da Antonio Iraci | Nov 2, 2015
Film documentario del regista Abel Ferrara, nato nel Bronx ma con origini campane: un ritratto molto crudo e realistico di una città complessa come Napoli, l’immagine di una metropoli e delle sue innumerevoli sfaccettature e contraddizioni, dove realtà e finzione sembrano confondersi.
Notevoli e d’effetto le interviste alle donne recluse nel carcere di Pozzuoli dove si tocca con mano quello che di umano e nello stesso tempo di inafferrabile emerge e dà il vero senso delle loro vite.
Cos’è la camorra?, dice una di loro, la camorra siamo noi…
Il film non sembra ber riuscito, nonostante le buone intenzioni del regista, e fu stroncato dalla critica che manifestò una certa indifferenza mentre il pubblico, pur con un certo scetticismo, mostrò invece un certo interesse.
Napoli ci suggerisce una ricetta molto semplice che è lo spezzatino genovese, ma che con la città di Genova non ha proprio niente a che fare.
INGREDIENTI: 1 kg di spezzatino di manzo – 3 kg di cipolle bianche – olio sale e pepe q.b. – olio d’oliva – un bicchiere di vino bianco – brodo caldo.
PROCEDIMENTO: Soffriggere per 5 minuti una parte delle cipolle insieme allo spezzatino, sfumando con il vino bianco. Una volta che la carne risulta appena rosolata aggiungere il resto delle cipolle e coprire il tutto con acqua o brodo, insaporendo con sale e pepe. Lasciare cuocere per almeno 5 ore a fuoco lentissimo, aggiungendo via via dell’acqua se necessario. Con il condimento ottenuto si può anche condire la pasta con abbondante parmigiano grattugiato.
da Antonio Iraci | Ott 23, 2015
James Ponsoldt, regista e sceneggiatore americano già conosciuto al pubblico italiano per il film Spectacular Now, con questo suo ultimo film ci narra indirettamente la storia del famoso scrittore americano David Foster Wallace, morto suicida nel 2008, prendendo spunto dal romanzo Come diventare se stessi di David Lipsky.
Nel film David Lipsky, a quel tempo ancora poco conosciuto pur essendo autore di alcuni libri, riesce a convincere il proprio capo redattore della celebre rivista Rolling Stones presso la quale lavora, ad inviarlo ad intervistare il famoso scrittore e professore universitario David Foster Wallace, in occasione della pubblicazione del suo ultimo e voluminoso romanzo Infinitive Jest. I due scrittori si incontrano e proseguono insieme verso l’ultima destinazione del tour di presentazione del libro.
Durante questi giorni di convivenza poco a poco si scioglierà tra i due quel muro di diffidenza reciproca che si era instaurato all’inizio, dal momento che alla pacata riservatezza e ritrosia del primo si contrappone l’invadenza e l’arrivismo dell’altro, in un susseguirsi di domande e risposte dove non si distingue più chi è l’intervistatore e chi l’intervistato.
Le due personalità che emergono risultano a volte ambigue, non percependo appieno dove si possa discernere una base di assoluta sincerità, personalità che a volte sembrano attrarsi più che per curiosità che per reciproca stima.
Inoltre il successo letterario già raggiunto da Wallace sembra aver turbato la sua vita per cui lo stesso manifesta ora una certa insofferenza verso i lettori che lo acclamano e si rifugia volentieri nella solitudine della sua casa, in compagnia dei suoi cani, ed adottando un look molto trasandato quasi a fuggire da un mondo che non è quello di sua appartenenza e che sembra subire con una malcelata rassegnazione.
Buone le performances dei due attori protagonisti Jason Segel e Jesse Eisenberg rispettivamente nei panni di Wallace e Lipsky, che hanno dato una immagine credibile alla figura dei due scrittori sui quali, a questo punto, viene voglia di fare una ricerca in libreria per un quanto mai doveroso approfondimento letterario.
data di pubblicazione 23/10/2015
da Antonio Iraci | Ott 23, 2015
Full contact è l’ultimo film del giovane regista olandese David Verbeek che, dopo gli studi in cinematografia nel suo paese d’origine, si è successivamente trasferito New York per dedicarsi alla filosofia e fotografia.
Il film parla di Ivan, militare in servizio presso una base americana nel deserto del Nevada, impiegato per colpire a distanza le basi terroristiche situate nello Yemen utilizzando, con una precisione infallibile, i famosi drone, aerei telecomandati a distanza.
L’aver eseguito l’ordine di colpire, pur avendo fatto giustamente notare le sue perplessità in merito all’obiettivo da bombardare, lo porterà a sbagliare il bersaglio prefissato per cui, invece di attaccare una base terroristica, annienterà una scuola uccidendo delle vittime innocenti.
Tutto ciò metterà in crisi la sua vita, già solitaria: l’uomo a questo punto abbandonerà la propria missione militare per avventurarsi in percorsi alternativi, dove tuttavia l’idea fissa di annientare il nemico non lo abbandonerà mai, finendo con il vivere, tra realtà e finzione, una vita violenta come punizione per aver commesso un così imperdonabile errore.
Il film non risulta tecnicamente ben costruito, non è rilevante l’interpretazione degli attori protagonisti Grégoire Colin e Lizzie Brocheré ed inoltre l’impianto della sceneggiatura ci presenta una narrazione carente, con un piano d’azione frammentario e poco conseguente.
data di pubblicazione 23/10/2015
da Antonio Iraci | Ott 23, 2015
Il film di Sergio Rubini si presenta come una pièce teatrale e di fatto lo è visto che nasce proprio in teatro, ed è interpretato dagli stessi attori che poi vedremo sul grande schermo: Fabrizio Bentivoglio, Maria Pia Calzone, Isabella Ragonese e Sergio Rubini stesso.
Ma Dobbiamo parlare ci pone davanti al quesito: ma è sempre proprio necessario parlare? Non sarebbe talvolta meglio lasciare le cose come stanno e continuare la propria vita di coppia senza scendere in profondità o addentrarsi in confidenze scomode?
E’ un film pieno di parole che si incrociano, in un salotto bene al centro di Roma dove le due coppie di amici sembrano sfidarsi in un duello senza esclusione di colpi e dove la verità che emerge farà saltare quel sano equilibrio che fino a quel momento aveva regolato i loro rapporti interpersonali.
Una commedia divertente, senza pretese, che ci fa sorridere e nello stesso tempo riflettere sulle dinamiche di coppia, non sempre improntate da un corretto comportamento e forse spesso troppo intaccato da interessi materiali o opportunistici.
Ci si chiede se la parola in questo caso sia opportuna, visto che anche il pesce nell’acquario avrebbe anche lui qualcosa da ridire.
Tra i temi toccati dal film c’è la fragilità della donna contrapposta a quella, non meno tangibile, degli uomini, dove gli obiettivi sembrano spesso raggiunti ma mai centrati, in uno sforzo di apparire quello che non si è.
Buona la recitazione (teatrale) dei protagonisti che ci hanno regalato una piacevole parentesi in una rassegna che ci ha coinvolti in tematiche spesso dure ed impegnate, e che in alcun modo vuole emulare l’atmosfera claustrofobica del film Carnage di Polansky, al quale sembra veramente inopportuno fare qualsiasi riferimento.
data di pubblicazione 23/10/2015
da Antonio Iraci | Ott 21, 2015
Maggio 1945: la Germania dichiara la sua resa incondizionata e si pone fine al secondo conflitto mondiale.
Le truppe alleate consegnano alla Danimarca migliaia di prigionieri di guerra tedeschi, la maggior parte giovani tra i 15 e i 18 anni, per essere utilizzati a disinnescare, senza alcuna esperienza al riguardo, più di due milioni di mine collocate dalle truppe naziste sulle spiagge nord occidentali del paese.
Lo spietato sergente danese Rasmussen si trova a coordinare l’operazione ed in particolare, con un gruppo di dodici prigionieri, deve ripulire in breve tempo un pezzo di quella costa, adottando sui giovani una spietata disciplina militare, tenendo ben presente ciò che i nazisti avevano perpetuato durante l’occupazione.
Il regista danese Martin Zandvliet porta sul grande schermo un pezzo di storia che la stessa Danimarca non vuole ricordare, né tantomeno raccontare, dal momento che in questa maniera morirono migliaia di prigionieri tedeschi per delle colpe che erano più grandi di loro stessi.
Lo spettatore, nel seguire l’azione scenica in ogni suo istante, non può che rimanere affascinato dallo sguardo sperduto di quei ragazzi chiamati anzitempo a svolgere il ruolo di uomini, in un conflitto che li trovò coinvolti impreparati e senza un perché, lontano dalle loro famiglie e dai loro affetti più cari, in una logica a loro totalmente sconosciuta.
Un film quindi sulle atrocità della guerra e, quel che è peggio, sugli orrori del dopo guerra che ci porta solo per poco ad indugiare sul sentimento di perdono per guardare invece oltre.
Ottima l’interpretazione di Roland Møller, nuovo talento del cinema danese, che interpreta la parte del sergente Rasmussen e soprattutto quella dei giovani soldati, tutti ragazzi alle prime esperienze cinematografiche ma che si muovono sulla scena già con la bravura interpretativa e con il talento dei grandi attori.
data di pubblicazione 21/10/2015
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