VIE DE FAMILLE – Ensemble Aleph, musiche di Jean-Pierre Drouet e regia di Louis Clément

VIE DE FAMILLE – Ensemble Aleph, musiche di Jean-Pierre Drouet e regia di Louis Clément

(Teatro India – Roma, 29 maggio 2016)

Come l’arte concettuale va al di là delle forme espressive tradizionali, sovrapponendo al risultato estetico l’idea che ha inizialmente concepito l’opera stessa, così anche il teatro e la musica oggi vanno alla ricerca di nuove esperienze convergenti, sperimentando nella rappresentazione modalità singolari e significati insoliti. In Vie de Famille raffigurazione scenica e musica, voce e suono, si sovrappongono per dar vita ad uno spettacolo estremo in cui la parola risulta mantrica e trascende il testo, il suono si fonde in espressioni aritmiche che trovano tuttavia un punto di coesione in una definizione che solo un ossimoro può esprimere: una pura e semplice disarmonica armonia che accompagna le parole in un recitativo spesso ripetitivo.

L’Ensemble Aleph è un teatro musicale costituito da sei musicisti francesi che, sotto la regia di Louis Clément, sono riusciti a mettere in scena le proprie individualità ognuno con la scelta di uno scritto, in una performance accompagnata dalla musica del tutto sperimentale di Jean-Pierre Drouet: il risultato è una pièce teatrale del tutto singolare, un’opera inedita che si articola in diversi tempi, come capitoli di un racconto unico disarticolato, un concerto nel concerto che ha molto incuriosito e coinvolto gli spettatori in sala.

Lo spettacolo rientra in un progetto promosso dal Teatro dell’Opera di Roma insieme ad altre importanti istituzioni culturali romane quali l’Accademia di Santa Cecilia, il Teatro di Roma, la Fondazione Musica per Roma, l’Accademia di Francia. Con l’istituzione di questo primo Festival Internazionale di Teatro Musicale Contemporaneo, curato da Giorgio Battistelli, si è voluto portare all’attenzione del pubblico romano le nuove espressioni artistiche contemporanee, spaziando dalla musica al teatro, dalla danza alle arti visive digitali e portando le rappresentazioni stesse in vari punti della città con la peculiare intenzione di renderle quanto più fruibili da parte degli interessati.

Il Fast Forward Festival, iniziato il 27 maggio, proseguirà sino al 9 giugno.

data di pubblicazione:31/05/2016


Il nostro voto:

L’AVVENTURA di Michelangelo Antonioni, 1960

L’AVVENTURA di Michelangelo Antonioni, 1960

Durante una gita in barca alle isole Eolie, Anna (Lea Massari) scompare nel nulla. Il suo compagno, l’architetto Sandro (Gabriele Ferzetti) e la sua amica Claudia (Monica Vitti), nonostante la mobilitazione generale, decidono di continuare le ricerche da soli seguendo degli indizi che presto però si riveleranno poco attendibili non portando ad alcun risultato concreto.
Con il passare dei giorni tra Sandro e Claudia nasce una reciproca attrazione per cui, da una semplice avventura iniziale, il loro rapporto si trasformerà in una vera e propria relazione sentimentale che, per quanto indecifrabile, verrà presto accettata dall’intera compagnia. Sandro tuttavia non smentisce la sua vera natura di don Giovanni e subito si concede una distrazione con la bella scrittrice Gloria (Dorothy De Poliolo) gettando Claudia in una cupa costernazione visto che proverà gli stessi sentimenti frustranti che avevano fatto tanto soffrire l’amica scomparsa. In questo film Antonioni rimarca le tematiche a lui ben note e che hanno caratterizzato molti dei suoi lavori: la fragilità dei rapporti interpersonali in quel tipo di società borghese e annoiata degli anni sessanta dove vengono sempre messi in discussione i principi base di una morale sociale oramai anacronistica.
L’Avventura rese famoso il regista a livello internazionale ed ebbe un clamoroso successo a Cannes anche se non vinse la Palma d’Oro ma solo il premio speciale della giuria. In Italia il film fece grande scalpore e indusse la censura a far sequestrare la pellicola per oscenità visto che il comportamento dei protagonisti poteva essere interpretato come sconvolgente e amorale.
Girato tra Noto e Taormina il film ci suggerisce questa ricetta ideata da Andrea, siculo doc, che consiste in una versione di pollo arrosto con patate: ricetta semplice e allo stesso tempo ricca dei sapori forti della Sicilia.

INGREDIENTI: 1 pollo grande – 150 grammi di pomidoro secchi sott’olio – 500 grammi di patate – rosmarino e uno spicchio d’aglio – 2 cipolle bianche – un peperone – 100 grammi di olive nere al forno – 100 grammi di olive bianche – pepe qb.
PROCEDIMENTO: Tagliare in pezzi il pollo e metterlo in una teglia oleata insieme alle patate, alle cipolle ed al peperone, tutto tagliato nella grandezza desiderata. Aggiungere un poco di rosmarino, le olive ed i pomidori secchi sott’olio che verranno precedentemente triturati in pezzetti molto piccoli, dunque mescolare con le mani tutti gli ingredienti. Cospargere il tutto con un poco di pepe, evitando di aggiungere sale perché i pomidori secchi risultano già abbastanza saporiti. Infornare per circa 40 minuti (ed oltre se necessario) ad una temperatura di 200 gradi. Il pollo va servito caldo.

FIORE di Claudio Giovannesi, 2016

FIORE di Claudio Giovannesi, 2016

Daphne e Josh, colpevoli di fronte alla legge per aver compiuto dei piccoli furti, devono scontare la pena in un carcere minorile. Pur essendo detenuti in sezioni separate, trovano il modo di incrociare i propri sguardi e, nonostante il divieto assoluto di comunicare tra di loro, iniziano una intensa e passionale storia d’amore che al momento, tra le mura e le grate che li separano, si limiterà ad uno scambio furtivo di bigliettini e di brevissimi contatti fatti di semplici e innocenti gesti. E così il loro vissuto, le loro colpe e le frustrazioni causate da un affetto a loro negato, sembrano improvvisamente svanire per lasciare il posto allo sbocciare di “un fiore” che i due adolescenti riescono a custodire e ad alimentare con l’amore che, come sempre, non conosce ostacoli perché capace di andare oltre le sbarre dell’incomprensione e delle sterili convenzioni sociali.

Ben presto imparano, sulla propria pelle, che in carcere la privazione della libertà investe soprattutto la sfera dei sentimenti e che per correre insieme verso un futuro che sta lì ad aspettarli, oltre le mura penitenziali, bisogna necessariamente infrangere quelle barriere.

Dopo il successo di Alì ha gli occhi azzuri, che ha ottenuto nel 2012 il premio speciale della giuria al Festival Internazionale del Film di Roma, ancora una volta il regista romano Claudio Giovannesi ci racconta una storia vera di adolescenti veri.

I protagonisti, interpretati rispettivamente da Daphne Scoccia e Joshua Algeri, alla loro prima esperienza cinematografica rappresentano sé stessi, riuscendo a trasmettere quel giusto pathos emotivo richiesto dall’intenso script e rendendo la narrazione assolutamente perfetta grazie alla loro spontaneità, con imprevisti e colpi di scena che non risultano per niente banali o scontati.

A questi due giovani interpreti si affianca, come padre di Daphne, Valerio Mastandrea che con brevi apparizioni riesce a comunicarci quella giusta dose di sentimento paterno, intenso ma impacciato, grazie a quella collaudata naturalezza che ben conosciamo.

Questa bella pellicola sicuramente riceverà dal pubblico in sala lo stesso calore con cui è stato accolto a Cannes, dove il film è stato presentato nella sezione Quinzaine des Réalisateurs.

data di pubblicazione:24/05/2016


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IL MESTIERE DELLE ARMI di Ermanno Olmi, 2001

IL MESTIERE DELLE ARMI di Ermanno Olmi, 2001

Presentato in concorso al 54° Festival di Cannes, dove ebbe solo una nomination per la Palma d’oro, il film ottenne in compenso tantissimi riconoscimenti in Italia e sicuramente si può considerare tra i film più riusciti di Olmi insieme a L’albero degli zoccoli del 1978.
Giovanni dalle Bande Nere, pseudonimo di Giovanni De’ Medici, accorre in difesa dello Stato Pontificio per fronteggiare l’armata dei Lanzichenecchi scesi in Italia, su ordine dell’imperatore Carlo V, con l’obiettivo di saccheggiare Roma.
Il duca di Ferrara Alfonso I d’Este, in cambio del matrimonio di suo figlio Ercole II con una principessa imperiale, dona al condottiero invasore quattro cannoni in grado di abbattere qualsiasi tipo di armatura tradizionale. Infatti durante un attacco alle truppe nemiche Giovanni De’ Medici viene colpito dalla nuova arma letale e, gravemente ferito ad una gamba, viene trasferito a Mantova presso il palazzo dei Gonzaga.
Nonostante le cure, la ferita si infetta e provoca una cancrena che costringe il medico di corte ad amputare l’arto. Con la morte del valoroso condottiero fiorentino i Lanzichenecchi avranno via libera per Roma che verrà selvaggiamente depredata nel maggio del 1527.
Il regista, famoso per la ricercatezza delle sue ambientazioni scenografiche, utilizza una fotografia dai toni scuri che rimanda ad uno studio approfondito dell’arte rinascimentale, con particolare riferimento alla pittura del Mantegna, attivo a Mantova presso i Gonzaga.
Il mestiere delle armi è un film di altissimo spessore anche per il suo valore storiografico in quanto ci spiega come, con l’introduzione delle armi da fuoco, si rivoluzionavano gli ideali bellici e cavallereschi che avevano sino a quel momento ispirato i grandi condottieri.
I duchi di Mantova ci ispirano questa torta sbrisolona, dolce tipico della zona.

INGREDIENTI: 200 grammi di farina bianca – 200 grammi di farina gialla – 2 tuorli d’ uovo – 200 grammi di mandorle tritate – 200 grammi di zucchero – 100 grammi di strutto – 100 grammi di burro.
PROCEDIMENTO: Mescolare i due tipi di farina, le mandorle, lo zucchero e i due tuorli d’uovo. Aggiungere lo strutto ed il burro senza fonderli, facendoli solo ammorbidire a temperatura ambiente. Amalgamare il tutto, impastando a piccoli grumi che dovranno essere sistemati disordinatamente nella teglia imburrata.
Infornare per circa 40 minuti ad una temperatura di 180 gradi, fino a quando la torta risulti ben dorata.

LA MEMORIA DELL’ACQUA di Patricio Guzmàn, 2016

LA MEMORIA DELL’ACQUA di Patricio Guzmàn, 2016

Tutto è composto sostanzialmente d’acqua: noi siamo acqua, le pietre sono acqua, le stelle sono acqua. E poiché l’acqua ha una memoria propria, cioè ha insita in sé la capacità di mantenere nel tempo il ricordo delle cose e delle circostanze con le quali nei secoli è venuta a contatto, se mai arriverà il giorno in cui riusciremo a decifrare tale fenomeno, allora potremo leggere come in un libro tutta la storia dell’umanità e dell’universo intero.

Patricio Guzmàn è un regista, sceneggiatore, attore, scrittore e fotografo cileno già molto conosciuto a livello internazionale per aver raccontato, nei suoi innumerevoli documentari, la storia del suo paese, con le sue lotte e rivolte, arrivando ai fatti riguardanti le tristi vicende politiche che hanno attraversato il Cile e di cui lui stesso ne rimase vittima ai tempi della dittatura di Pinochet.

La memoria dell’acqua, Orso d’argento alla Berlinale 2015 per la miglior sceneggiatura, non è un documentario che ci parla solo dell’acqua e della sua innegabile memoria, ma è anche un punto di avvio che Guzmàn sceglie per narrare ancora una volta la storia del suo paese martoriato, nel corso dei secoli, da eccidi di massa, partendo da quelli che hanno portato alla quasi radicale estinzione delle prime popolazioni aborigene che abitavano le regioni della Patagonia da millenni.

Attraverso la testimonianza dei pochissimi sopravvissuti al massacro perpetuato dai primi coloni europei, veniamo pertanto a conoscenza della vita primordiale di questi antichissimi popoli che vivevano sostanzialmente da nomadi spostandosi su rudimentali canoe lungo le frastagliatissime coste cilene, un enorme arcipelago che emerge dalle immense acque dell’oceano Pacifico. Da questi racconti il regista passa lentamente a frammenti di storia più recenti, quando migliaia di uomini e donne vennero trucidati solo perché ritenuti oppositori al regime di Pinochet: molte furono le vittime che furono fatte sparire gettando, i loro corpi torturati, direttamente nell’oceano, legati a porzioni di binari della ferrovia affinché essi venissero definitivamente inghiottiti dall’acqua, facendone disperdere le tracce, i così detti desaparecidos.

La fotografia di Guzmàn, assieme ad una voce fuori campo, ci narrano la vera storia del Cile in un modo diretto ed essenziale, senza falsa retorica, coinvolgendoci emotivamente in un vissuto forse a noi lontano ma che in qualche modo ci riguarda in quanto uomini.

Ecco quindi che questo documentario, come già abbiamo avuto modo di riscontrare in Fuocoammare di Rosi, diventa un documento prezioso, una testimonianza di qualcosa di accaduto che ci induce a riflettere su atrocità fine a se stesse, una sorta di atroce capriccio del potere di pochi a danno di molti, un segreto che l’acqua stessa ha mantenuto e che ora ci rivela restituendocene la memoria perché siamo tutti ruscelli di una stessa acqua.

data di pubblicazione:08/05/2016


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