C’ERA UNA VOLTA IN ANATOLIA di Nuri Bilge Ceylan, 2011

C’ERA UNA VOLTA IN ANATOLIA di Nuri Bilge Ceylan, 2011

Un gruppo di uomini di notte si aggira per una campagna della Turchia: un commissario di polizia, un procuratore, un medico, un presunto assassino.

Sono alla ricerca del cadavere della vittima e con il passare del tempo, sino al ritrovamento del corpo, emergono dei retroscena inquietanti che aprono nuovi sospetti e perplessità sulla verità di ciò che è realmente accaduto.

Il noto regista turco Ceylan, premiato per questo film nel 2011 a Cannes con il Grand Prix speciale della giuria, accompagna l’intera narrazione in un susseguirsi di azione e contrazione, come solo un sapiente artista cinematografico come lui riesce a fare.

Muovendosi in un contesto socio-politico certo non facile, l’autore lancia un messaggio ben preciso dove all’apparente persistere della tenebra notturna improvvisamente si affaccia il vigore delle luci dell’alba, perché dopo una notte di pianto al mattino viene la gioia, quella gioia che lo stesso Ceylan sembra affermare e che non ci deve abbandonare mai.

A questo film, dal tocco decisamente levantino, abbiniamo la ricetta del tabulè, piatto che per il denso profumo che emana ci rimanda ad una bella e conturbante notte orientale.

INGREDIENTI: 1 kg. di couscous precotto – 1 peperone giallo e 1 peperone rosso – 1 cetriolo – 1 vasetto di capperi – 1 kg. di limoni – 1 mazzetto di menta – 1 mazzetto di basilico – 1 melanzana – 2 zucchine – 1 cipolla rossa – 1 spicchio di aglio – sale e pepe q.b.

PROCEDIMENTO: Spremere i limoni e conservarne il succo. Friggere le melanzane e gli zucchini a cubetti molto piccoli. Tagliare i peperoni ed il cetriolo a pezzettini. Tagliare anche il basilico e la menta nonché la cipolla e lo spicchio d’aglio, sempre in pezzetti molto piccoli.

Assemblare i componenti, incluso i capperi ben lavati, con il couscous che deve essere messo in un gran recipiente a crudo e man mano che si aggiungono gli ingredienti va anche aggiunto il succo di limone.

Ottenuto il tabulè, lo stesso deve essere fatto riposare almeno dodici ore in frigo, meglio se un giorno, in modo da far sì che i singoli sapori possano amalgamarsi bene. Servire pertanto freddo.

VACCHE AMICHE (UN’AUTOBIOGRAFIA NON AUTORIZZATA) di Aldo Busi – Marsilio Editore, 2015

VACCHE AMICHE (UN’AUTOBIOGRAFIA NON AUTORIZZATA) di Aldo Busi – Marsilio Editore, 2015

Sono passati oramai molti anni dall’apparizione sulla scena letteraria italiana del libro Seminario sulla Gioventù (Adelphi, 1984), romanzo d’esordio dello scrittore Aldo Busi.

Le vicende del protagonista Barbino furono subito associate ad episodi della vita stessa dell’autore e sorprendentemente positivo fu il giudizio dei lettori nei confronti del libro che presto venne etichettato come la sua autobiografia romanzata.

In Aldo Busi si intravide la figura di uno scrittore sui generis, capace non solo di scandalizzare la casalinga frustrata con i bigodini in testa e le ciabatte ai piedi, ma anche di sorprendere tutta quella generazione di post-sessantottini, ancora in erba, che lo innalzarono a profeta di un messaggio proprio, affascinante ma anche a suo modo rivoluzionario e provocatorio.

Dopo molti anni l’autore rinnegò pubblicamente che la sua opera prima facesse diretto riferimento agli anni della sua giovinezza a Montichiari (Brescia), accanto ad una madre petulante e a dei parenti dispotici, ma comunque tale dichiarazione non sconvolse più di tanto: oramai il suo talento letterario era stato decretato dagli innumerevoli romanzi che ne seguirono e la sua fama aveva già valicato abbondantemente i confini nazionali.

Nel frattempo erano seguite le sue prime apparizioni graffianti a cominciare dalla trasmissione Amici di Maria de Filippi, a seguire il reality show L’isola dei famosi, la trasmissione Otto e mezzo, con Barbara D’Urso in Stasera che sera ed altre ancora dove si andava sempre più rafforzando la configurazione di un personaggio trasgressivo e di rottura, in tutti i sensi.

In Vacche amiche, il suo ultimo sforzo letterario composto di un unico capitolo non stop, si segue con difficoltà: un susseguirsi di insulti e di critiche verso tutto e verso tutti dal quale emerge indenne solo lui, in una sorte di voluta mistificazione del sé e di autocompiacimento letterario, e dove non si riscontra più quella misurata provocazione accompagnata da una salata dose di ironia.

Insomma, una valanga denigratoria verso tutto ciò che esiste fuori dal proprio ego narcisistico, senza possibilità di redenzione e con una scrittura pesante da sopportare, dopo aver varcato i limiti della normale decenza.

Se Seminario sulla Gioventù ebbe una gestazione ventennale, ci si augura che anche il prossimo lavoro abbia una analoga attesa, perché la vera letteratura non si fa, come l’autore stesso afferma, “con parole scritte una dopo l’altra, in un certo modo dalla prima all’ultima…”

Forse il tutto dovrebbe essere accompagnato da un sano buon senso.

CHAN-HYO BAE – Sartor Resartus – Mostra fotografica a cura di Antonio Calbi

CHAN-HYO BAE – Sartor Resartus – Mostra fotografica a cura di Antonio Calbi

(Auditorium della Conciliazione – Roma, 30 settembre/20 novembre 2015)

Visionarea è un progetto ideato dall’artista Matteo Basilé e dall’Associazione Amici dell’Auditorium della Conciliazione, strutturato come un vero e proprio Art Space per sostenere e promuovere qualsiasi espressione d’arte contemporanea, anche in collaborazione con altre istituzioni culturali nazionali ed internazionali.

E’ proprio nell’ambito di questo ambizioso programma che si inserisce la mostra fotografica dell’artista Chan-Hyo Bae, sud coreano, presentata nel suggestivo spazio dell’Auditorium di via della Conciliazione, una sorta di vero e proprio Temporary Art Museum, come amano definirlo gli organizzatori dell’evento, decisamente adatto ad accogliere la manifestazione.

Osservando attentamente i lavori in mostra, proposti con un allestimento sobrio e ben pensato, lo spettatore si trova di fronte a delle composizioni ben strutturate, ad una sorta di tableaux vivants, dove non appare più solo l’elemento fotografico in sé ma il tutto viene presentato con una specie di mix tra pittura e messa in scena teatrale, in una ambientazione tipicamente inglese sospesa tra l’aristocratico ed il regale.

Subito ci si chiede: come mai un uomo sud coreano si presenti indossando degli abiti d’epoca femminili, tra pizzi, broccati e merletti, assumendo con assoluta naturalezza e garbo le figure proprie delle grandi nobildonne inglesi? Come mai l’artista si  identifica, visibilmente compiaciuto, in quelle sembianze femminili illustri, capisaldi della storia dell’Impero britannico? C’è da intravedere una volontà denigratoria e dissacrante, oppure un semplice desiderio di indossare un’altra identità più consona al proprio essere, con l’intento specifico di scardinare tutte quelle convenzioni sociali stereotipate e discriminanti?

Ed è proprio da Chan-Hyo Bae che ci arriva la risposta ai nostri interrogativi: l’artista, che oramai vive a Londra da anni con la propria famiglia, afferma che questo suo modo espressivo di mascheramento è indotto da una sua reazione a tutte le forme di discriminazione ed isolamento alle quali è ancora oggi quotidianamente sottoposto, sia come orientale sia come uomo in sé.

Poco importa: lo spettatore, dal suo punto di vista, non può che rimanere affascinato dall’aspetto visionario che caratterizza i singoli lavori fotografici in mostra, sia che si tratti di soggetti fiabeschi sia che riguardi i grandi nomi della storia dell’Impero britannico, l’unico ancora in grado di sopravvivere all’evolversi dei tempi moderni. L’opera d’arte, qualsiasi sia la sua forma espressiva, è comunque l’esternazione di un’idea che nasce, quasi inconsapevolmente, senza necessità di alcuna spiegazione. Il soggetto “altro” è quello che fa sua questa idea che sovente risulta diversa, se non diametralmente opposta, da quello che è l’intento di colui che la crea.

Il pubblico presente all’inaugurazione della mostra, ben curata nei minimi dettagli da Antonio Calbi, Direttore del Teatro di Roma oltre che critico e studioso delle arti sceniche, ha reagito positivamente apprezzando il singolare lavoro dell’artista.

data di pubblicazione 01/10/2015

IO E LEI di Maria Sole Tognazzi, 2015

IO E LEI di Maria Sole Tognazzi, 2015

Marina (Sabrina Ferilli) e Federica (Margherita Buy) sono due donne, non più giovanissime, che vivono da cinque anni una tranquilla vita di coppia.

Entrambe sono impegnate professionalmente con successo e vivono circondate da un ambiente molto agiato sia in ambito lavorativo, sia nel privato della loro casa dove regna indisturbato il gatto Bengala.

Marina, ex attrice di una certa notorietà, ha già da tempo esternato con assoluta spontaneità le proprie inclinazioni sessuali, mentre Federica, con alle spalle un matrimonio ben riuscito accanto ad un marito affettuoso ed un figlio di ampie vedute, si muove ancora con esitazione evitando, ove possibile, di svelare nell’ambiente socio-lavorativo la propria relazione sentimentale con Marina.

La loro vita si svolge con i ritmi soliti di una “ordinaria normalità”, non esente, appunto per questo dai “normali” problemi di una qualsiasi coppia che, alla “normale” routine di convivenza, alterna “normali” discussioni e “normali” gelosie.

E’ dunque questa la forza del film, dove il fulcro della storia è un rapporto di coppia al femminile che ci viene presentato con assoluta leggerezza e con un non casuale tocco di ironia, in cui apprezzabile risulta essere la scelta registica di entrare nell’intimità della camera da letto delle due donne senza soffermarsi ad osservare con sguardo morboso, ma tratteggiando invece semplici gesti spontanei di tenerezza di coppia.

Maria Sole Tognazzi, regista oramai affermata ed apprezzata dal pubblico con alle spalle una carriera cinematografica che ha già ottenuto numerosi riconoscimenti, ci presenta un film politically correct, con un messaggio politico assolutamente evidente che si inserisce quasi in punta di piedi in un paese dove da anni si discute sul riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto ed omosessuali: una commedia sentimentale, come amano definirla gli stessi sceneggiatori, che denuncia tutta una serie di anacronistici ed ingiustificati pregiudizi da parte di una classe politica che ci governa ma che non più ci rappresenta.

Una storia dei giorni nostri che si segue con attenzione, dove non manca quella nota di divertimento che strappa anche una risata, sullo sfondo di una Roma elegantemente fotografata ma non artefatta, che mantiene il carattere di realismo e non da cartolina patinata.

data di pubblicazione 30/09/2015


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FESTA DEL CINEMA DI ROMA – Decima edizione – 16/24 Ottobre

FESTA DEL CINEMA DI ROMA – Decima edizione – 16/24 Ottobre

(Conferenza stampa – Roma, Auditorium Parco della Musica)

Con l’intervento di oggi del nuovo staff organizzativo composto da Piera Detassis e Lucio Argano, rispettivamente in qualità di Presidente e Direttore Generale della Fondazione Cinema per Roma, e dal nuovo Direttore Artistico della Festa del Cinema di Roma Antonio Monda, è stato presentato il programma completo della decima edizione, che prenderà il via il giorno 16 ottobre.

Dopo una breve introduzione da parte del Presidente Detassis, Antonio Monda ha illustrato, in maniera chiara e sintetica di fronte ad una sala gremita di giornalisti e di rappresentanti delle varie Istituzioni pubbliche, i punti salienti del programma.

Sono 37 i film selezionati, con una partecipazione di 24 paesi. L’Italia è rappresentata da tre film: Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, Dobbiamo parlare di Sergio Rubini e Alaska di Claudio Cupellini.

2 gli eventi speciali, entrambi dedicati al regista premio Oscar Paolo Sorrentino: un episodio del film collettivo Rio, Eu te amo intitolato La fortuna, e la versione estesa, con quaranta minuti di inediti, de La Grande Bellezza.

2 i film insieme ad Alice nella città: Une enfance di Philippe Claudel e Le petit prince di Mike Osborne.

9 i film/documentari/progetti nell’ambito delle linee di programma Work in Progress, Hidden City e Riflessi.

3 le retrospettive, curate da Mario Sesti, coordinatore artistico del comitato di selezione: Viaggio nel mondo Pixar insieme ad una masterclass con Kelsey Mann; un omaggio al regista Antonio Pietrangeli con la sua opera completa ed infine al regista, sceneggiatore e produttore cinematografico Pablo Larraìn.

10 gli incontri: Jude Law, Wes Anderson – Donna Tartt, William Friedkin – Dario Argento, Paolo Sorrentino, Joel Coen – Frances McDormand, Todd Haynes, Carlo Verdone – Paola Cortellesi, Renzo Piano, Riccardo Muti, Paolo Villaggio.

10 gli omaggi: Ettore Scola, Paolo e Vittorio Taviani, P.P. Pasolini, Francesco Rosi, Ingrid Bergman, Luis Buñuel, Stanley Kubrick, Hitchcock/Truffaut, Frank Sinatra, Franco Rossi.

Infine il Direttore Artistico ha tenuto a sottolineare come con il ritorno alla denominazione di “Festa del Cinema”, l’abolizione di premi (tranne quello assegnato dal pubblico con il proprio voto di gradimento), l’avvio di un programma interattivo che interesserà diversi punti della città nell’arco temporale di un anno, cade la critica sollevata da più parti che definisce la rassegna romana priva di una propria identità specifica nel contesto internazionale dei festival cinematografici.

Come dalla citazione dal film 8 e ½ di Fellini: E’ una festa la vita, viviamola insieme…

Onore al merito del neo Direttore Monda, si è percepito tra il pubblico in sala un certo entusiasmo misto a curiosità per questa decima edizione della rassegna capitolina che, sia pur in misura ridotta rispetto agli anni passati, sicuramente ci appassionerà per la qualità dei lavori selezionati.

data di pubblicazione 29/09/2015