da Antonio Iraci | Ott 12, 2016
Due amiche di vecchia data, quarantenni, separate dai rispettivi mariti, affrontano il genere maschile in modo diametralmente opposto: una si chiude completamente agli uomini, l’altra li abborda facilmente e si concede forse con eccessiva leggerezza. L’incontro con Luca, liceale prossimo alla maturità, destabilizzerà le loro convinzioni e insegnerà ad entrambe a saper scrutare dentro sé stesse.
Il film è una trasposizione della commedia La Scena, firmata dalla stessa Comencini, che è stata presentata in diversi teatri italiani nella scorsa stagione ottenendo un riscontro molto favorevole da parte del pubblico. Proprio per questo motivo la regista ha pensato di portare sul grande schermo la storia bizzarra delle due protagoniste le cui vicende, divertenti e grottesche nello stesso tempo, nascondono invece qualcosa di più profondo, rivelando l’intimità dell’universo femminile, a volte contraddittorio e spesso poco comprensibile. Lucia e Maria (Paola Cortellesi e Micaela Ramazzotti) sono quello che si può definire amiche per la pelle. Quarantenni, entrambe con un matrimonio fallito alla spalle, si relazionano in maniera diversa con gli uomini: la prima rifiutando qualsiasi contatto che possa avere implicazioni sessuali, la seconda, al contrario, si concede molto facilmente, un po’ per divertimento, un po’ per paura della solitudine. Queste divergenze di idee fanno scaturire tra le due amiche continui battibecchi che però non sembrano scalfire minimamente l’affetto e la stima esistenti tra di loro, anzi rappresentano un legante irrinunciabile che tiene le due donne in continuo contatto.
L’improvvisa, casuale comparsa di Luca (Eduardo Valdarnini), giovane studente non ancora ventenne, creerà una profonda crisi nella vita delle due donne le quali, trovandoselo nel letto, saranno gioco forza costrette a guardare meglio dentro loro stesse per scoprire un mondo affettivo sinora sconosciuto.
Il film è una simpatica commedia che si lascia vedere con leggerezza anche per la frizzante sceneggiatura curata, oltre che dalla Comencini, dalla stessa Cortellesi insieme a Giulia Calenda. La regista, che negli ultimi anni si è impegnata in altre iniziative sul ruolo delle donne nella società, con questo film ritrova il pretesto per sottolineare il loro costante impegno per il riconoscimento e la salvaguardia della propria dignità. Al pubblico, sia pur sottovoce, si suggerisce pertanto una profonda riflessione sul significato del rapporto uomo/donna e sulla necessità di abbattere ogni stereotipo preconfezionato all’interno di esso. Lode alle due protagoniste femminili, le quali sia pur con un approccio recitativo diverso, hanno saputo creare quel giusto contrappunto perfettamente funzionale alla narrazione. Un bravo meritato all’esordiente Eduardo che si è mosso in maniera naturale, rivelando un buon talento interpretativo ed un’ottima presenza scenica.
data di pubblicazione:12/10/2016
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da Antonio Iraci | Ott 7, 2016
1907, quartiere parigino di Montparnasse. Jules, austriaco (Oskar Werner) e Jim, francese (Henri Serre) sono due amici che vivono di arte, poesia e di belle ragazze che si scambiano fino a quando non conoscono Catherine (Jeanne Moreau) di cui entrambi si innamorano perdutamente. La ragazza, pur sensibile alla corte dei due giovani, alla fine si sposerà con Jules e insieme a lui si trasferirà in Austria dove avrà una figlia, mentre le vicende della prima guerra mondiale allontaneranno di fatto Jim dai due amici. Passato il tempo, Jim decide finalmente di andare a trovare la coppia e sin dal suo arrivo constata che il matrimonio tra Jules e Catherine è in crisi e quindi potrà finalmente dichiarare i propri sentimenti d’amore che da sempre aveva represso, trovando persino l’approvazione dell’amico Jules. Il ménage à trois che si verrà a creare rinsalderà l’amicizia tra i giovani, mentre il rapporto tra Jim e Catherine avrà breve durata per le difficoltà incontrate nel tentativo di avere anche loro un figlio. Come chiaramente recitato nella canzone, che fa da colonna sonora, i tre amici si incontrano, si allontanano, si perdono, si ritrovano per l’ultima volta a Parigi, dove la loro storia si concluderà per iniziativa della donna, sempre insoddisfatta dell’amore e della vita in generale. Tratto dal romanzo di Henri-Pierre Roché, il film fu considerato molto scandaloso in quegli anni proprio per l’argomento trattato ed in Italia ci furono molte resistenze da parte della censura cinematografica che, oltre ovviamente a vietarlo ai minori di 18 anni, pensò seriamente di vietarne la distribuzione nelle sale. Jeanne Moreau, all’apice del successo, impersonava una donna spregiudicata, capace di affrontare senza alcuna reticenza morale qualsiasi situazione amorosa, indenne da ogni coinvolgimento emotivo ed affettivo. La Francia ci suggerisce questa loro ricetta tipica: zuppa di cipolle gratinata.
INGREDIENTI: 750 grammi di cipolle bianche – 70 grammi di burro – 25 grammi di farina bianca “00” – 1 litro di brodo vegetale – 6 fette di pane casereccio – 200 grammi di fontina o gruviera – 100 grammi di parmigiano grattugiato – sale e pepe qb.
PROCEDIMENTO: Fare imbiondire le cipolle tagliate a fettine sottili in una pentola insieme a 50 grammi di burro, mescolando di tanto in tanto. Dopo che le cipolle avranno preso colore, aggiungere la farina e mescolare, quindi unire il brodo già caldo e fare cuocere per circa 25 minuti. Tostare le fette di pane e ricoprire il fondo di sei ciotole individuali da forno ognuna con una fetta di pane, quindi aggiungere un mestolo di zuppa di cipolle ed il formaggio tagliato a fettine sottili. Infine aggiungere sulla superficie il parmigiano e un fiocco di burro. Fare gratinare sotto il grill del forno già caldo fino a quando si sarà formata una crosticina dorata. Servire la zuppa ben calda.
da Antonio Iraci | Ott 5, 2016
(Teatro Vascello – Roma, 4/7 ottobre 2016)
Daniele Salvo, regista ed attore emiliano diplomato al “Teatro Stabile di Torino” e allievo di Luca Ronconi, con il quale ha collaborato per diversi anni, dopo il successo ottenuto con Dionysus, tratto dalle Baccanti di Euripide, e Pilade, da un testo di Pier Paolo Pasolini, si ripresenta al Teatro Vascello con Il Funambolo, un lavoro che Jean Genet scrisse per il suo amante Abdallah, che lavorava in un circo come acrobata. I due si erano incontrati nel 1957 e ben presto Genet aveva convinto il suo compagno a dedicarsi essenzialmente al funambolismo, attività suprema nella complessa arte circense, dove lui stesso avrebbe potuto trovare la pace interiore nella solitudine che è propria di quel genere di artisti. In effetti il funambolo, se è pur vero che si esibisce normalmente di fronte ad un pubblico, in realtà esercita da solo una continua prova di forza contro la corda tesa, attua una sfida verso qualcosa che rimane sospeso nel nulla, avvia inconsapevolmente una danza macabra con la morte per esaltarne le virtù a scapito delle meschinità terrene.
Non stupisce l’intimità e la profondità del testo proposto dal momento che Genet è sicuramente tra i più controversi scrittori e drammaturghi francesi del novecento, soprattutto per i suoi romanzi, caratterizzati da personaggi ambigui e violenti, e dove l’erotismo, essenzialmente a sfondo omosessuale, sembra trasudare in ogni atto narrato. Il regista accoglie lo spettatore, prima dell’inizio dell’azione scenica, accompagnandolo immediatamente in un circo dove le immagini e i suoni ci riportano ai lustri di una belle époque parigina. L’introduzione all’opera vera e propria viene affidata a due danzatori (Yari Molinari e Giovanni Scura) che con la plasticità e sinuosità dei loro corpi danno risalto all’ingresso dell’acrobata Abdallah (Giuseppe Zeno) e dello stesso Genet magistralmente interpretato da Andrea Giordana. La fune sullo sfondo è il leitmotiv dell’intera narrazione e sembra rimanere immobile contro ogni fenomeno esterno, sia che si tratti di acqua o di fuoco, poco importa.
Rimane il fulcro verso cui è diretta l’attenzione di Abdallah durante tutto lo spettacolo e che lo spingerà infine al compimento dell’azione estrema, per lasciarsi andare tra le braccia della morte, rassicurante e materna. Molto convincente la recitazione degli attori, già ben noti al folto pubblico in sala, e sicuramente di grande effetto le musiche di Marco Podda che hanno accompagnato la splendida voce dal vivo di Melania Giglio. Estremamente curate le scene di Fabiana di Marco e i costumi di Daniele Gelsi che hanno contribuito a creare una atmosfera visionaria e nello stesso tempo satura di quel pesante erotismo che caratterizza l’opera di Genet.
Soddisfatto il pubblico in sala che ha a lungo applaudito confermando la buona riuscita dello spettacolo che, se pur basato su uno scritto di non facile lettura, la indiscussa professionalità di Daniele Salvo ha reso coinvolgente e appassionante nello stesso tempo.
data di pubblicazione:05/10/2016
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da Antonio Iraci | Ott 5, 2016
Due giovani diciassettenni, partendo da diversi presupposti, si scontrano in un perenne conflitto che, sotto un apparente odio sociale, nasconde invece un affetto molto profondo, difficile da esternare e che finirà con il turbare l’identità di entrambi.
In concorso all’ultima edizione della Berlinale e finalmente presentato nelle sale italiane, il film di Téchiné ci porta sul grande schermo le turbolenze di due adolescenti, Damien e il magrebino Thomas, compagni di classe, che si odiano a morte cercando ogni minimo pretesto per prendersi seriamente a pugni. Per una serie di circostanze fortuite, complice la madre di Damien (Sandrine Kiberlain), medico nel paesino dove è ambientata la storia sulle suggestive montagne francesi, tra i due ragazzi si profila inaspettatamente una schiarita che li porterà presto ad affrontare insieme i turbamenti affettivi ed i disagi tipici dell’età. I due protagonisti finiranno infatti con il seppellire l’ascia di guerra trasformando il loro rapporto in qualcosa di più profondo nella ricerca di una propria sia pur confusa identità sessuale, partendo da posizioni diametralmente opposte. Il regista, che già in passato aveva affrontato con altri film tematiche simili, si addentra ancora una volta nel mondo caotico degli adolescenti, caratterizzato da atteggiamenti spesso contradditori ed aggressivi, alla ricerca di un qualcosa che quasi sempre risulta poco definito. Basandosi sulla convincente sceneggiatura di Celine Sciamma, il film non risulta per niente melodrammatico ed i dialoghi, molto naturali, conferiscono alla pellicola un deciso tocco di credibilità. Convincente la performance dei due interpreti Kacey Mottet Klein (Damien) e Corentin Fila (Thomas), che hanno saputo dare una giusta spontaneità al racconto senza farlo scivolare in una inutile retorica, ma portando invece il tutto in un contesto di assoluta normalità, quasi a voler abbattere ogni residuo pregiudizio verso una presunta diversità.
data di pubblicazione:05/10/2016
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da Antonio Iraci | Set 24, 2016
Considerato da molti il capolavoro dei fratelli Taviani, questo film si annovera tra i cento film italiani da salvare ed è sicuramente un ritorno al classico neorealismo che ha reso il cinema italiano famoso nel mondo. La storia è tratta dall’omonimo romanzo autobiografico di Gavino Ledda ed è ambientata nella Sardegna dei pastori negli anni quaranta. La vicenda prende avvio dall’irruzione del pastore Efisio (Omero Antonutti) nella scuola elementare dove si trova il figlio Gavino (Fabrizio Forte) per costringere il bambino, contro la sua volontà, ad abbandonare l’istruzione per diventare pastore ed aiutare così la famiglia nel proprio sostentamento. Il giovane vivrà il primi vent’anni della sua vita in assoluta solitudine, circondato solo dalle sue pecore, lontano da qualsiasi forma di civiltà e soprattutto privato della compagnia dei suoi coetanei. Dopo una breve esperienza di vita in Germania, Gavino, divenuto oramai uomo, (Saverio Marconi) viene reclutato nell’esercito, circostanza questa che gli permetterà di staccarsi definitivamente dal padre con il quale aveva fino a quel momento vissuto un rapporto di totale sottomissione. Aiutato da un commilitone, il giovane potrà riprendere gli studi e conseguire infine anche la laurea. Il film, prodotto da Raidue, fu richiesto e presentato al Festival di Cannes nel 1977, in quell’anno presieduto dal regista Roberto Rossellini che dovette molto lottare con gli altri membri della giuria per fargli assegnare la Palma d’Oro. Fu presentato successivamente al Festival di Berlino, dove ottenne il Grand Prix, e l’anno successivo fu premiato con il David di Donatello e con due Nastri d’Argento, uno per la miglior regia ed uno a Saverio Marconi quale miglior attore esordiente. La miseria della vita dei pastori sardi, in quel preciso periodo storico, ci suggerisce questa ricetta molto povera ma di sicuro impatto: polpette rosse di pane.
INGREDIENTI: 150 grammi di pane raffermo – 1 uovo – 50 grammi di pecorino grattugiato – uno spicchio d’aglio – mezza cipolla – 200 grammi di salsa di pomodoro – 1 mazzetto di prezzemolo – olio di oliva extravergine – latte – sale e pepe qb.
PROCEDIMENTO: ammollare la mollica del pane nel latte, strizzarla bene e versarla in una ciotola. Aggiungere il pecorino grattugiato, l’uovo, l’aglio ed il prezzemolo tritati finemente, un poco di sale e pepe. Ottenuto un composto omogeneo, modellare con le mani le polpettine della dimensione di una noce e poi friggerle in olio fino a farle dorare bene. Intanto preparare una salsa di pomodoro con un soffritto di cipolla, fare cuocere per alcuni minuti e poi aggiungere le polpettine bel scolate. Cuocere ancora per una ventina di minuti e servirle calde.
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