ARTFUTURA – Creature Digitali

ARTFUTURA – Creature Digitali

(Ex Dogana, Via dello Scalo di San Lorenzo – Roma, 28 aprile/10 settembre 2017)

In una città che perde colpi giorno dopo giorno, e che senza interventi di riqualificazione ambientale rischia seriamente di perdere la connotazione di città eterna agli occhi dei milioni di visitatori che la “invadono”, qualcosa finalmente sembra muoversi nel famoso e movimentato quartiere di San Lorenzo.

Assecondando la tendenza moderna di riconquistare spazi precedentemente adibiti a scopi industriali – vedasi il Teatro India e il recupero degli spazi dell’ex stabilimento Mira Lanza nella zona del Gazometro – è nata da poco una idea molto innovativa, ed ambiziosa nello stesso tempo, promossa da MondoMostre, società che si occupa di eventi culturali, e Skira, specializzata in generale nell’organizzazione di mostre.

Il progetto, già in parte avviato e che prevede nel breve cospicui investimenti, consiste nel trasformare la Ex Regia Dogana, vicino all’omonimo scalo merci di San Lorenzo, in un centro polivalente destinato ad accogliere eventi di vario genere che andranno ad impegnare il campo dell’arte, della tecnologia, del cinema, della musica e tanto altro ancora. Lo spazio espositivo, che ha già visto diverse manifestazioni musicali e di moda alternativa firmati da giovani stilisti di tendenza, ha già presentato un denso programma di attività che riguarderà i diversi generi della musica spaziando da quella propriamente classica a quella tecno.

In questo periodo, tra le varie iniziative collaterali, viene allestita una mostra intitolata ArtFutura – Creature Digitali che presenta installazioni di artisti internazionali che si muovono nel campo del digitale, progetto già presentato in circa trenta città sparse per il mondo. I nomi coinvolti sono: Toshio Iwai, Ryota Kuwakubo, Brian Eno, David Byrne, ILM, Pixar, Tomato e Blast Theory oltre ad importanti case di produzione cinematografica come Pixar, Dreamworks e Digital Domain. Questi artisti, ognuno con le proprie peculiarità espressive, partono dall’assioma comune che l’arte contemporanea non può scindersi dall’elemento tecnologico, necessario per stimolare, o meglio riattivare, emozioni e sensazioni in una sorta di empatia con l’ambiente. Attraverso immagini luminose, che sembrano voler scomporre la luce nei suoi elementi primari, il visitatore si trova quasi smarrito in una sorta di esperienza onirica dove proprio la tecnologia ci fornisce materia e forma in movimento come stimolo di una visione propria, tutta proiettata verso un futuro oramai prossimo.

Una esperienza che si consiglia vivamente a chi vuole toccare un qualcosa di intangibile ed entrare in una quarta dimensione tutta da esplorare.

data di pubblicazione: 30/05/2017

 

RITRATTO DI FAMIGLIA CON TEMPESTA di Kore’eda Hirokazu, 2017

RITRATTO DI FAMIGLIA CON TEMPESTA di Kore’eda Hirokazu, 2017

Ryota, pur avendo vinto un importante premio letterario con il suo romanzo d’esordio, si può definire un perdente a 360 gradi. Per la sua incapacità di realizzarsi come uomo maturo e responsabile, ha perso la sua famiglia, è detestato dalla sorella che lo ritiene un fannullone e la madre non si trattiene dal dirgli che ha ereditato i peggiori difetti del padre defunto, quali la menzogna e l’abilità di rubare i risparmi di casa per andare a giocare alle scommesse. A causa di una tempesta che sta per abbattersi sulla città, suo figlio e la sua ex Kyoko sono costretti a pernottare a casa della madre di Ryota: sarà solo allora che l’uomo prenderà finalmente coscienza del proprio amore verso la moglie e verso il piccolo Shingo e, soprattutto, che gli errori del passato non sempre si possono aggiustare ma solo vivendo pienamente il presente si può migliorare il futuro, nella consapevolezza che la vita è qualcosa che si costruisce giorno per giorno.

 Il regista giapponese Kore’eda Hirokazu, dopo il successo ottenuto con il film Father and Son, si cimenta ancora una volta a voler analizzare nel dettaglio la storia di un uomo, oramai alla deriva, che cerca a tutti i costi di costruire un rapporto affettivo verso suo figlio, che la separazione con la moglie gli ha inevitabilmente reso difficile. Ryota (Hiroshi Abe) sembra aver assorbito in pieno le caratteristiche negative di suo padre, egoista e vizioso, essendo anch’esso incapace di prendersi ogni minima responsabilità nell’ambito familiare per vivere solo nel proprio egocentrismo e curare i propri interessi e le proprie passioni. Di fronte al proprio fallimento, che tutti in ogni modo non evitano di ricordargli, l’uomo si trova a render conto, innanzitutto a se stesso, della sua vita e della sua incapacità di diventare un vero uomo lasciandosi alle spalle il bambino che è rimasto dentro di lui e che lo rende incapace di crescere. Ma come inventarsi il ruolo di padre se lui stesso non ne ha mai avuto uno all’altezza della situazione? Ecco che il regista affronta consapevolmente il problema affettivo e di ruolo all’interno della famiglia: un esame minuzioso e lento, per meglio far comprendere allo spettatore la complessità di tali rapporti, in una società, quella giapponese, dove anche i sentimenti più forti e passionali vengono ricomposti per poi manifestarsi sempre quasi in una sorta di sottotono. Anche i dialoghi si dipanano all’interno ristretto dell’appartamento della madre (Kirin Kiki – Le ricette della Signora Toku) sempre nella maniera giusta e con quelle sentenze che sia pur spontanee e casuali sono pregne della millenaria saggezza nipponica. La pioggia che si abbatte sulla città simbolicamente spazzerà tutto quello che non va, di un passato che si vuole recuperare per ritornare sui propri passi, questa volta con una maggiore consapevolezza del proprio ruolo di uomo verso la moglie, e di padre verso il figlio. Passata la notte e con essa la tempesta, i personaggi appaiono più sicuri di sé, convinti però che il ricucito rapporto affettivo non sarà sufficiente a ricomporre quel nucleo familiare a cui dovranno per forza di cose rinunciare. Buona la fotografia e l’ambientazione dell’azione, in una periferia modesta dove però i rapporti interpersonali sono ben protetti e rispettati, il tutto secondo quel tradizionale perbenismo che caratterizza la società giapponese.

data di pubblicazione:30/05/2017


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THE DINNER di Oren Moverman, 2017

THE DINNER di Oren Moverman, 2017

Il noto politico Stan Lohman, in piena corsa per un’importante carica politica, assieme alla moglie decide di invitare a cena, in un esclusivo ristorante di New York, il riluttante fratello Paul e consorte. Tra una portata e l’altra, condite da interminabili contrattempi, vengono affrontati svariati argomenti più o meno futili fino al momento di mettere in tavola il vero motivo di quell’incontro. Le due coppie dovranno infatti decidere sul da farsi di fronte ad un esecrabile crimine di cui sono a conoscenza che, se denunciato alla polizia, comprometterebbe risolutivamente la carriera politica di Stan e il futuro delle due famiglie.

The Dinner, del registra israeliano Oren Moverman che nel 2009 vinse l’Orso d’Argento con il suo film d’esordio alla regia Oltre le Regole – The Messenger, è approdato nelle sale italiane dopo essere stato presentato quest’anno tra i film in concorso della Berlinale, riscontrando peraltro un larghissimo consenso tra il pubblico in sala.

Paul (Steve Coogan) viene quasi costretto dalla moglie Claire (Laura Linney) ad accettare un invito a cena da parte di suo fratello Stan (Richard Gere) e di sua moglie Barbara (Rebecca Hall). Nel ristorante newyorkese di lusso dove le due coppie si incontrano, e dove Stan è molto conosciuto in quanto uomo politico di spicco e favorito alle prossime elezioni per la carica di Governatore, i quattro si troveranno a fronteggiarsi l’un contro l’altro nel prendere una importante decisione che riguarda i rispettivi figli, responsabili di un terribile crimine. Attraverso i differenti atteggiamenti e le diverse argomentazioni di ciascuno di loro, il regista mette in evidenza la differenza tra i due fratelli e soprattutto il loro discordante senso di responsabilità nei confronti della famiglia, accomunati solo dal fatto che il loro stesso futuro potrebbe essere seriamente compromesso. Conseguentemente viene evidenziato in modo molto netto il conflitto etico che caratterizza la vita dell’uomo politico da un lato e quella dell’uomo comune dall’altro nel trovarsi a fronteggiare situazioni in contrasto con le proprie convinzioni morali. Ne risulta una arguta e sardonica critica al mondo borghese dove vengono esaminati i tratti caratteristici di una certa élite che non esita a nascondere palesi misfatti, trincerandosi dietro un finto perbenismo, pur di non intaccare il proprio prestigio e i propri privilegi. Tratto dal romanzo La Cena dello scrittore olandese Herman Koch, pubblicato nel 2009 e diventato immediatamente un best seller mondiale, il film aveva avuto un precedente adattamento cinematografico in Italia, per la regia di Ivano De Matteo, nel famoso film I nostri Ragazzi presentato con successo alla 71.ma Mostra del Cinema di Venezia.

The Dinner è un film interessante e ben costruito che si lascia seguire con attenzione, senza dubbio anche grazie alla splendida interpretazione di un maturo Richard Gere.

data di pubblicazione:30/05/2017


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MODIGLIANI

MODIGLIANI

(Palazzo Ducale – Genova, 16 marzo/16 luglio 2017)

Esattamente dopo un secolo dalla prima esposizione personale di Amedeo Modigliani, il Palazzo Ducale di Genova, nella splendida cornice dell’appartamento del Doge, ci presenta in questi giorni una importante e significativa retrospettiva del notissimo pittore livornese. All’occhio curioso del visitatore la mostra si rivela subito di grande interesse non tanto per il rilevante numero di opere esposte, quanto perché in essa si vogliono evidenziare i tratti più salienti della vita di un artista fragile e sciagurato che morì prematuramente a soli trentacinque anni, lasciando tuttavia dietro di sé un segno profondo tra le avanguardie artistiche che caratterizzarono la Parigi bohémienne del primo Novecento. Il percorso espositivo proposto non ha solo lo scopo di presentarci alcuni suoi celebri dipinti, che caratterizzano lo stile personalissimo proprio dell’artista, quanto di farci comprendere come la sua arte ben si inserisca nell’ambiente artistico-culturale dei quartieri parigini di Montparnasse e di Monmartre, frequentati in quegli anni da pittori e intellettuali provenienti da tutto il mondo. Modigliani, in quel contesto, si distingue comunque per il suo modo di dipingere carico di quella inconfondibile eleganza che ritroviamo specificatamente nei celebri ritratti di donne, figure spesso determinanti nella vita dell’artista, e che si presentano al visitatore con un atteggiamento enigmatico, con uno sguardo intenso, pur caratterizzato da occhi dove le pupille sono assenti, che colpisce per il suo tono profondo e quasi di sfida. Durante la visita si riesce a immaginare di vedere l’imponente figura di Modigliani che si aggira tra i caffè letterari dove lui stesso veniva chiamato Modì, con una strana, ma non casuale, assonanza alla parola “maudit” che in francese significa maledetto, quasi a voler anticipare e sottolineare le avversità esistenziali e affettive che colpiranno il pittore. Nella cerchia degli artisti lui si distinse per la sua bellezza e raffinatezza che, come ebbe a dire il suo caro amico Picasso, erano uniche sulla scena parigina del tempo, così densa di figure interessanti che lo amarono e sostennero sempre, accompagnandolo durante la sua brevissima vita, intensa e sfortunata nello stesso tempo. Questa mostra di Palazzo Ducale ha il merito di farci conoscere un Modigliani quasi inedito, una figura che riesce ad incarnare in sé un misto di genialità e sregolatezza, una sintesi perfetta tra retaggi rinascimentali italiani e la modernità nelle forme delle avanguardie artistiche che caratterizzarono l’arte negli anni antecedenti lo scoppio della prima guerra mondiale. Notevole quindi l’iniziativa della città di Genova che ha voluto proporre uno dei massimi esponenti degli artisti italiani del Novecento, sicuramente tra i più conosciuti dal pubblico non tanto per i suoi dipinti quanto per la peculiarità della sua ricerca espressiva, unica nel suo genere tra le varie rivelazioni artistiche di tutti i tempi.

data di pubblicazione:28/05/2017

GLI INVISIBILI di Pasquale Squitieri, 1988

GLI INVISIBILI di Pasquale Squitieri, 1988

Sirio (Alfredo Rotella), giovane operaio presso le acciaierie di Terni, decide di lasciare il proprio lavoro per seguire pienamente la propria ideologia nel militare attivamente in un gruppo di estrema sinistra. Pur contrario alla lotta armata e a qualsiasi forma di atto terroristico, azioni che avevano caratterizzato il clima politico-sociale italiano agli inizi degli anni ottanta, il giovane viene accusato di complicità in banda armata per alcuni attentati sui quali lui era completamente estraneo. Rinchiuso in un carcere insieme ad altri compagni attivisti, tra i quali il suo miglior amico Apache (Igor Zalewsky), conosce il Professore (Mauro Festa), un filosofo ritenuto il principale ideologo del movimento. Durante la sua detenzione a Sirio viene proposto di rivelare il nome dei partecipanti all’organizzazione clandestina in cambio della libertà. Al suo rifiuto le autorità reagiscono trasferendolo in un carcere di massima sicurezza dove ancora una volta, suo malgrado, si troverà coinvolto in una rivolta armata che verrà soffocata mediante l’intervento di uno speciale reparto delle forze dell’ordine. Messo in isolamento, il giovane entrerà in una crisi tale, che lo porterà pian piano a prendere le distanze dal mondo esterno e dalle idee che lo avevano convinto a cambiare la società sin dai primissimi anni della sua gioventù, durante i quali aveva iniziato a militare nei movimenti studenteschi. Il film è stato liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Nanni Balestrini che contribuì, insieme allo stesso Squitieri, alla stesura della sceneggiatura. Grande affresco di una Italia di quegli anni di piombo dove i giovani militanti, impegnati politicamente nella lotta armata, si trovarono schiacciati dal peso di quelle azioni terroristiche di cui loro stessi non seppero prevedere né la portata né le conseguenze storiche che avrebbero inciso sul contesto sociale del Paese. Il film fu ben accolto dalla critica e, presentato in quell’anno al Festival di Venezia, ottenne il Premio Cinema Nuovo.

L’ambientazione nella verdissima Umbria ci suggerisce una ricetta tipica di questa terra, molto semplice e di facile realizzazione: polpette di pollo con ricotta.

INGREDIENTI: 250 grammi di ricotta di pecora – 250 grammi di petto di pollo – 50 grammi di parmigiano grattugiato – 100 grammi circa di pan grattato – 1 uovo – olio d’oliva – sale e pepe qb.  

PROCEDIMENTO: Macinare finemente i petti di pollo e mescolare insieme alla ricotta, all’uovo, a circa 30 grammi di pan grattato insieme al parmigiano. Aggiungere sale e pepe agli ingredienti e fare delle polpette da impanare e da friggere in olio d’oliva ben caldo. A fine cottura le polpette si potranno sfumare a piacere con un poco di vino bianco. Servirle tiepide accompagnate da una insalata di stagione.