Con questo “incipit” i due protagonisti ci raccontano una storia popolare siciliana nella quale non possono mancare gli ingredienti di base: storia, leggenda, tragedia, farsa.
Ma chi può rappresentare al meglio tutto questo se non la marionetta? I pupi nel gergo siculo. Ed ecco qui rappresentata la storia (u cuntu), tratta da un romanzo di Andrea Camilleri e basata su un episodio storico del 1718 quando, a seguito di una rivolta popolare contro la guarnigione sabauda al potere, Zosimo, contadino istruito, diventerà il Re di Girgenti, anche se per poco.
Domata la rivolta verrà infatti condannato a morte, ma dal patibolo il suo spirito potrà finalmente volare libero su un aquilone e da quel punto di osservazione, sempre più alto nel cielo, potrà osservare le miserie del mondo, ma anche l’immensità dell’universo.
Sorprendenti le interpretazioni di Massimo Schuster, pluripremiato attore e regista lodigiano che ha fondato nel 1975 il Théâtre de l’Arc-en-Terre e del catanese Fabio Monti, direttore artistico e fondatore della Compagnia EmmeA’ Teatro, che danno voce alle varie marionette in un serrato e ben espressivo dialetto siculo, diventando loro al tempo stesso marionette con una mimica drammaturgica degna dei migliori cantastorie siciliani di un tempo.
Di conseguenza, non è tanto la vicenda narrata che tiene tutti con il fiato sospeso, quanto l’intensità dei suoni degli strumenti utilizzati, ora prorompenti ora appena percettibili, che fanno da accompagno a quella specifica musicalità del dialetto utilizzato che, grazie al buon Camilleri, è entrato oramai a far parte del lessico familiare italiano.
data di pubblicazione 12/03/2015
Il nostro voto:
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