da Antonio Iraci | Apr 2, 2017
(Teatro India – Roma, 29 marzo/ 7 aprile 2017)
Il Laboratorio Teatrale Integrato Piero Gabrielli, con i suoi giovani attori, presenta in questi giorni al Teatro India una singolare messa in scena del celebre romanzo di Collodi. Il progetto è stato organizzato e promosso dal Teatro di Roma con il sostegno dell’Assessorato alla Persona, Scuola e Comunità Solidale di Roma Capitale in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio. Ma Perché ci viene riproposta una ennesima rivisitazione, sia pur fedele al testo narrativo originario, della celebre favola conosciuta da tutti e tradotta in ben 240 lingue sparse per il mondo? Perché la storia del burattino costituisce oramai un classico della letteratura italiana non solo tra i ragazzi, ma anche tra gli adulti, soprattutto se ne imparano a ricavare utili insegnamenti di vita e comportamentali in generale. Pinocchio menzognero, con un naso che misteriosamente si allunga proporzionalmente all’intensità della bugia che dice, ci fa in sostanza riflettere sulla natura umana, in perenne contrasto tra ciò che si è e ciò che invece si vuole essere: le due cose infatti raramente coincidono. Un burattino di legno che aspira a diventare meno “diverso”, un bambino, come tutti gli altri, in carne ed ossa, ubbidiente ai genitori e desideroso di apprendere a leggere, scrivere e far di conto. Ma per arrivare a questo dovrà forzare la propria spontanea inclinazione perché, diciamolo pure, Pinocchio è un ribelle anticonformista che mal si piega alle regole sociali studiate dai grandi, frutto di personali convenienze e di comportamenti deviati che nulla hanno a che fare con a sua indole spensierata. Lui è un buono e buoni sono i suoi propositi mentre si trova invischiato in una realtà, con i suoi discutibili valori, intrisa di tornaconto personale e di falsa dabbenaggine. Ecco che la sua storia non cessa mai di essere attuale, qualunque chiave di lettura se ne voglia dare, e diventa pertanto un patrimonio universale per grandi e piccoli in tutte le diverse culture del mondo. Bravissimi tutti gli attori, nei costumi curati da Tiziano Iuculano e accompagnati dalla musica di Roberto Gori, che si sono mossi alla perfezione tra improvvisi e azzeccati cambi di scena, quest’ultima curata da Paolo Ferrari. Sicuramente da elogiare l’iniziativa del Teatro di Roma, nell’ambito della rassegna Il teatro fa Grande, che con questo allestimento ha rafforzato il proprio orientamento a promuovere una fattiva integrazione tra giovani attori, con e senza disabilità, qui insieme al lavoro per occupare uno spazio/palcoscenico dove ognuno possa esprimere le proprie diversità, da esternare liberamente e comunque sempre in sintonia con gli altri.
data di pubblicazione:01/04/2017
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Mar 29, 2017
Rita Mancuso (Veronica D’Agostino), nel giorno della sua prima comunione, assiste all’omicidio del padre Don Michele (Marcello Mazzarella) noto e rispettato boss mafioso di Palermo. A diciassette anni, dopo l’uccisione del fratello Carmelo (Carmelo Galati) sempre da parte della mafia, la ragazza decide di rivelare alla polizia prove concrete che possano portare all’arresto degli assassini. Da questo momento Rita sarà allontanata dalla sua città e dovrà vivere a Roma in assoluta segretezza e con una falsa identità, sotto sorveglianza per evitare la vendetta dei criminali mafiosi da lei accusati. Dopo l’ennesimo attentato che colpirà a morte il giudice Borselli (Gérard Jugnot), che sin dall’inizio aveva seguito le indagini sui due omicidi, Rita entra in uno stato di scoraggiamento e delusione nello stesso tempo e dopo aver fatto arrivare a Roma il suo fidanzato, contro le precise disposizioni della questura, al colmo di una crisi di identità si suiciderà davanti ai suoi occhi gettandosi dal balcone. Non è la prima volta che il regista palermitano Marco Amenta porta sul grande schermo storie vere che hanno a che fare con la spietata violenza mafiosa. Il film dedicato alla memoria di Rita Atria, anche lei costretta a vivere sotto protezione in un’altra città, fu accolto bene sia dalla critica che dal pubblico che apprezzò il coraggio del regista nel raccontare con crudezza una storia dove viene messa in luce la dinamica mafiosa ed il sistema di omertà che vi ruota attorno. Da questo se ne trae un insegnamento la cui missione è affidata alla protagonista che reagisce con i propri mezzi per affermare la verità in un contesto dove tutti gli elementi ne rivendicano invece l’annullamento. Il film, tipicamente di stampo siciliano, si abbina perfettamente a questa ricetta di tonno allo sfincione, pietanza dal gusto deciso ma sicuramente d’effetto in tavola.
INGREDIENTI: 600 grammi di tonno fresco a fette – 600 grammi di cipolle bianche – 250 grammi di pomodori pelati o a cubetti – qualche filetto d’acciuga sott’olio – origano, sale, pepe e olio d’oliva q.b..
PROCEDIMENTO: Versare in una padella abbondante olio d’oliva ed a fuoco basso fare sciogliere qualche filetto d’acciuga. Aggiungere quindi il pomodoro a cubetti o pelati e lasciare andare per circa 20 minuti. Tagliare le cipolle e lessarle in acqua salata per circa 20 minuti, scolarle e versarle nella salsa di pomodoro insieme ad una manciata di origano, pepe e sale. Sistemare in una teglia ben oleata le fette di tonno, coprirle con la salsa ottenuta ed infornare per circa 20 minuti ad una temperatura di 180 gradi. Servire il tonno tiepido accompagnando la pietanza con un’ insalata fresca di stagione.
da Antonio Iraci | Mar 28, 2017
Virginia, Stati Uniti d’America, fine anni ’50. Richard Loving, muratore di professione ed appassionato di auto nel tempo libero, è un tipo tranquillo ed accondiscendente, con un carattere molto semplice che gli consente di ben inserirsi nella comunità di colore della sua cittadina. L’uomo è innamorato di Mildred: quando lei un giorno gli comunica che aspetta un bambino, decide di sposarla. Ma il loro è un matrimonio interrazziale e, senza esserne pienamente coscienti, i due commettono un crimine che nello stato della Virginia, come in molti altri Stati dell’Unione, è severamente punito dalla legge. Condannati dal giudice, la coppia affronterà con serenità, ma anche con determinazione, una battaglia legale che li porterà, dopo molti anni, davanti al giudizio della Corte Suprema per il riconoscimento dei propri diritti civili e l’abolizione di qualsiasi forma di discriminazione.
Jeff Nichols, che nel 2012 a Cannes si fece notare con il suo ben riuscito Mud, affronta con questo suo ultimo lungometraggio un tema delicato che per molti aspetti risulta ancora attuale anche se potrebbe apparire banale o prevedibile. In Loving ilregista ci porta per mano in questa splendida storia d’amore, senza troppi clamori o colpi di scena, dove il tema della discriminazione razziale viene trattato con una misurata delicatezza e senza quella inevitabile retorica che ha spesso caratterizzato i film dello stesso genere e contenuto. Alla base di tutto c’è un profondo sentimento d’amore che unisce Richard (Joel Edgerton) e Mildred (Ruth Negga) e sono proprio i loro sguardi sinceri e indifesi che riescono a conquistare lo spettatore e a renderlo compartecipe delle loro ansie e preoccupazioni. Il “crimine” di cui vengono accusati e giudicati è forse più grande di quello che potessero entrambi immaginare, e la condanna è qualcosa che sconvolgerà le loro vite e li strapperà dal contesto sociale in cui da sempre erano vissuti, un esilio che li sradicherà violentemente dalle loro radici e dai loro affetti più cari. Una punizione ingiusta sin dalle premesse, che i due accettano con matura consapevolezza, perché come semplicemente afferma Mildred: non è importante perdere le battaglie, ma quello che più conta è vincere la guerra.
La semplicità del linguaggio espressivo adottato riesce a fare di questo film un piccolo capolavoro, evitando di far ricadere il tutto in qualcosa di scontato, come uno dei tanti melò sentimentali.
Buona la location che accompagna lo spirito del racconto, dove la luminosità delle immense distese agricole americane rappresenta in pieno la profondità interiore dei due protagonisti e che, insieme alla convincente prova dell’intero cast oltre che dei due protagonisti, risulta determinante alla buona riuscita di questo film di cui se ne consiglia la visione.
data di pubblicazione:28/03/2017
Scopri con un click il nostro voto:
da Antonio Iraci | Feb 18, 2017
Questa edizione della Berlinale è stata caratterizzata da film dove i dialoghi erano ridotti all’essenziale, quasi a voler confermare quanto lo scrittore francese Michel Leiris ebbe a dire: “una mostruosa aberrazione convince l’umanità che il parlare è utile per semplificare le reciproche relazioni”. In effetti l’assegnazione del prestigioso Orso d’Oro al miglior film sembra aderire perfettamente a questa tesi, premiando il film On Body and Soul della regista ungherese Ildikò Enyedi dove la protagonista Maria (Alexandra Borbéli) dà pochissimo spazio alla parola per esprimere il suo contorto universo interiore. Il film ha convinto la giuria sicuramente per lo studio attento, da parte della regista, nell’analizzare due personalità: quella di Maria e quella di Endre (Géza Morcsanyi), che pur mostrandosi diverse tra di loro, riescono alla fine a trovare un linguaggio espressivo comune, un codice segreto che possa svelargli l’amore. Al di là dell’accoglienza tiepida da parte del pubblico al momento della sua presentazione in sala, il film sicuramente è degno di attenzione soprattutto per averci fatto capire che di fronte alla difficoltà e paure della vita l’aprire il cuore e i propri sentimenti, ha sicuramente il vantaggio di portarci alla meta prefissata, qualunque essa sia.
Gli altri premi assegnati dalla Giuria Internazionale, presieduta dal cineasta olandese Paul Verhoeven, sono stati:
Orso d’Argento, Gran Premio della Giuria a Félicité di Alain Gomis;
Orso d’Argento per il film che apre Nuove Prospettive al film Pokot della regista polacca Agnieszka Holland;
Orso d’Argento per la Migliore Regia a The Other Side of Hope, del finlandese Aki Kaurismaki;
Orso d’Argento per la Miglior Attrice alla sudcoreana Kim Minhee nel film On the Beach at Night Alone di Hong Sangsoo;
Orso d’Argento per il Miglior Attore a Georg Friedric nel film Bright Nights del tedesco Thomas Arslan;
Orso d’Argento per la Migliore Sceneggiatura a Sebastian Lelio e Gonzalo Maza per il film Una mujer fantastica di Sebastian Lelio;
Orso d’Argento per Miglior Montaggio a Dana Bunescu per il film rumeno Ana, mon amour di Calin Peter Netzer.
Salutata con un caloroso e prolungato applauso la nostra Milena Canonero alla quale è stato assegnato un Orso d’Oro alla carriera per la sua intensa attività di costumista accanto a registi come Stanley Kubrick, Francis Ford Coppola, Sydney Pollack, Roman Polanski e tanti altri ancora di ben nota fama internazionale.
Si è conclusa così questa 67 esima edizione della Berlinale che, nonostante in sottotono rispetto alle edizioni passate, ha comunque fornito interessante materiale alla stampa internazionale del settore. Accreditati-Laboratorio di Impressioni Cinematografiche e Teatrali, ha voluto fare una cronaca giornaliera dei film in Selezione Ufficiale, manifestando come sempre il suo opinabile punto di vista. Ci rivedremo il prossimo anno, esattamente tra il 15 e il 25 febbraio 2018, per una Berlinale che si spera sia più consona alle aspettative, legittime per un Festival Internazionale di questa portata. Auf Wiedersehen da Berlino!
data di pubblicazione:18/02/2017
da Antonio Iraci | Feb 17, 2017
(Berlino, 9/19 Febbraio 2017)
Con la proiezione degli ultimi tre film in selezione ufficiale, si conclude oggi questa maratona berlinese che ha visto impegnato un folto pubblico di giornalisti e cinefili provenienti da tutto il mondo.
Have a nice Day, creato dal cinese Liu Jian che da molti anni si è dedicato solo alla realizzazione di film d’animazione che hanno già ottenuto riconoscimenti in campo internazionale, è il primo film di questo nono giorno. La pellicola ha coinvolto tutti gli spettatori in sala, anche coloro che non sono amanti del genere, proprio per il realismo minuzioso con cui la storia è stata realizzata, tale da far quasi dimenticare che si trattava di cartoons bidimensionali. Un pretesto per gettare lo sguardo sulla Cina, paese in costante evoluzione, dove già emergono più che mai evidenti i segni di un radicato capitalismo.
Secondo film della giornata Ana, mon Amour del regista rumeno Calin Peter Netzer che narra dell’idilliaco rapporto d’amore tra due universitari Toma e Ana, che poi si trasforma in una relazione molto problematica a causa di ricorrenti malesseri della ragazza che soffre di frequenti attacchi di panico. La pellicola è un attento studio psicoanalitico sulla personalità complessa dei due protagonisti e di come il giovane cerchi, con ogni mezzo possibile, di far fronte al disagio psichico della ragazza pur di salvare il loro ménage. I due attori Mircea Postelnicu (Toma) e Diana Cavallioti (Ana) sono perfetti nei loro ruoli e non ci sarebbe da stupirsi se il film, grazie a loro, si aggiudicasse qualche riconoscimento dalla giuria.
Terzo ed ultimo film, fuori concorso, Logan del regista americano James Mangold, storia d’azione mozzafiato con protagonisti una serie di mutanti che, frutto di esperimenti in laboratorio, sono stati concepiti con poteri sovraumani. Esperimento ben riuscito che, al di là della trama in verità poco originale, riesce comunque a catturare il pubblico nell’immancabile lotta tra il bene e il male. Effetti speciali che chiudono in modo spettacolare questa Berlinale: domani l’assegnazione dell’Orso d’oro.
data di pubblicazione:17/02/2017
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