da Antonio Iraci | Feb 16, 2017
(Berlino, 9/19 Febbraio 2017)
Questa ottava giornata della Berlinale prevedeva solo due film in concorso nella selezione ufficiale. Il primo On the Beach at night Alone, del regista sudcoreano Hong Sangsoo, narra della giovane attrice Younghee che, in crisi con il suo uomo, intraprende un viaggio ad Amburgo per riflettere sul suo futuro sia sentimentale che professionale. Tornata nella Corea del Sud, si rifugia in una piccola città sulla costa dove incontra i suoi vecchi amici con i quali torna ad intrattenersi e a bere, discutendo in maniera a volte provocatoria sul significato dell’amore. Al di là delle belle inquadrature, firmate da un regista che ha alle spalle un curriculum professionale di tutto rispetto, il film mostra ricorrenti cadute di tono con dialoghi pretenziosi al limite della pedanteria. Tra uno sbadiglio e l’altro il pubblico non è sembrato molto entusiasta di apprezzare a pieno la pellicola, peraltro infastidito dall’interpretazione dell’attrice protagonista Kim Minhee che si lasciava andare a manifestazioni di puro isterismo, non sempre comprensibili.
Molto più impegnativo e decisamente più apprezzabile, il secondo film in programma Joaquim, del regista brasiliano Marcelo Gomes. Ambientato nel Brasile del diciottesimo secolo quando il paese era ancora sotto il dominio della corona portoghese, il film è un misto tra storia e finzione. Narra dell’eroe nazionale brasiliano Joaquim José da Silva Xavier, meglio conosciuto come Tiradentes, il quale si impegnò attivamente nella caccia dei contrabbandieri di oro. A contatto con una crudele realtà, Tiradentes si troverà a barcamenarsi tra ufficiali corrotti, indios, meticci e schiavi africani, cercando di raggiungere un compromesso che possa rendere più sopportabile una vita così dura. Impeccabile l’interpretazione dell’attore Julio Machado nelle vesti di Joaquim, che riesce ad incarnare perfettamente la figura di un uomo considerato in Brasile una figura veramente leggendaria. La pellicola potrebbe in effetti rientrare tra la rosa dei potenziali vincitori di questa edizione della Berlinale, considerando che sino a questo momento, soprattutto tra le pellicole in concorso, poche sono particolarmente degne di rilievo.
data di pubblicazione:16/02/2017
da Antonio Iraci | Feb 15, 2017
(Berlino, 9/19 Febbraio 2017)
Apre la giornata di oggi il film in concorso Colo della regista portoghese Teresa Villaverde, ritratto dettagliato della famiglia di Marta, una adolescente che come tutti i giovani della sua età preferisce il silenzio e la riservatezza, rifiutando ogni interferenza da parte dei genitori. La famiglia, pur vivendo in una zona residenziale, soffre tuttavia di una profonda crisi economica: il padre è da tempo disoccupato e la madre è costretta ad effettuare doppi turni lavorativi per sopperire a questa carenza. Di fronte all’impossibilità di trovare una via d’uscita ai problemi che oramai investono la sfera della pura sussistenza, i tre decidono di intraprendere un cammino, ognuno per sé, alla ricerca di una tranquillità interiore sino a quel momento irraggiungibile. Il film, seppur inevitabilmente lento, con dialoghi ridotti all’essenziale, si lascia seguire bene senza annoiare, con apprezzabili prolungati piani sequenza in cui la macchina da presa sembra fare un passo indietro, indugiando proprio con l’intento di catturare l’intera situazione, restituendola con i suoi tempi reali.
Secondo film in concorso della giornata è Return to Montauk del regista tedesco Volker Schlondorff, che tratta della storia di uno scrittore tedesco, Max Zorn interpretato da Stellan Skarsgard, che arriva a New York per presentare il suo nuovo libro. Ad attenderlo ci sarà la moglie Clara (Susanne Wolff) che ha preparato, insieme all’editore, la pubblicazione del romanzo il cui soggetto parla di un grande amore purtroppo naufragato. La protagonista di riferimento è la bella Rebecca (Nina Hoss), un tempo amante dello scrittore e ora diventata una importante legale nella City: i due si incontrano, passano un week end fuori città in una località dove erano soliti andare, ricercano un qualcosa che purtroppo risulta oramai sepolto da dissapori e fragilità emotive di entrambi. La sceneggiatura non brilla per originalità e, seppur gli interpreti siano moto bravi e convincenti, il film non sembra decollare né tantomeno coinvolgere emotivamente il pubblico in sala.
El Bar del regista spagnolo Alex de la Iglesia è il terzo film della giornata, questa volta fuori concorso. Alcune persone si trovano casualmente in un locale al centro di Madrid per consumare la prima colazione quando improvvisamente avviene una sparatoria in cui restano uccise due persone. A questo punto, in maniera quasi illogica, tutti coloro che si trovano all’interno del locale dovranno lottare, l’uno contro l’altra, per assicurarsi la propria sopravvivenza. Con un ritmo tutto suo il regista focalizza la propria attenzione sui singoli personaggi, molto diversi tra di loro, quasi a volerne scrutare nell’intimo i caratteri, e come reagiscono nel bel mezzo di una situazione di estremo pericolo, indagando la loro vera natura. Il film raggiunge momenti di pura irrazionalità che lo rendono simpaticamente gradevole e che ricordano, per molti versi, l’estro di Pedro Almodòvar che, neanche a dirlo, fu il produttore del primo film di Alex de la Iglesia Acciòn Mutante, pellicola del 1993, un misto strano di noir e fantascienza.
data di pubblicazione:15/02/2017
da Antonio Iraci | Feb 14, 2017
(Berlino, 9/19 Febbraio 2017)
Salutato quasi con una standing ovation, Call me by your Name, unico film italiano presentato in questa traballante edizione della Berlinale nella Sezione Panorama, ha polarizzato a buon ragione l’attenzione del pubblico.
Il film, firmato dal palermitano doc Luca Guadagnino, che ne ha curato la sceneggiatura insieme a James Ivory e Walter Fasano, si basa sull’omonimo romanzo di André Aciman.
L’azione si svolge in una non meglio identificata campagna del Nord d’Italia, dove il professore universitario d’arte antica Perlman e la sua famiglia trascorrono serenamente l’estate. Un giorno arriva il ventiquattrenne americano Oliver che verrà ospitato nella villa affinché possa completare i suoi studi di dottorato: bello ed intelligente, in poco tempo conquisterà l’attenzione di tutta la famiglia, inclusa quella del diciassettenne figlio del professore, Elio. Questi passa il tempo tra la lettura e la musica, dilettandosi a suonare al piano brani classici con una notevole professionalità; ma, come tutti i ragazzi della sua età, ama anche trascorre le serate nei bar a bere e a ballare. La frequentazione quotidiana tra i due giovani si trasforma pian piano in una relazione di cui, come lo stesso Oliver afferma, non c’è necessità di parlarne. La potenza di questo film sta proprio nell’aver utilizzato, attraverso delle immagini definite idilliache dallo stesso regista, un linguaggio espressivo semplice e autentico dove non occorrono parole per definire un sentimento di fatto indefinibile. Le scene sono girate in un modo da far sembrare tutto molto naturale e la fotografia ci fa veramente percepire la gradevolezza del paesaggio estivo in cui è ambientata la storia, ricorrendo a volte a delle dissolvenze che con discreto pudore sottraggono lo sguardo dalle immagini più intime. In sottofondo abbiamo un’Italia degli inizi anni ottanta dove, nonostante le turbolenti questioni politiche, imperava ancora l’idea di guardare al futuro con una giusta dose di ottimismo. Il film non è una love story tra due ragazzi, perché sarebbe troppo riduttivo definirla tale: sin dalle prime scene si viene catturati dalla bellezza dei luoghi in cui è ambientato il film, e dall’interpretazione assolutamente naturale dei due protagonisti Timothée Chalamet (Elio) e Armie Hammer (Oliver), come se la narrazione trattata fosse vita vissuta.
Dopo che lo scorso anno l’Italia ottenne l’Orso d’oro con Fuocoammare di Rosi, risultava alquanto strano che questa nuova edizione della Berlinale non avesse presentato alcuna pellicola made in Italy. Call me by your Name è un film che, in qualche modo, riesce pienamente a riscattare questa inspiegabile assenza, certamente non dovuta alla mancanza di talenti italiani nello scenario cinematografico internazionale.
In selezione ufficiale in questa sesta giornata sono stati presentati altri tre film: The Other Side of the Hope del regista finlandese Aki Kaurismaki, Beuys del tedesco Andres Veiel e Sage Femme del francese Martin Provost, in cui brillava come interprete principale una radiosa ed affascinante Catherine Deneuve.
data di pubblicazione:14/02/2017
da Antonio Iraci | Feb 13, 2017
(Berlino, 9/19 Febbraio 2017)
Bright Nights del regista tedesco Thomas Arslan apre non bene questa quinta giornata della Berlinale. In occasione della morte del padre, che viveva in un posto remoto della Norvegia, Michael parte da Berlino con il figlio quattordicenne Luis che incontra sporadicamente da quando si è separato dalla moglie. Dopo il funerale, i due decidono di passare qualche giorno insieme accampandosi con la tenda tra i boschi e i laghi norvegesi. Per Michael e Luis, che durante il viaggio a stento si rivolgono la parola, potrebbe essere un pretesto per ritrovarsi e far nascere una affettività mai esistita. Il film è avaro di contenuti e la sceneggiatura procede con una lentezza esasperante, per poi non approdare a nulla evidenziando una certa inconsistenza.
Di ben altra pasta il film The Party della regista inglese Sally Potter che porta sul grande schermo una piéce teatrale in bianco e nero molto divertente e per nulla banale, un’amara ed allusiva riflessione sulla politica di oggi e sulle vuote prospettive che ci vengono proposte. Janet, appena nominata ministro di un governo ombra, insieme al marito Bill decidono di festeggiare l’evento con gli amici più intimi, invitandoli a casa loro. Una inaspettata dichiarazione di Bill sconvolgerà la variegata brigata che si troverà ad affrontare un pericoloso gioco al massacro dove ognuno risulterà vittima e carnefice allo stesso tempo. Il cast è di prim’ordine: Patricia Clarkson, Bruno Ganz, Cherry Jones, Emily Mortimer, Cillian Murphy, Kristin Scott Thomas e Timothy Spall. Il film è stato molto apprezzato dal pubblico in sala, piacevolmente intrattenuto dai dialoghi molto taglienti che hanno fatto sorridere, mitigando così la reale tragedia in gestazione. ù
Ultimo della giornata, sempre tra quelli in concorso ufficiale, Mr. Long del giapponese Sabu. Il film è un alternarsi di violenza da vero e proprio action movie e momenti di serenità domestica che si alternano a sentimenti di puro amore. Long, spietato killer in Taiwan, si trova braccato da pericolosi malavitosi ed è costretto a nascondersi in Giappone dove sopravvive preparando deliziose zuppe per il vicinato e per qualche casuale cliente. Il protagonista, aiutato dal piccolo Jun, cerca di raccogliere i soldi necessari per ritornare al suo paese e riprendere la vita spregiudicata di sempre. La storia si lascia seguire anche se la sceneggiatura è piuttosto prevedibile: qualche sforbiciata qua e là avrebbe sicuramente giovato all’intera narrazione che all’inizio prometteva molto bene in quanto sembrava discostarsi dai soliti cliché giapponesi, ma nel complesso poi è sembrata piuttosto deludente.
data di pubblicazione:13/02/2017
da Antonio Iraci | Feb 12, 2017
(Berlino, 9/19 Febbraio 2017)
Questa quarta giornata ha finalmente aggiustato il tiro, facendo quasi dimenticare quel leggero sconforto che aleggiava tra i rappresentanti della stampa internazionale qui presenti per la Berlinale. I tre film proposti, molto diversi per tipologia e ambientazione, hanno infatti convinto il pubblico in sala che si è persino lasciato andare a inaspettati prolungati applausi. Il primo film è stato Pokot, della regista polacca Agnieszka Holland, un thriller psico-ecologista ambientato tra i boschi della Polonia dove vive da sola Duszejko (Agnieszka Mandat). Oramai in pensione, la donna mostra un’esagerata passione per gli animali che la porta a lottare in maniera aggressiva contro la società locale, molto propensa invece alla caccia indiscriminata. La bellezza della natura incontaminata dove si muovono liberamente i cervi, i cinghiali ed ogni altro tipo di animale selvaggio contrasta con la mentalità corrotta della gente, che sembra addirittura coalizzata contro di lei.
Di ben altro spessore il film fuori concorso Viceroy’s House di Gurinder Chadha, regista nata in Kenia ma di origini indiane. Il film vuole essere un devoto omaggio al paese dei suoi genitori che vissero in prima persona le vicende del 1947 che segnarono la fine della colonizzazione britannica in India e la creazione del Pakistan, un nuovo stato creato allo scopo di sedare le cruenti lotte interreligiose tra Indi e Mussulmani. Il ruolo del vicerè britannico, pronipote della regina Vittoria, è affidato a Hugh Bonneville, attore inglese molto conosciuto che ha raggiunto la notorietà grazie a Notting Hill, mentre l’americana Gillian Anderson, nota per aver partecipato alla serie televisiva X-Files, impersona sua moglie. La pellicola vanta un cast eccezionale ed una incredibile ambientazione all’interno del palazzo imperiale di Nuova Delhi entro le cui mura, oltre ai fatti storici trattati, c’è persino spazio per una love story molto sofferta tra due giovani di diversa appartenenza religiosa. Film molto interessante dunque per molteplici aspetti, con una produzione di tutto rispetto ed una regia veramente di prim’ordine: non stupirebbe un riconoscimento da parte della giuria.
Il terzo film in programma Una Mujer Fantastica, del regista cileno Sebastian Lelio, ci proietta su un pianeta completamente diverso: la realtà dei transgender. Marina e Orlando hanno una intensa storia d’amore che viene troncata dalla tragica, quanto mai inaspettata, morte dell’uomo. Da questo momento Marina deve subire tutta una serie di soprusi da parte della famiglia di Orlando a partire dalla ex moglie che gli impedisce addirittura di partecipare ai suoi funerali. Sospettata e umiliata persino dalla polizia, la ragazza dovrà a proprie spese imparare a difendersi per sopravvivere e costruirsi una nuova vita. Molto intensa Daniela Vega nel ruolo della protagonista, che è riuscita a portare il pubblico in sala dalla sua parte, instillando la voglia di lottare per la difesa dei suoi diritti civili e della sua libertà sessuale. Giornata quindi intensa e piena di sorprese che ci predispone bene nel seguire con attenzione i rimanenti (ancora numerosi) film in selezione ufficiale.
data di pubblicazione:12/02/2017
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