FONTAMARA di Carlo Lizzani, 1980

FONTAMARA di Carlo Lizzani, 1980

Basato sull’omonimo romanzo di Ignazio Silone, il film è ambientato nel paese di Pescina, nella Marsica abruzzese, dove la popolazione, ribelle agli ideali fascisti, è sottoposta a continui soprusi da parte del governo di Mussolini. Il giovane Berardo Viola (Michele Placido), facendo parte attiva della resistenza comunista, viene perseguitato per le sue idee anarchiche ed è costretto a lasciare il paese e a rifugiarsi a Roma dove conoscerà un altro giovane, suo coetaneo della Marsica, anche lui in opposizione al regime.
I fascisti, dopo aver deviato per punizione un fiume provocando gravi danni ai contadini della zona, si vendicheranno ulteriormente perpetuando violenza alla famiglia di Berardo, alla sua compagna e a lui stesso torturandolo a morte. Il film ottenne grandi riconoscimenti da parte della critica e diverse nomination per il David di Donatello, mentre a Ida Di Benedetto fu assegnato il Nastro d’argento come migliore attrice non protagonista. Questo film, i cui dialoghi si svolgono per la maggior parte in dialetto marsicano, ci suggerisce questa ricetta abruzzese molto gustosa e d’effetto: spaghetti con melanzane e pancetta alla marsicana.

INGREDIENTI: 500 grammi di spaghetti – 2 melanzane – 120 grammi di pancetta tritata – 400 grammi di pomidoro pelati – 2 uova – 150 grammi di mozzarella – 2 spicchi d’aglio – 1 peperoncino rosso fresco – sale e pepe q.b..
PROCEDIMENTO: Tagliare le melanzane a cubetti e friggerle in abbondante olio d’oliva. Nello stesso olio della frittura fare rosolare la pancetta e l’aglio tagliato a piccoli pezzetti, aggiungere quindi il pomodoro pelato, il peperoncino fresco triturato, sale e pepe e lasciare cuocere per circa 30 minuti. Bollire le uova sode e tagliarle poi a pezzetti. A parte tagliare a cubetti la mozzarella. Una volta cotti sufficientemente al dente gli spaghetti, farli saltare nella padella con la salsa, aggiungere la mozzarella ed infine sistemare il tutto in un piatto di portata aggiungendo sopra le melanzane e le uova sode a pezzetti. Condire con abbondante pecorino.

YERMA di Federico Garcìa Lorca, adattamento di Roberto Scarpetti e regia di Gianluca Merolli

YERMA di Federico Garcìa Lorca, adattamento di Roberto Scarpetti e regia di Gianluca Merolli

(Teatro Vascello – Roma, 29 marzo/3 aprile 2016)

Stabat mater dolorosa…, con questo lamento liturgico inizia Yerma, uno dei tre drammi che costituiscono la trilogia lorchiana insieme a La Casa di Bernarda Alba e Bodas de Sangre, tutti incentrati sui temi oscuri della passione e della morte.

Per comprendere meglio lo spirito di questa tragedia che Federico Garcìa Lorca scrisse nel 1934 bisogna entrare, lavorando di immaginazione, in ciò che poteva meglio rappresentare la Spagna in quel periodo cupo immediatamente antecedente alla guerra civile ed alla definitiva affermazione della dittatura franchista. Gli ideali nazionalistici si fondavano essenzialmente sui valori della famiglia e sulla posizione della donna la cui missione primaria era  quella di procreare un numero indeterminato di figli e di rimanere fedele al marito fino alla morte. Yerma è una eccezione: il suo nome significa terra arida, qualcosa di sterile che non produce, che è incapace di generare un figlio, una donna che non potrà mai essere una vera donna, completa come le altre, un essere carico di passione non ricambiata, una ossessione non sedata da alcun momento di vera consolazione, un fuoco che non arde, un’acqua che non disseta, una terra che non dà frutti, un’aria che non crea vita.

Accanto a Yerma troviamo Juan, marito impostole dalla famiglia e che lei non ama pur rimanendole devota, un uomo che le nega la gioia di un figlio, distratto dal suo lavoro nei campi e che presumibilmente sterile fa ricadere sulla moglie la colpa di non potere o sapere generare. Il secondo protagonista maschile è Victor, vecchio amico pieno di desiderio e sensualità la cui presenza accende subito le pulsioni assopite della donna, i suoi istinti sessuali che però dovranno essere repressi per non infrangere gli obblighi di fedeltà coniugale. Invano la donna cercherà con ogni mezzo di rimanere incinta, ricorrendo pure a sortilegi e riti magici, ed alla fine non le rimarrà altro che uccidere il marito autoaccusandosi nelle ultime battute:  Non avvicinatevi, perché ho ucciso mio figlio. Io… l’ho ucciso io! In effetti con la morte del marito lei per sempre si negherà la gioia della maternità, perché lei non si concederà ad altri uomini, rimanendo salda sui suoi ideali di donna sottomessa ed ubbidiente.

L’ambientazione scenica di Alessandro Di Cola ci immerge in una atmosfera sospesa, quasi metafisica in cui i quattro elementi: terra, acqua, aria, fuoco si fondono in una massa amniotica rarefatta e dove la sabbia cade dal cielo senza soluzione di continuità, come dentro una eterna clessidra, un ammonimento del tempo che scorre inesorabile per coprire tutto, uomini e cose.

Il regista Gianluca Merolli ha voluto in maniera esplicita, quasi forzata, attualizzare e contestualizzare il dramma di Yerma con le attuali turbolenze legislative italiane in materia di procreazione assistita, ma forse il suo intervento potrebbe risultare troppo ovvio e quasi inopportuno.

Bravi gli attori in scena: Elena Arvigo, Enzo Curcurù, Fabrizio Ferracane, Giulia Maulucci e Maurizio Rippa, quest’ultimo con funzione di basso continuo nell’introduzione lamentosa, come di un coro ad una voce.

Anche se Yerma, che nasce dalla sabbia e prende una forma giunonica in Elena Arvigo, ha un timbro espressivo uniforme e ripetitivo, tuttavia il lavoro risulta nel suo insieme ben strutturato. Buone le luci di Pietro Sperduti e ben curata la musica da Luca Longobardi.

data di pubblicazione:31/03/2016


Il nostro voto:

 

PINOCCHIO VOL.1-REDUX di Andrea Carvelli, regia di Matteo Cusato

PINOCCHIO VOL.1-REDUX di Andrea Carvelli, regia di Matteo Cusato

(Teatro dell’Orologio – Roma, 22/25 Marzo 2016)

Una rivisitazione in versi del ben noto romanzo, più che una fiaba, di Carlo Collodi curata da Andrea Carvelli con la regia di Matteo Cusato, che ci racconta in forma poetica delle prime avventure del celebre burattino Pinocchio. Nella fantasia di Mastro Geppetto il pezzo di legno che si trova tra le mani ha un’anima, una voce che riflette le proprie impressioni e che bisogna far vivere dandogli una forma. In questo caso però la pretesa va oltre: Pinocchio non sarà solo un burattino di legno, ma diventerà un bambino a tutti gli effetti che bisognerà mandare a scuola affinché impari a leggere e scrivere, per poi iniziare a uniformarsi a quanto richiesto dalla società. La morale appare evidente e rispecchia il vivere civile, che impone di sacrificare l’istinto naturale alle convenzioni: questo vale pure per Pinocchio, al quale proprio risulta innaturale conformarsi alle regole.

Interessanti le scene elaborate dallo stesso Carvelli dove vediamo muoversi il burattino/bambino interpretato magistralmente dal giovane Anton De Guglielmo che con movimenti rapidi rappresenta bene il Pinocchio che tutti immaginiamo: senza sbavature o tentennamenti lo vediamo comporre e scomporre dei pezzi di legno, interagendo perfettamente con gli altri personaggi del racconto e dando una certa uniformità all’insieme. Poco stimolanti le voci fuori campo ma necessarie per spiegare lo svolgersi della fiaba per chi, credo pochi, non abbiano mai letto da piccoli il celebre libro collodiano.

data di pubblicazione 25/03/2016


Il nostro voto:

LA MACCHINAZIONE di David Grieco, 2016

LA MACCHINAZIONE di David Grieco, 2016

Molto, ma mai troppo, è stato visto, scritto e raccontato su Pier Paolo Pasolini, ed ogni volta si aggiunge qualcosa di nuovo, come un tassello mancante che si inserisce in un quadro più generale delineando, con tratti sempre più marcati, la figura di questo grande poeta, scrittore, regista, giornalista, intellettuale che con il suo pensiero ha influenzato la cultura italiana del nostro tempo.

Questo film di David Grieco, amico personale di Pasolini che lo aveva scelto come attore in Teorema e successivamente come aiuto in Medea per fare da assistente alla Callas, ha uno scopo preciso: indurre ad aprire ancora una volta l’inchiesta sul delitto alla luce dei nuovi elementi probatori, tutti orientati a definire la faccenda come una vera e propria “macchinazione”, un complotto politico a tinte fosche per eliminare una figura divenuta oramai scomoda ai centri di potere.

Pasolini, nei giorni appena antecedenti la sua morte, aveva portato a termine, sia pur in maniera disordinata, il suo libro denuncia Petrolio attingendo dallo scritto del fantomatico Giorgio Steimetz Questo è Cefis, sparito subito dalla circolazione, in cui si denunciava la figura di Eugenio Cefis, allora Presidente dell’Eni e della Montedison.

Nella lettera a Moravia che accompagna il manoscritto, Pasolini chiarisce il tipo di taglio antinarrativo che vuole dare al libro affermando che pur trattandosi di un romanzo non era scritto come tale, ma più assimilabile a come si fa nella saggistica o in certi articoli giornalistici, nelle recensioni, nelle lettere private o anche in poesia…Pubblicato postumo nel 1992 da Einaudi, questo insieme disorganico di appunti e riflessioni è facile credere sia stato il vero motivo dell’assassinio, pianificato nei minimi dettagli, che si prefiggeva come obiettivo prevalente l’eliminazione di un personaggio oramai fastidioso e compromettente, facendo risultare chiaramente infondata, alla luce dei nuovi fatti emersi, la confessione nel primo processo del reo confesso Pino Pelosi.

Curato alla perfezione nella scelta delle scene firmate da Carmelo Agate e sotto la direzione della fotografia di Fabio Zamarion La Macchinazione di David Grieco, che si è già occupato molte volte dell’amico/maestro Pasolini in vari film e anche collaborando con Sergio Citti in una serie televisiva, sembra essere carente solo nella selezione del cast. Indubbia la somiglianza del volto di Massimo Ranieri con quello di Pasolini, ma certamente poco convincente la sua recitazione che non sembra trasmettere la giusta tensione emotiva, mentre la scelta di Milena Vukotic, nella parte della madre, sembra decisamente più efficace. Poco credibile anche la figura di Pino Pelosi impersonato dall’esordiente Alessandro Sardelli, sia nella interpretazione che nell’aspetto fisico, mentre molto indovinata la musica di accompagnamento Atom Heart Mother prestata al film dai Pink Floyd, un classico degli anni settanta che ben si adatta al periodo storico trattato.

Il film ha comunque il pregio di essere un documento che ci proietta nel mondo di Pasolini e ci chiarisce il suo pensiero riguardante il destino della sinistra italiana e della educazione scolastica borghese, pensiero che con il passare del tempo è risultato decisamente premonitore sulla realtà politico/sociale di oggi.

data di pubblicazione:23/03/2016


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YERMA di Federico Garcìa Lorca, adattamento di Roberto Scarpetti e regia di Gianluca Merolli

QUELLA STRANA PARTE DI ME di Patrizio Cigliano

(Teatro dei Conciatori – Roma, 8/20 Marzo 2016)

Lorenzo Da Ponte alla fine del ‘700, nel portare a termine il libretto commissionatogli da Mozart per la sua opera buffa Così fan tutte, già aveva stigmatizzato, sia pur in maniera ambigua come suo solito, l’infedeltà “insita” nella natura femminile lasciando però un prudente margine di dubbio: sono le donne costrette al tradimento a causa dei raggiri maschili, oppure sono gli uomini che si fanno abbindolare dalle lusinghe femminili?

Patrizio Cigliano nel suo lavoro in scena al Teatro dei Conciatori ci sottopone mutatis mutandis lo stesso dilemma. Andrea è un quarantenne in apparenza felicemente sposato da dieci anni che ogni tanto si concede una scappatella extra con qualcuna più giovane di lui. Dopo aver assunto nel suo ufficio una stagista di nome Linetta, ben presto prenderà coscienza che la giovane, nella sua inettitudine al lavoro ed alla vita affettiva in genere, lo ha coinvolto emotivamente al punto tale da sacrificare il suo matrimonio per un rapporto che solo lui crede di autentico amore, ma che invece non presenta alcun  coinvolgimento da parte della ragazza.

Invano interviene quella strana parte di sé che razionalmente spingerà Andrea a meditare su quanto sta realizzando: abbandonare la moglie fedele e desiderosa di creare una famiglia per una ventenne scialba, anaffettiva, che si concede facilmente a sconosciuti solo per il gusto di sentirsi desiderata.

Ancora una volta la ragione non sembra avere presa sul sentimento, sull’amore che tutti noi stranamente cerchiamo nella direzione sbagliata, illudendoci per un breve momento sulla certezza di quell’emozione che ben presto però ci creerà solo pena e tormento.

Il salto generazionale tra Andrea a Linetta aggraverà ulteriormente la situazione e renderà il rapporto insostenibile: i linguaggi espressivi sono troppo diversi e non c’è proprio nulla da fare per riconciliare i due amanti in quello che avrebbe potuto essere, almeno nelle intenzioni di Andrea, un rapporto d’amore duraturo. I quattro attori della Compagnia Arcadinoè (Patrizio Cigliano, Barbara Begala, Beatrice Messa e Veronica Milaneschi) si muovono con disinvoltura sulla scena ideata dallo stesso regista, cadenzata da rapidi cambi in uno spazio ben studiato per le diverse situazioni. La narrazione si segue con attenzione e divertimento, lasciando lo spettatore con quell’inevitabile amaro in bocca, tipico di ogni opera buffa che si rispetti.

data di pubblicazione:17/03/2016


Il nostro voto: