OPERAMOLLA di e con Luca Ruocco e Ivan Talarico – DoppioSenso Unico

OPERAMOLLA di e con Luca Ruocco e Ivan Talarico – DoppioSenso Unico

(Teatro dell’Orologio, Roma 14 e 17 gennaio 2016)

Capitolo numero due della trilogia Niente di nuovo sotto il suolo presentata ieri al teatro dell’Orologio dal duo composto da Luca Ruocco e Ivan Talarico(produzione DoppioSenso Unico).

Tre fratelli chiusi in casa da anni, di cui due vivi ed uno non si sa: sarà morto? Così si pensa, certezza non c’è in quanto non dà né segni di vita né segni di morte. Quindi? Forse è resuscitato, ipotesi più probabile.

Si parla quindi di malattia e morte, di guarigione e di resurrezione, ma per la verità: non sarebbe meglio anticiparne i tempi visto che comunque da lì non si scappa? Moriamo perché ci ammaliamo o ci ammaliamo per morire? I due attori ci propongono diverse varianti al tema sino a mettere in scena un vero e proprio funerale con la complicità del pubblico in sala, veramente partecipe e direi all’altezza della situazione in ogni momento della rappresentazione.

Luca e Ivan risultano essere quindi bravissimi a tenere il ritmo, in maniera incalzante e senza soluzione di continuità, il pubblico ne è affascinato e preso in quanto protagonista lui stesso sulla scena, mentre l’irrazionale domina lo spazio, ma non ce ne rendiamo conto.

Il teatro proposto mette in evidenza l’assurdità dell’esistenza dove ogni schema o costrutto drammaturgico razionale viene del tutto capovolto per dar vita ad una serie di situazioni surreali, con un totale disprezzo per qualsiasi forma di espressione logico-consequenziale.

Ci troviamo quindi di fronte all’abbandono di qualsiasi dialettica e gli eventi sono legati solo da una effimera traccia suggerita dallo stato d’animo dei due attori che, nella loro tragicomicità dei dialoghi senza senso, riescono comunque a coinvolgere il pubblico e a suscitarne il riso. Il titolo, come a fine spettacolo i protagonisti tengono a spiegare, nasce da un fatto reale: Operamolla era una persona chiamata a recitare la parte di un malato di tumore e che continuò il suo copione, in privato per due anni, senza rivelare ad alcuno che lui il tumore ce l’aveva veramente, e quindi poi morì.

Ancora una volta essenzialità nelle maschere e negli oggetti utilizzati (a cura di Stefania Onofrio e Antonio Guarino) che comunque risultano movimentati dalle luci abilmente manovrate dal tecnico di scena Francesco Rita.

Samuel Beckett e Eugène Ionesco a confronto due dilettanti…

data di pubblicazione 15/01/2016


Il nostro voto:

IL SORPASSO di Dino Risi, 1962

IL SORPASSO di Dino Risi, 1962

In un caldo ed assolato giorno di ferragosto romano Bruno (Vittorio Gassman), giovane disoccupato amante delle donne e delle auto sportive, conosce per caso Roberto (Jean-Louis Trintignant), studente di giurisprudenza rimasto a casa per preparare un esame universitario.
Dopo le prime resistenze, il timido Roberto acconsente di andare in giro con l’esuberante Bruno a bordo della sua spider, una Lancia Aurelia B24, lanciata a tutta velocità dal centro di Roma proprio sull’Aurelia in direzione della Toscana. Durante la folle corsa in auto i due giovani si fermeranno in diversi posti, a casa dei parenti di Roberto ed incontrano la bella figlia di Bruno, oramai separato dalla moglie, di nome Lilly (Catherine Spaak). Nel corso della giornata Roberto è più volte tentato di lasciar perdere l’invadente nuovo amico, ma in effetti ne è molto attratto perché rappresenta per lui un vero mito che lo potrà iniziare ad un tipo di vita spensierata, a lui completamente sconosciuta, che pian piano lo affascina e gli fa quasi disprezzare la sua esistenza incolore e piatta sinora condotta.
Il tutto si svolge con ritmi frenetici, intercalato da quel clacson assordante che farà storia, sino al tragico epilogo per l’ennesimo sorpasso spericolato: mentre Bruno miracolosamente si salverà rimbalzando dall’auto precipitata in un burrone, Roberto invece perderà la vita proprio nel momento in cui iniziava ad assaporarne la vera essenza.
Questo film, diventato un cult nel filone della commedia all’italiana, fu considerato il capolavoro assoluto del regista Risi perché ha rappresentato l’Italia degli anni sessanta, in pieno benessere economico e della facile ricchezza. La pellicola girata, nella parte finale, in Toscana, in provincia di Livorno, ci suggerisce questa ricetta di baccalà marinato, piatto tipico di quella zona.

INGREDIENTI: 1 kg di baccalà già dissalato – 500 grammi di passata di pomodoro – mezzo bicchiere di aceto – rosmarino, 1 spicchio d’aglio, 2 cipolle bianche – sale e pepe q.b..
PROCEDIMENTO: Tagliare a pezzi i filetti di baccalà, infarinarli e friggerli in olio d’oliva. Sistemare i pezzi già fritti in una terrina, quindi nell’olio della frittura aggiungere la cipolla a pezzetti, il rosmarino triturato, l’aglio a pezzetti e lasciare andare la cottura per un poco. Aggiungere infine la passata di pomodoro con un mezzo bicchiere di aceto, il sale ed il pepe. Una volta cotta la salsa, andrà sistemata calda sui pezzi di baccalà e dovrà rimanere così a marinare anche un giorno intero. Il giorno dopo il piatto va servito appena tiepido.

gU.F.O. di e con Luca Ruocco e Ivan Talarico – DoppioSenso Unico

gU.F.O. di e con Luca Ruocco e Ivan Talarico – DoppioSenso Unico

(Teatro dell’Orologio – Roma, 13 e 16 gennaio 2016)
Se per fare teatro basta sovvertire le normali regole dell’analisi logica e grammaticale, aggiungere qualche allitterazione, scomponendo il “sense per il non-sense”, diciamo allora che lo spettacolo gU.F.O. di Luca Ruocco e Ivan Talarico (produzione DoppioSenso Unico) ha raggiunto e colpito al cuore il pubblico, tra il divertito e il disorientato, ieri sera al Teatro dell’Orologio.
I due alieni sbarcano con astronavi di carta su questa terra per incontrare e catturare benevolmente i terrestri e cercare di alienarli ancora di più dalle loro convinzioni (errate) che li hanno condizionati da sempre. Marx, Newton, Freud e persino Gesù Cristo non sanno più cosa fare in quanto le loro idee, o invenzioni, risultano infondate o sovvertite; persino Dio non sembra esentato da questo scombussolamento generale in quanto addirittura il suo operato creativo viene messo in discussione: ma l’uomo è stato generato da lui o dalle scimmie? Non si sa più che pensare.
Il Gufo Luigino è pure lui un Ufo, con la g davanti, o un essere parlante chiuso nella sua casa con la compagna Marisa e lo spettro di Gianni Barba in attesa di eventi che non si sa quali saranno? Ecco che l’assurdo si materializza in sketch senza soluzione di continuità, quasi a ricordare quella tragicomicità televisiva stile anni settanta volta ad alienare le nostre menti dai problemi reali per farci sorridere un poco e gustare in pieno, senza vergognarci, quella demenzialità divenuta quasi naturale.
Lo spettacolo avanza nell’improvvisazione totale, tra gag intercalate da brevi secondi di buio, con il coinvolgimento diretto del pubblico sulla scena a siparietto e dove ognuno gioca la sua parte, divertito, senza sapere dove si andrà a parare perché qui non c’è copione da seguire o regole di recitazione da osservare: tutto nasce e si esaurisce nel mentre in cui gli stessi gufi non sanno più cosa fare e rimangono ingabbiati nel loro spazio domestico.
gU.F.O. è il primo spettacolo della Trilogia Niente di nuovo sotto il suolo, di cui non si conosce il senso di partenza né l’improbabile filo conduttore che lega le tre diverse situazioni, ma risulta sicuramente interessante questo tipo di comicità surreale che Luca e Ivan portano sul palcoscenico, essenziale nelle scene di Fiammetta Mandich insieme alle maschere dei gufi di Tiziana Tassinari e agli oggetti vari di scena di Stefania Onofrio.
Seguiremo gli altri due lavori in sequenza (illogica) e ne vedremo delle belle…

data di pubblicazione 14/01/2016


Il nostro voto:

SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE di Luigi Pirandello, regia di Gabriele Lavia

SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE di Luigi Pirandello, regia di Gabriele Lavia

(Teatro Eliseo – Roma, 5/24 gennaio 2016)

Dopo quasi cent’anni dalla prima rappresentazione a Roma al Teatro Valle, era un giorno di maggio del 1921, con un esordio tempestoso ed un pubblico in massima parte infuriato sicuramente in difficoltà per comprendere appieno la complessità del lavoro filosofico pirandelliano, i Sei personaggi si presentano oggi al Teatro Eliseo sotto l’eccellente regia di Gabriele Lavia, un marchio ed una garanzia per il teatro italiano.

Il regista, nonché attore principale, riesce ad rielaborare il testo, riveduto e corretto dallo stesso Pirandello in vari tempi, riprendendo tuttavia alcuni punti salienti della versione originaria e portandoci sul palcoscenico una edizione molto fedele a dettami scenografici imposti da una voce fuori campo che ci seguirà durante tutta la rappresentazione, come se lo stesso Pirandello desse voce a se stesso per curare in prima persona la messa in scena.

Il lavoro si presenta complesso, come lo stesso Lavia afferma, in quanto si rappresenta un teatro in disintegrazione che sovverte le regole sceniche classiche, per arrivare alla conclusione che l’attore non potrà mai identificarsi con il personaggio stesso recitato. L’attore interpreta la propria visione reale delle cose mentre il personaggio porta in sé la verità, perché interpreta sulla scena frammenti della propria vita vissuta: dunque una drammaturgia che nasce da dentro e che nessun attore potrà mai rendere credibile in quanto non sperimentata da lui stesso.

La scena si apre su una compagnia di attori che, seguiti da un intransigente capocomico, tenta di provare il secondo atto di un’opera dello stesso Pirandello, Il gioco delle parti. Ben presto irromperanno sul palcoscenico i “sei personaggi”, lugubri e luttuosi nei loro abiti neri, per cercare di vivere se stessi sulla scena grazie ad un autore che li rappresenti: solo che qui non occorrono né copioni da seguire né suggeritori, perché le parole dell’anima non possono essere scritte né suggerite. È proprio questa la rivoluzione pirandelliana: il passaggio dalla vita alla creazione artistica, la verità che prende dunque forma reale sulla scena.

Risulteranno vani i tentativi da parte del capocomico di assegnare alla propria compagnia le parti da recitare, in quanto pur riconoscendo la validità drammaturgica del lavoro, si renderà ben presto conto dell’impossibilità di rappresentare il dramma stesso, fuori dal contesto che coinvolge direttamente gli stessi personaggi.

Ecco che il teatro, grazie alla scena e alle luci dalle tonalità cromatiche molto forti, abbatte nella sua essenzialità le proprie barriere, per portare sul palcoscenico uno spazio di vita non più di finzione ma dove ognuno recita se stesso con la propria parte, portandosi il peso di colpe e rimorsi per qualcosa di non fatto o irrisolto.

Il dramma prosegue con un ritmo incalzante, quasi non curante delle interruzioni dovute alla originaria perplessità di portare in scena qualcosa che non trova riscontro concreto in un copione, fino alla conclusione tragica nel finale, dove emergono forti e chiari gli elementi della tragedia classica: l’abbandono, la pietà, la morte. Il ritmo a tratti claustrofobico viene esaltato dall’irrompere di tuoni come se un deus ex machina, burbero e collerico, volesse far sentire la propria presenza scenica con un ammonimento dall’alto quasi a sottolineare l’ineluttabilità del fato che travolge i personaggi e che non risparmia loro sofferenza e dolore.

Apparirebbe ridondante esaltare l’eccellenza interpretativa dell’intera compagnia, ma sicuramente va menzionato Gabriele Lavia nella parte del padre, e la figlia Lucia nella parte della figliastra, ruolo decisamente non facile perché si tratta di rappresentare una giovane, ancora quasi bambina, avviata per caso alla prostituzione, che ha già provato le avversità più crudeli della vita e che quindi non riesce a reprimere nei gesti la propria  aggressività emotiva ed il proprio disprezzo.

Con Gabriele e Lucia Lavia sono in scena altri 19 grandi attori (Federica Di Martino è la Madre, Andrea Macaluso il Figlio, Silvia Biancalana il Giovinetto, Letizia Arnò la Bambina, Marta Pizzigallo Madame Pace mentre gli altri attori della Compagnia teatrale sono Michele Demaria,  Giulia Gallone, Mario Pietramala, Giovanna Guida, Malvina Ruggiano, Luca Mascolo, Daniele Biagini, Maria Laura Caselli, Anna Scola, Carlo Sciaccaluga, Alessandro Baldinotti, Massimiliano Aceti, Matteo Ramundo e Alessio Sardelli). Scene di Alessandro Camera, costumi di Andrea Viotti e musiche di Giordano Corapi. Produzione della Fondazione Teatro della Toscana.

Alla prima dello spettacolo alta era la rappresentanza in sala di attori, personalità dello spettacolo e della cultura nazionale che hanno dimostrato unanimemente un altissimo gradimento.

data di pubblicazione 06/06/2016


Il nostro voto:

CHE COSA E’ SUCCESSO TRA MIO PADRE E TUA MADRE? di Billy Wilder, 1972

CHE COSA E’ SUCCESSO TRA MIO PADRE E TUA MADRE? di Billy Wilder, 1972

Wendell Armbruster Jr. (Jack Lemmon), figlio di un ricco industriale di Baltimora, arriva ad Ischia per recuperare il corpo del padre morto in un incidente d’auto.

Ben presto viene a sapere che il padre, che ogni anno passava ad Ischia un intero mese per le cure termali, per molti anni ha mantenuto nell’isola una relazione con una donna inglese, di modeste condizioni sociali, anch’essa morta nello stesso incidente. A questo punto Wendell fa conoscenza con la romantica Pamela Piggott (Juliet Mills), figlia dell’amante del padre e anche lei ad Ischia per i funerali della madre, e se ne innamora. I due si ripromettono di incontrasi ogni anno ad Ischia, esattamente come avevano fatto i rispettivi genitori.

Il film, sotto la magica ed inconfondibile regia di Billy Wilder, con la sceneggiatura di I.A.L. Diamond, fece vincere un Golden Globe nel 1973  a Jack Lemmon come miglior attore per la sua eccellente interpretazione.

Il sapore ischitano della pellicola ci suggerisce questa ricetta di coniglio all’ischitana.

INGREDIENTI: Un coniglio – 500 grammi di pomodorini  – 1 testa d’aglio – 2 bicchieri di vino bianco –  prezzemolo, rosmarino, basilico, timo  –peperoncino, sale e pepe q.b.- olio d’oliva.

PROCEDIMENTO: tagliare il coniglio a pezzi e lasciarlo marinare per una mezzora nel vino bianco. In una casseruola, preferibilmente di terracotta, mettere l’aglio e lasciarlo imbiondire. Togliere l’aglio e disporre i pezzi del coniglio che dovranno essere fatti ben rosolare. Aggiungere quindi il vino bianco, le erbe, un poco di peperoncino, sale e pepe a scelta, e lasciare cuocere il tutto per circa mezz’ora. A questo punto aggiungere i pomidorini a pezzetti e l’aglio e lasciare cuocere per altri quindici minuti, aggiungendo se si vuole del brodo caldo per mantenere il condimento più fluido. Fare riposare un poco e servire con un contorno di patate o con una insalata mista.