da Antonio Iraci | Ott 21, 2015
Finalmente in distribuzione nelle sale cinematografiche italiane l’ultimo film di Jacques Audiard, uno tra i migliori sceneggiatori e registi francesi contemporanei, vincitore, con l’attesissimo Dheepan, della Palma d’oro all’ultima edizione del Festival di Cannes.
Audiard non ha bisogno di grandi presentazioni essendo già ben conosciuto al pubblico internazionale per i suoi film, a partire da quello di esordio Regarde les hommes tomber con Mathieu Kassovits e Jean-Louis Trintignant, vincitore di un César come miglior film nel 1994, sino agli ultimi due quali Il profeta, che ha ottenuto nel 2009 il Gran Premio della Giuria a Cannes nonché candidato all’Oscar come miglior film straniero, e Un sapore di ruggine e ossa del 2012, con diverse nomination tra cui una come miglior film straniero e una per l’ottima interpretazione della protagonista Marion Cotillard.
Dheepan è un guerrigliero delle tigri Tamil che ha perso tutto, ideali e famiglia, nella guerra civile del suo paese, lo Sri Lanka, e che decide di fuggire con una moglie, che moglie non è, e con una figlia, che figlia non è, per crearsi una nuova vita in Francia, paese che li accoglie come rifugiati e offre loro assistenza, istruzione ed un lavoro.
Pur cercando con ogni possibile sforzo di integrarsi nella nuova realtà, i protagonisti si trovano, loro malgrado, a dover fronteggiare una nuova guerra, questa volta combattuta da bande di criminali rivali in una anonima periferia francese, ma non per questo meno violenta e meno spietata rispetto a quella dalla quale erano fuggiti.
Il film si base su una ottima sceneggiatura di Noé Debré e Thomas Bidegain, oltre che dello stesso regista, la quale sembra appositamente scritta e calibrata per presentarci non solo la realtà della guerra, comunque la si concepisca, ma per sottolineare le difficoltà proprie di quei rifugiati che oltre al problema della comunicazione verbale, si trovano a fronteggiare le incognite proprie di riadattamento delle loro originarie abitudini di vita a quelle sconosciute della nuova realtà che li accoglie.
Sapiente la fotografia di Audiard che riesce a cogliere lo sguardo intenso del protagonista Jesuthasan Antonythasan, attore e scrittore naturalizzato francese ma che da giovane faceva anche lui il combattente per le tigri Tamil nel suo paese, sguardo che riesce ad andare oltre lo schermo per osservarci, noi spettatori, con un atteggiamento carico di sfida, ma anche di accettazione, senza mai sfiorare l’abnegazione, nel rispetto della propria dignità di uomo.
Il film non pretende di proporci una morale, ma ci fa comprendere come, al di là delle apparenze, dietro lo sguardo di ognuno di noi c’è dentro spesso una sofferenza ed una storia non sempre facile da condividere, ma è proprio questo che il cinema sembra talvolta aver la pretesa di raccontare, non fosse altro che per suscitare una emozione, un sogno.
data di pubblicazione 21/10/2015
Scopri con un click il nostro voto:
da Antonio Iraci | Ott 20, 2015
Amelio e Pagliarani presentano alla festa del Cinema nella Sezione Ufficiale un interessante documentario che riesce a cogliere, con sguardo attento, le problematiche dei disagi sociali e di integrazione. Attingendo ad un variegato e significativo materiale d’archivio, ci viene narrata una buona fetta della storia dell’istruzione italiana partendo dai primi anni del ‘900 e rievocando poi con enfasi il periodo del “ventennio” dove la scuola e l’istruzione in genere venivano considerati una vera fucina di alti valori patriottici.
Con interviste reali a scolari e maestri, veniamo a conoscere una Italia molto grezza e poco integrata, appena uscita dal disastro della guerra, dove l’istruzione era ancora quasi un privilegio di pochi e dove l’analfabetismo era dilagante tra le classi sociali più basse.
Documentario di una semplicità disarmante, ma dal quale non si può che percepire la sensibilità di Amelio, regista al quale dobbiamo tanto per averci regalato quel capolavoro indimenticabile che è stato Il ladro di bambini.
Restiamo in attesa della seconda parte…
data di pubblicazione 20/10/2015
da Antonio Iraci | Ott 20, 2015
Kinga Debska è una regista e sceneggiatrice polacca che ha studiato prima a Varsavia e poi a Praga realizzando, nella sua carriera cinematografica, diversi documentari e film fiction per la televisione per i quali ha ottenuto diversi riconoscimenti nel suo Paese.
In questo film Kinga Debska ci presenta due sorelle con caratteri e prerogative di vita completamente diversi che si trovano per gravi circostanze di malattia, che colpiscono prima la madre e poi paradossalmente anche il padre, a doversi fronteggiare per arginare una situazione delicata che sembra a tratti sfuggire loro di mano.
La prima, Marta, è una attrice di fiction televisive, che riscuote un discreto successo sul piccolo schermo ma non nella vita; Kesia, al contrario, insegnante elementare con un figlio ubbidiente ed un marito fannullone, apparentemente confusa e fragile sa comunque trovare una discreta armonia nel proprio ambito familiare. La condizione della madre con cui dovranno misurarsi, fornirà loro il pretesto, atteso forse da anni, per confrontarsi e finalmente per tirar fuori, ognuna per la propria parte, tutti i rancori e malumori accumulati negli anni.
Questo dello scontro-incontro tra le due sorelle sembra essere il fulcro centrale della storia mentre le malattie dei genitori sembrano rappresentare un tema secondario, da trattare senza pietismo se non addirittura con un pizzico di ironia e leggerezza, che purtroppo sullo schermo si trasforma in superficialità a causa della non convincente interpretazione delle due attrici protagoniste (Agata Kulesza e Gabriela Muskala) che spesso sembrano affrontare, insieme al padre Tadeusz (Marian Dziedziel), situazioni difficili in maniera quasi grottesca, minacciando quindi la credibilità della narrazione stessa.
data di pubblicazione 20/10/2015
da Antonio Iraci | Ott 19, 2015
Ygor e la sua sorellina Rayane provengono da Campo Grande, una misera e polverosa periferia di Rio de Janeiro, ed una mattina, senza un apparente perché, si ritrovano davanti alla casa di Regina, nel lussuoso quartiere di Ipanema.
Da qui inizierà una spasmodica ricerca da parte dei due bambini che non si rassegnano all’idea di essere stati abbandonati dalla madre a casa di una estranea, ritrovandosi in una realtà che non gli appartiene, nel frastuono di una città moderna che sembra non lasciare spazio alla comunicazione interpersonale ed ai sentimenti più genuini.
La regista brasiliana si è specializzata nella realizzazione di video-arte ed in film che affrontano i problemi sociali del suo Paese.
Anche in questo Campo Grande, in selezione ufficiale alla Festa del Cinema in collaborazione con Alice nella città, viene trattato un ben conosciuto tema: il contrasto estremo e ben evidente tra due mondi contrapposti in una rumorosa e trafficata Rio; tuttavia non riscontriamo una vera e propria originalità nel trattare questo argomento, che neanche lo sguardo impaurito, ma nello stesso tempo altero, dei due piccoli protagonisti riesce a trasmettere pienamente.
Il film infatti va avanti seguendo un registro piatto e stereotipato, con pochi significativi colpi di scena che non riscattano appieno la narrazione della storia che si sussegue lenta.
data di pubblicazione 19/10/2015
da Antonio Iraci | Ott 17, 2015
Quattro adolescenti si trovano in una clinica dove, con metodi più o meno ortodossi, vengono curati i loro disturbi comportamentali.
Siamo alla vigilia di Natale ed i giovani, due ragazzi e due ragazze, sembrano con il passare del tempo veder accentuare i propri disagi in un ambiente ostile appena sfiorato dalla visita dei genitori che, per puro dovere, fanno sentire la propria presenza che si palesa anche come l’origine e la causa dei loro traumi esistenziali.
All’inizio vigili e sospettosi tra di loro, si troveranno alla fine a dover ammettere a se stessi il desiderio di complicità e di affetto che li unirà sempre di più in un vortice di forte coesione emotiva.
Nonostante il tema sia visto e rivisto in tutte le possibili salse agrodolci, Four Kings convince per il linguaggio espressivo usato, che non lascia alcun sapore di scontato nella storia narrata ma che invece sembra unirci ai quattro protagonisti in una sorta di empatia.
Forse da alcuni potrà sembrare banale e prevedibile la figura del giovane medico psichiatra, comprensivo e progressista nel metodo di terapia usato verso i ragazzi, ma anche lì si intravede un disagio, una difficoltà ad inserirsi in un contesto asettico e preordinato nel quale la società, ed in particolare il contesto lavorativo della clinica, spietatamente lo costringe a muoversi.
La regista Theresa von Eltz, nata a Bonn, dopo aver studiato storia e scienze politiche a Berlino e Oxford si è occupata con successo di serie televisive e questo film, presentato nella sezione Alice alla Festa del Cinema di Roma, rappresenta il suo film di esordio.
data di pubblicazione 17/10/2015
Gli ultimi commenti…