da Antonio Iraci | Mag 22, 2015
(Teatro India – Roma, 12/21 maggio 2015)
Al Teatro India di Roma è stato presentato in questi giorni il Trittico Furioso: gli autori, Stefano Ricci e Gianni Forte, propongono questo loro progetto articolato in tre performances, che ci lascia alquanto sconcertati per la cruenta messa in scena che, in maniera mai ripetitiva, riesce a gestire l’intensa durata della narrazione senza mai allentare la tensione emotiva nello spettatore.
I tre lavori sono uniti tra di loro da un sottile, quasi impalpabile, fil rouge che comunque ci porta a riflettere sull’attuale condizione umana in cui tutti noi, in maniera più o meno cosciente, ci troviamo coinvolti.
Ciò che ci viene proposto non è solo un’azione mirata e studiata volta alla dissacrazione, fine a se stessa, di luoghi comuni, ma l’abbattimento di tabù ancestrali che ci portiamo dentro, da adulti, in ogni cellula del nostro corpo: una sorta di mondo a sé geneticamente manipolato e alieno alla nostra stessa natura.
Ci arriva quindi da Ricci/Forte un suggerimento per una maggiore presa di coscienza di quello che siamo, ma anche di quello che vorremmo essere. Ad alcuni di noi rimane, per le frustrazioni accumulate, il desiderio di un ritorno verso una protezione totale, oramai persa, che possedevamo solo nel grembo materno quando nuotavamo felici nel liquido amniotico e quando l’universo ci apparteneva veramente, perché eravamo nello stesso tempo parte di esso ma fuori dagli schemi spazio temporali, in una sorta di sospensione totale.
Noi oggi siamo qui, fatti di carne e sangue, nella pura illusione e mistificazione della realtà, circondati da tante cose che affollano i nostri spazi e che dovremmo usare con attenta parsimonia prendendone, nel contempo, debita distanza. Ed ecco che la scena che ci viene proposta utilizza non solo la plasticità dei corpi nudi degli attori, ma principalmente la parola ed i loro gesti per trasmetterci un messaggio di assoluta disperazione.
Ora noi siamo soli e l’amore, in qualsiasi forma manifestato, sfugge alla nostra portata perché sopraffatto da un uso bulimico del sesso mordi e fuggi, che alla fine ci lascia più delusi che mai. La discriminazione sessuale, l’odio irrefrenabile che sfocia in forme di violenza omofobica, è il tema conduttore del primo lavoro Still Life, quasi un omaggio alla memoria di quello studente gay che si è ucciso a Roma impiccandosi con una sciarpa rosa, colore che per antonomasia da sempre, come ci insegnano, è il colore della femminilità, precluso ad un vero uomo.
Mediante utilizzo di un simbolismo esasperato e dissacrante della realtà ci sforziamo di ricercare una nostra propria individualità e la scoperta di un sincero amore. Proprio questo è il tema suggerito dal secondo lavoro Macadamia Nut Brittle. Macadamia è il gusto del gelato della Haagen Dasz che i nostri protagonisti mangiano avidamente mentre raccontano, con un notevole carico di aspettative, di un intenso ed eccitante incontro sodomizzante con un fantomatico chat buddy da 24 centimetri, nell’illusione di aver finalmente trovato il compagno di vita per sempre.
Il duo Ricci/Forte, accanto all’uso sfrenato e narcisistico dei corpi in plurimi amplessi omosessuali, utilizza spesso i mezzi espressivi della pop art: ed anche se non abbiamo le confezione colorate delle zuppe Campbell’s, la sostanza non cambia di fronte a vassoi di muffins da allineare e sistemare metodologicamente, che poi andranno distrutti con furia incontrollata.
Il tema della discriminazione ritorna, sia pur in forme diverse, nel terzo lavoro: Imitationofdeath, scritto senza spaziature, dove la morte diventa l’estremo elemento di diversificazione. Anche qui i corpi nudi sembrano desiderosi di scrollarsi di dosso carne e pelle per anelare a qualcosa di più liberatorio.
I quadri plastici proposti, che dal buio della scena vengono ad animarsi per brevi istanti sotto luci accecanti, ci spingono ad una completa alienazione da qualsiasi forma reale. I nostri pensieri, anche i più banali, vengono tirati fuori con forza dalle nostre menti attraverso un sapiente gioco di chiaroveggenza.
Il duo Ricci/Forte è oggi considerato uno tra i più significativi esempi di una nuova forma di drammaturgia, raro esempio di espressione che utilizza veramente un linguaggio universale, capace di trasmetterci la disperazione dell’uomo di oggi nell’affrontare il quotidiano, attraverso la ricerca costante di venirne fuori.
Ottimo il cast che ha dato prova di assoluta padronanza dell’azione scenica, anche in momenti di estremo sforzo fisico ed espressivo.
data di pubblicazione 22/05/2015
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Mag 15, 2015
(The Space – Cinema Moderno, Roma, 8/15 maggio 2015)
Ultima giornata al RIFF, la settima, non meno impegnativa delle precedenti che ci ha proposto, a chiusura, dei film molto interessanti.
Fair Play… Andrea Sedlackova è una regista cinematografica e televisiva, oltre ad essere anche sceneggiatrice e redattrice. Dopo la sua formazione al Prague’s Film Academy ha girato per la tv ceca diversi documentari ed ha vinto numerosi premi. Questo film, candidato al Crystal Globe è ambientato negli anni ottanta in Cecoslovacchia e tratta di Anna, velocista molto impegnata perché intende a tutti i costi partecipare e vincere una medaglia alle Olimpiadi.
Anna, sperando di avere così una opportunità di andare oltre la cortina di ferro ed assaporare quindi una boccata di libertà, si lascia convincere ad assumere sostanze proibite. La regista ha firmato anche l’ottima sceneggiatura.
Return to Homs. Il giovane Basset, allo scoppiare della rivoluzione in Siria per la liberazione dal regime di Assad, diventa uno dei leader delle proteste, ma in maniera del tutto pacifista, mediante le sue canzoni. Anche Osama è un pacifico attivista che documenta le varie fasi della rivoluzione con la sua macchina fotografica. Ma quando il regime bombarda furiosamente la città di Homs, i due prendono le armi e da pacifisti si trasformano in pericolosi fuorilegge.
Talal Derki ha studiato cinema e regia in Grecia. Attualmente si occupa di documentare la rivoluzione stessa siriana e grazie, al prezioso aiuto di Orwa Nyraba per la fotografia, ha firmato questo lavoro di indubbio interesse e di attualità. Sua anche la sceneggiatura.
Non so perché ti odio. Carrellata alla ricerca dei motivi più o meno inconsci che spingono gli individui a manifestare tanta avversità, o quasi disgusto, verso gli omosessuali.
Il regista, Filippo Soldi, ha lavorato con Ronconi ed ha scritto per la RAI diversi lavori che hanno ottenuto grande risonanza. Selezionato per il David di Donatello per il suo cortometraggio “Solo cinque minuti” con Valeria Golino, ha vinto il Festival NICE USA 2007. Ottimo lavoro.
Poi da segnalare questi ultimi due brevissimi corto:
Office Kingdom. Un flash sulla burocrazia in generale che travolge la quotidianità della nostra esistenza.
Il brevissimo corto è firmato da: Salvatore Centoducati, Eleonora Bertolucci, Giulio De Toma, Ruben Pirito. Tutti diplomati al Centro Sperimentale e con diverse esperienze cinematografiche.
Due piedi sinistri. Singolare breve corto di appena cinque minuti su una storia quanto mai singolare tra due dodicenni: Mirko e Luana.
Regia di Isabella Salvetti laureata alla Sapienza di Roma, ha frequentato a Los Angeles il Master in Producing all’AFI. Oggi lavora come assistente alla regia e come ispettore di produzione.
A conclusione di questa maratona di film, possiamo affermare di aver visto tanti ma tanti film interessanti che ci hanno colpito per la bravura dei registi che li hanno realizzati.
Un grazie anche all’organizzazione del Festival che anche quest’anno ci ha consentito di assaporare piccoli capolavori che altrimenti non avremmo mai incontrato nei circuiti cinematografici usuali.
data di pubblicazione 15/05/2015
da Antonio Iraci | Mag 14, 2015
(The Space – Cinema Moderno, Roma, 8/15 maggio 2015)
Presentati al RIFF, nella sua sesta giornata di programmazione, ben tre film della rassegna Teddy Awards, iniziativa molto valida che ha portato a Roma dei film a carattere sociale volta principalmente a promuovere la tolleranza e la solidarietà da parte delle istituzioni verso la libertà di espressione del proprio orientamento sessuale, senza la minaccia di subire violenze o persino, come ancora in alcuni paesi del mondo, di essere puniti con la pena di morte.
A Berlino, nell’ambito del Festival Internazionale (Berlinale), sono stati istituiti premi per differenti categorie: miglior film, miglior documentario, miglior corto e persino un “Premio Speciale alla Carriera” assegnato ai professionisti del settore.
Quindi sicuramente lodevole l’iniziativa di portare al Riff alcuni di questi film a tematica gay e che erano stati presentati all’ultima edizione della Berlinale dello scorso febbraio.
The way he looks. Storia di Leonardo, ragazzo appena adolescente, affetto da cecità che inizia a percepire la sua disabilità rispetto ai compagni della sua stessa età.
Inaspettatamente arriva nella scuola Gabriel con il quale Leonardo inizia una profonda amicizia, sperimentando nel contempo quei primi innocenti sentimenti d’amore che lui stesso non aveva mai provato verso qualcuno.
Film del giovane regista brasiliano Daniel Ribeiro, che ha studiato all’Università di San Paolo – Film School e che già con il suo primo corto “Café com Leite” ha vinto ben 27 premi tra i quali il Crystal Bear alla Berlinale. IL film presentato a Roma ha vinto ben 82 premi ed è stato presentato in un centinaio di festival internazionali.
Di rilievo la sceneggiatura, scritta dallo stesso regista, e la sorprendente interpretazione del protagonista Guilherme Lobo, nel ruolo di Leonardo.
Mondial 2010. Interessante documentario che una giovane coppia gay ha girato con la propria videocamera a Ramallah, mettendo a nudo il proprio rapporto d’amore in una realtà agonizzante e rischiando anche la propria pelle visto che è tassativamente proibito ad ogni cittadino libanese di intraprendere un viaggio in Israele o nei territori palestinesi.
Con questo cortometraggio il regista Roy Dib ha partecipato a diversi festival ed ha vinto il Teddy Award come best short film alla Berlinale, oltre ad altri numerosi premi in altrettanto importanti festival internazionali.
Stories of our lives. Progetto unico composto da cinque cortometraggi che illustrano chiaramente la situazione dell’omosessualità in Kenya.
Il film è stato girato da membri del Nest Art Company, con sede a Nairobi, che hanno raccolto direttamente le esperienze di vita ed i racconti di omosessuali, in un paese estremamente omofobico.
Il regista è Jim Chuchu, co-fondatore e direttore artistico del Nest che è anche uno spazio artistico multidisciplinare, il quale ha vinto numerosi premi internazionali.
Serata quindi molto interessante al Riff dove, accanto ai film segnalati, si sono alternati diversi cortometraggi molto apprezzati dal pubblico in sala.
data di pubblicazione 14/05/2015
da Antonio Iraci | Mag 13, 2015
(The Space – Cinema Moderno, Roma, 8/15 maggio 2015)
Il RIFF, nella sua quinta giornata di programmazione, è andato avanti con diversi cortometraggi e lungometraggi, principalmente di giovani cineasti stranieri.
Siamo stati particolarmente impressionati da:
Dissonance, corto che esplora il mondo surreale di un pianista che suona per un pubblico che non c’è, visto che il motivo è da ricercare nel fatto che lui desidererebbe esibirsi solo per sua figlia, che però non ha il permesso di incontrare.
L’autore è Till Nowak che ha studiato presso l’University of Applied Sciences di Mainz, Germania, ed oggi cura diversi progetti nel settore del cinema e del design.
Ottima la sceneggiatura curata dallo stesso regista.
Extreme Pinocchio del regista canadese Pascal Chind che nel suo lavoro esprime un certo gusto per la dark comedy e il fantasy.
Con questo corto l’autore ha già vinto ben 8 premi in importanti festival internazionali proprio per l’originalità della trama.
Patrick è un nano che presto diventerà padre ed è un drogato. Perseguitato dai suoi spacciatori (il gatto e la volpe) che rivendicano una ingente somma di denaro, accetta l’incarico di rubare i soldi ad uno psicopatico (Geppetto). Per portare a termine il suo piano, Patrick si traveste da Pinocchio, ma lo stratagemma non funzionerà…
Invisible Spaces è il primo film di Dea Kulumbegashvili, nata in Georgia, in una minuscola cittadina del Caucaso. In questo cortometraggio, portato a termine durante il primo semestre alla Columbia University che sta attualmente frequentando, la cineasta pone in discussione le intime correlazioni familiari affidando alla donna il ruolo primario. Ottimo il soggetto dal quale emerge tutta una serie di esperienze personali multi-culturali di cui la regista ha fatto tesoro.
El Hombre Nuevo è un film del regista uruguaiano Aldo Garay che ha già diretto ben quattro documentari e una fiction. Questo docufilm presentato alla Berlinale ha già vinto numerosi premi in importanti festival internazionali.
Il lavoro porta sullo schermo la storia di Stephania che da giovane era stato adottato da una coppia di attivisti di sinistra , mentre adesso vive a Montevideo e fa la custode di macchine in un parcheggio. Solo che non è più il ragazzo di un tempo che svolgeva la professione di insegnante, ora è a tutti gli effetti una donna che vuole essere accettata per quello che è. Ottima l’interpretazione autentica di Stephania Mirza Curbelo. Il film rientra nella sezione speciale Teddy Awards @ Riff ed ha suscitato notevole interesse tra il pubblico presente.
Infine da segnalare nella giornata il docufilm: Gente dei Bagni dove ci viene presentata una realtà tutta particolare che è quella che si vive negli ultimi bagni municipali ancora esistenti. In questo microcosmo, fuori dall’ordinario, si incontrano vite di tutti i giorni con uno scopo comune: la pulizia del proprio corpo.
Ottima la fotografia ed il montaggio curati rispettivamente dalle due registe italiane Stefania Bona e Francesca Scalisi, entrambe diplomate all’Accademia di Belle Arti e specializzate la prima in Fotocamera e Luci e la seconda in Montaggio e Postproduzione.
Come si può notare, un programma molto serrato e del quale abbiamo citato solo alcuni lavori in quanto veramente si fa fatica a stare dietro a tutto per i numerosi ed interessanti Film proposti. Davvero troppi però!
data di pubblicazione 13/05/2015
da Antonio Iraci | Mag 13, 2015
(The Space – Cinema Moderno – Roma 8/14 maggio 2015)
Quarta giornata al RIFF, quasi tutta dedicata nella prima parte del programma pomeridiano ai cortometraggi di registi stranieri indipendenti.
Vi segnaliamo:
Homeless (Bruder) del regista polacco Jarek Duda che dopo essersi occupato di musica, creando persino una etichetta discografica, si è ora interamente dedicato al cinema, lavorando come regista di video musicali e spot pubblicitari per importanti aziende internazionali.
Il film tratta di Lukasz che si guadagna da vivere lavorando per Milan, boss malavitoso che opera ad Amburgo. La morte della madre, per anni completamente ignorata, lo farà incontrare con il fratello più piccolo Kamil. Ottima l’ambientazione nonché la recitazione degli interpreti principali: Adrian Saidi, Linus Düwer e Deniz Türkmenez.
Twelfth Night cortometraggio girato in Bavaria, al confine con la Repubblica Ceca, che ha come protagonista un misero contadino che vede improvvisamente vanificato il sogno di una intera vita a causa del piccolo figlio. Il tutto finirà in una immane tragedia. La regista Kathrin Anna Stahl ha lavorato come assistente regista in diversi cortometraggi e lungometraggi, impegnandosi ora anche come attrice. In questo suo secondo lavoro fa esplicito riferimento alla sua terra natale ed ai problemi della realtà contadina di un tempo immersa nella miseria più nera.
Ants Apartment, brevissimo corto del regista iraniano Tofigh Amani, giovane di grande esperienza, che con il suo short film This place the roads have not end ha vinto ben 35 premi in importanti festival internazionali. Il lavoro tratta di una famiglia irachena che viene portata alla luce dopo 27 anni dalla morte. Soggetto molto interessante che ci fa riflettere sulle stragi di massa ordinate da Saddam.
Catching fireflies del regista Lee Whittaker, dopo aver lavorato per molti anni come actor director, vedendo migliaia di bambini senzatetto a Mumbai ha deciso di girare questo corto che segna il suo debutto come regista cinematografico. Isabella, bambina sudamericana di 9 anni vive con la madre tossicodipendente in un nascondiglio di cartone che è la loro casa al centro di Los Angeles. Storia a volte commovente e sicuramente d’effetto per la crudezza delle immagini.
Per la rassegna Teddy Awards @ Riff ricordiamo il film The Circle del regista Stefan Haupt.
data di pubblicazione: 13/05/2015
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