da Antonio Iraci | Ott 25, 2017
Avechot è uno sperduto villaggio immerso in una piccola vallata tra le montagne nella provincia di Bolzano. I suoi abitanti vivono una vita tranquilla, immersa totalmente nell’attività religiosa di una confraternita che inculca loro principi morali molto rigidi, completamente anacronistici. In una sera densa di nebbia Anne Lou Kastner, ragazza tutta scuola e famiglia con una fortissima passione per i gatti, uscita di casa per andare in confraternita, sparisce nel nulla. Sul posto viene subito inviato l’agente speciale Vogel, uomo di grande esperienza nella soluzione di casi giudiziari difficili, anche se questa volta la ricerca della verità sarà impresa difficile perfino per lui…
Donato Carrisi è uno scrittore, sceneggiatore e giornalista specializzato in criminologia e scienze del comportamento; autore di diversi romanzi, ha già ottenuto prestigiosi riconoscimenti letterari tra cui il Premio Bancarella per il libro Il Suggeritore. Con La Ragazza nella Nebbia, pubblicato nel 2015, Carrisi si cimenta per la prima volta nelle vesti di regista riuscendo a confezionare un thriller psicologico che riesce a trasferire allo spettatore una suspance per l’intera duratadelfilm. Vogel, egregiamente interpretato da Toni Servillo, sin dalle prime immagini si comporta esibendo una sagacia talmente particolare da poterlo accostare al migliore Maigret uscito dalla penna di Georges Simenon. Il complesso caso giudiziario che dovrà affrontare nell’isolata cittadina di Avechot tiene tutti con il fiato sospeso, interpreti e pubblico, in un susseguirsi di colpi di scena che ingarbugliano sempre più il filo logico della vicenda, lasciando tutti spiazzati di fronte ad una insolita soluzione finale. Il film, pur proponendo una storia reale che pecca a tratti di originalità nella trama, coinvolge il pubblico che rimane disorientato nella spasmodica attesa di una spiegazione che tarda a profilarsi e a ricomporsi, come un puzzle che non si riesce a completare in un assurdo gioco perverso tra il bene ed il male.
Il cast è tutto di primordine: oltre a Servillo, troviamo Alessio Boni nella parte del prof. Loris Martini e Lorenzo Richelmy nel ruolo dell’agente Borghi che collabora con Vogel, anche se una menzione di merito va sicuramente al personaggio dello psichiatra Flores interpretato da Jean Reno. La sceneggiatura, curata dallo stesso Carrisi, riesce a catturare lo spettatore sin dalla prima immagine conducendolo nell’intrigo della vicenda con una violenza davvero disarmante.
data di pubblicazione:25/10/2017
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da Antonio Iraci | Ott 25, 2017
(Teatro Quirino – Roma, 24 ottobre/ 5 novembre 2017)
Un sentito omaggio a Luca Ronconi, grande uomo di teatro scomparso nel 2015, da parte del suo allievo Daniele Salvo, regista emiliano diplomato alla scuola attori “Teatro Stabile di Torino” e oramai noto per averci fatto apprezzare i suoi lavori sulla tragedia classica di cui è diventato esperto conoscitore. Lo spettacolo che viene ora ripreso al Teatro Quirino è una edizione storica che già a suo tempo vide l’attore Franco Branciaroli nei panni femminili di Medea, personaggio quanto mai passionale e mostruosamente vendicativo che, con le proprie istanze di riscatto sociale di donna, anticipa di parecchi secoli ciò che ante litteram sarà il pensiero del movimento femminista. Medea ha sacrificato la propria famiglia e la patria pur di assecondare il suo amato Giasone e non ha esitato in suo favore ad utilizzare le proprie abilità magiche rendendosi autrice persino di numerose efferatezze.
Euripide in Medea inserisce tutti gli elementi classici della tragedia greca, che solo la camaleontica interpretazione di Branciaroli riesce a tratti ad alleggerire senza tuttavia sminuirne il pathos. Risultano altresì esaltati i tratti psicologici della protagonista, che si trova sola e costretta all’esilio senza possibilità di ritorno in patria, e alla quale le sono ora negati gli affetti più cari. Solo le donne di Corinto comprendono l’impotenza di Medea di fronte all’oltraggio subito e quasi la spingono a intraprendere una azione vendicativa esemplare, anche se poi rimangono atterrite di fronte al sacrificio dei due giovani figli innocenti che la donna sacrificherà pur di distruggere l’infame Giasone e negargli una discendenza. L’ambientazione scenica è di grande effetto, soprattutto quella iniziale quando ai lamenti della nutrice fa da sfondo la visione di un vero cuore palpitante: qualcosa che disturba, ma che fa entrare direttamente dentro quell’imminente dramma, che già trova forma e contenuto nell’immagine. Accanto a Franco Branciaroli troviamo Alfonso Veneroso nella parte di Giasone e Antonio Zanoletti nel ruolo di Creonte, mentre particolarmente toccante la figura di Egeo interpretata da Livio Remuzzi. Cast quindi di primordine ben adatto ad uno spettacolo che, sia pur curato nei minimi dettagli da Daniele Salvo, porta in calce la firma dell’indimenticabile Luca Ronconi.
data di pubblicazione:25/10/2017
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da Antonio Iraci | Ott 18, 2017
Marina, transgender aspirante cantante, vive serenamente una intensa storia d’amore con Orlando, un uomo maturo e socialmente affermato che per lei ha abbandonato la famiglia. L’improvvisa morte dell’uomo per infarto, al termine dei festeggiamenti per il compleanno di Marina, causerà un cambiamento radicale nella vita di lei, travolta da tutta una serie di maltrattamenti fisici e morali da parte della famiglia di Orlando e, come se non bastasse, anche da parte delle istituzioni pubbliche che mettono seriamente in dubbio la sua buona fede unitamente alle cause del decesso.
Premiato nell’ultima edizione della Berlinale con l’Orso d’Argento e come miglior film GLBT nella Sezione Teddy Award sulle tematiche gay e trans, Una donna fantastica del cileno Sebastiàn Lelio è stato subito ben accolto dalla critica internazionale che ha voluto riconoscere al regista il talento ed il coraggio di portare sul grande schermo la storia di una diversità che oggi non dovrebbe più definirsi tale. Il personaggio di Marina (Daniela Vega) riesce a conquistarsi la benevolenza di tutti coloro con cui viene a contatto, a cominciare dai proprietari del bar dove presta servizio come cameriera. Lei sa bene cosa vuole dalla vita e sa portare avanti con assoluta determinazione la storia d’amore con Orlando (Francisco Reyes): i due abitano insieme in un appartamento e vivono la quotidianità come una coppia che si ama e che ha voglia di progettare insieme un futuro ricco di emozioni. La morte improvvisa dell’uomo farà riaffiorare tutti quei sentimenti ostili radicati e semplicemente congelati da parte della famiglia di lui che si era sentita umiliata dall’abbandono dell’uomo per una “donna” come Marina e, all’improvviso, ciò che per lei era considerato assoluta normalità, diventa subito diversità se non addirittura perversione, annullando con un colpo di spugna tutto quello che riteneva oramai come acquisito, in quanto appartenente alla propria identità di donna. Il film riesce veramente a coinvolgere emotivamente lo spettatore, in una storia dove rabbia e impotenza si sovrappongono in difesa di una persona che vuole vivere appieno la propria sessualità come meglio crede. In una società come quella cilena, dove ancora alcune scelte di vita vengono considerate come dei tabù, la decisione da parte del regista di affrontare una tematica così delicata è sicuramente un colpo di frusta verso coloro che ancora non riescono ad accettare questa realtà come qualcosa di “reale”. Indugiando sempre con molta discrezione nell’inquadrare il corpo di Marina nella sua intimità, salvaguardandone palesemente la privacy, Lelio riesce ad allontanare lo sguardo dello spettatore da un possibile morboso voyeurismo.
Il film rappresenterà il Cile ai prossimi premi Oscar come miglior film straniero.
data di pubblicazione:18/10/2017
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da Antonio Iraci | Ott 13, 2017
La corona britannica dopo anni di duro imperialismo invia in India, soprattutto per merito della lotta pacifica portata avanti da Gandhi, Lord Mountenbatten che, in qualità di Vicerè, dovrà gestire la delicata fase di transizione che porterà il Paese verso l’indipendenza. L’abilità diplomatica di questi e della sua splendida moglie Edwina serviranno tuttavia più a fronteggiare l’annoso problema della cruenta lotta tra musulmani, induisti e sikh: diversità religiose che, nonostante gli insegnamenti del Mahatma, non riescono a concepire una pacifica convivenza tra di loro. Il conflitto porterà inevitabilmente alla necessità di riconoscere il Pakistan, dove andranno a confluire le popolazioni musulmane, come una nazione autonoma dall’India.
Con un rilevante sfarzo di scene e costumi proprie dei colossal d’altri tempi, quando le produzioni non badavano a spese per la buon riuscita dei propri film, Il Palazzo del Vicerè della regista indiana Gurinder Chadha sembra avere tutte le carte in regola per offrire al pubblico una storia zuccherosa ma che, al tempo stesso, si lascia seguire con particolare interesse. Non sembrerebbe che lo sfondo socio-politico della vicenda sia l’elemento determinante della buona riuscita di questa pellicola, né la travagliata storia d’amore, seppur fulcro della vicenda stessa, tra il focoso induista Jeet (Manish Dayal) e la musulmana Aalia (Huma Qureshi), donna leggiadra e bellissima, entrambi casualmente a servizio nello splendido palazzo imperiale. Quello che sicuramente conquista più di ogni altra cosa il pubblico è come la regista abbia saputo conciliare vicende tragicamente storiche, peraltro supportate da splendide immagini d’archivio, con l’ambientazione della vicenda attraverso il susseguirsi di una quotidianità di palazzo dove tutto sembra funzionare con la precisione di un orologio svizzero. All’interno si riesce a cucire una convivenza tra le fazioni in lotta grazie alle buone maniere britanniche di Lord e Lady Mountenbatten, figure splendidamente interpretate da Hugh Bonneville e da Gillian Anderson, mentre all’esterno si tessono sottili trame politiche, all’inizio sconosciute persino agli stessi protagonisti, che sfoceranno poi in una lotta cruenta che mieterà milioni di vittime.
Nell’ultima edizione della Berlinale, dove il film è stato presentato, la regista anglo/indiana ha spiegato le istanze personali che l’hanno indotta ad affrontare un tema così importante: sono un doveroso omaggio al suo Paese e soprattutto alla sua famiglia, anch’essa travolta dalla divisione territoriale che portò settanta anni fa alla nascita del Pakistan come nazione autonoma. Nella maestosa cornice del palazzo si inserisce la storia d’amore melodrammatica fra i due giovani, divisi dalla religione e dalle situazioni contingenti, un Romeo e Giulietta Made in India, con una fine diversa da quella concepita dalle righe del dramma shakespeariano.
data di pubblicazione:13/10/2017
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da Antonio Iraci | Ott 11, 2017
Tony Webster conduce a Londra una tranquilla vita da pensionato. Separato dalla moglie da molto tempo gestisce, più che altro per hobby, un piccolo negozio di vendita e riparazione di macchine fotografiche d’epoca. Un giorno riceve una lettera da parte di uno studio legale in cui gli vengono notificate le volontà testamentarie della madre di Veronica, la ragazza con cui era fidanzato ai tempi dell’università. Il lascito, piuttosto singolare, consiste nel diario del suo migliore amico, morto suicida, che imprevedibilmente aveva intrattenuto molti anni prima una relazione amorosa proprio con la sua ragazza. Nel tentativo di venire in possesso della singolare eredità, Tony avrà modo di incontrare Veronica dopo tantissimi anni: sarà un’occasione per fare i conti con il suo passato e reimpostare i suoi affetti all’interno della famiglia.
Anche per Tony (Jim Broadbent, premio Oscar come miglior attore non protagonista nel 2002 per il film Iris – Un amore vero), alla soglia della vecchiaia, arriva il momento della riflessione personale, una sorta di tentativo di dare una rilettura al proprio vissuto: un piccolo bilancio, un modo come un altro per raccontarsi le cose passate con una buona dose di benevolenza, trascurando l’obiettività dei fatti. Una ex moglie in carriera che lo evita, una figlia ansiosa che ha deciso di avere un figlio senza un compagno al suo fianco, un piccolo negozio per la riparazione di macchine fotografiche, sono gli elementi che compongono il microcosmo in cui si muove il protagonista, a volte scorbutico, a volte distratto, ma apparentemente appagato. La notifica di quell’insolito lascito che riapriva la ferita del tradimento del suo compagno di scuola con la sua fidanzata Veronica (da giovane Freya Mavor, da anziana Charlotte Rampling), accende in Tony una improvvisa ansia di venire in possesso di quell’ eredità come pretesto per dare un senso a tutta la sua vita, a partire dalla giovinezza in cui si innamorò di quella ragazza così enigmatica. Tony comincerà a ricucire molti tasselli mancanti alla propria storia, guardando i propri errori e le intemperanze dell’età giovanile, avviando un processo di rivisitazione dei propri amori, una donna amata e una sposata, in un groviglio di sensazioni che gli procureranno un profondo disorientamento affettivo, una sorta di crisi esistenziale che si rivelerà salutare per rimodellare un trascorso pieno di ombre e di dubbi, alla riscoperta di sentimenti sinceri dei quali lui stesso sembra non accorgersi. Tratto dal romanzo Il senso di una fine dello scrittore britannico Julian Barnes, il film, diretto dal regista emergente indiano Ritesh Batra, risulta ben articolato nel confezionare una storia che ha una sorprendente intercambiabilità nel cast, in un continuo passaggio tra passato e presente, grazie ad interpreti di primordine. Particolarmente interessante l’interpretazione di Tony da giovane da parte dell’attore Billy Howle, recentemente protagonista nel film drammatico di Dominic Cooke On Chesil Beach, tratto dall’omonimo romanzo del noto scrittore inglese Ian McEwan, appena terminato e non ancora in distribuzione.
data di pubblicazione:11/10/2017
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