da Antonio Iraci | Feb 17, 2018
(68 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – Berlino, 15/25 Febbraio 2018)
Samuel Alabaster è un eccentrico cowboy che si aggira per gli spazi selvaggi americani con la chitarra in cerca della bella Penelope, che lui ama e che sposerà dopo averla liberata da un uomo che la tiene segregata. In compagnia di Parson Henry, da lui pagato come ministro che dovrà officiare la cerimonia, Samuel inizia la sua ricerca portando con sé come dono di nozze Butterscotch, un pony che lui cura amorevolmente. Trovata la casa dove vivono la donna ed il suo presunto aguzzino, Samuel scoprirà una realtà ben diversa da quella immaginata che lo getterà nel più cupo sconforto. Penelope inizierà una nuova vita, lontano dal posto dove aveva vissuto momenti felici.
I registi di questo eccentrico western sono i fratelli americani David e Nathan Zellner già noti qui a Berlino per aver presentato i loro film Kid-Thing nel 2012 e Kumiko-The Treasure Hunter nel 2014 nella Sezione Forum. Damsel è un film molto particolare nel suo genere perché pur avendo una ambientazione tipica di ogni film western, tuttavia sin dalle prime immagini se ne discosta a causa dell’atteggiamento completamente squilibrato dei personaggi. Il protagonista Samuel (Robert Pattinson) è un uomo delicato ma determinato nella sua convinzione che Penelope (Mia Wasikowsa) lo ami veramente e che lo sposerà. Lui è certo del suo obiettivo ma non ha il giusto physique du role del vero cowboy, come del resto gli altri personaggi, ognuno con le proprie stravaganti peculiarità che fanno da sponda a comportamenti del tutto inaspettati. Forza trainante del film è la figura di Penelope che ad un certo punto prende le redini della storia e con la sua fermezza sarà in grado di mettere in riga i vari personaggi sopravvissuti per poter decidere in piena autonomia del proprio destino. Già presentato al Sundance, il film è ora in concorso alla Berlinale ed ha tutte le carte in regola per ottenere un riconoscimento: ottima location e convincenti i due protagonisti che regalano al pubblico momenti di autentico divertimento. I due fratelli Zellner, anch’essi nel cast, sembra abbiano superato la prova contrapponendo all’originalità dei personaggi la grandiosità dei canyon americani, vero spettacolo incontaminato nel quale ambientare questa storia bizzarra e del tutto inusuale.
data di pubblicazione:17/02/2018
da Antonio Iraci | Feb 16, 2018
(68 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – Berlino, 15/25 Febbraio 2018)
Chela e Chiquita sono felicemente in coppia da molti anni nonostante le differenze di carattere: la prima, molto riservata, é riluttante a lasciare l’appartamento dove abitano, la seconda al contrario é estroversa e responsabile della gestione pratica della casa. Sommerse dai debiti si vedono costrette a vendere il vecchio mobilio ereditato seppur ognuno di quegli oggetti racchiudono in sé un particolare ricordo affettivo. Quando Chiquita finirà in prigione per aver contratto dei debiti mai onorati, Chela si troverà ad affrontare da sola una serie di problemi pratici che tenterà di risolvere inventandosi un servizio di taxi privato per ricche signore anziane. In questo suo nuovo ruolo di autista incontrerà la giovane Angy, figlia di una di queste donne, e questo incontro le cambierà la vita.
Marcelo Martinessi è nato a Asunciòn, Paraguay, dove ha studiato Scienza delle Comunicazioni per poi specializzarsi in regia alla London Film School. Già noto in campo internazionale per i suoi cortometraggi, nel 2016 con La voz perdida ha vinto il premio come migliore corto al Festival di Venezia. Las herederas è il suo primo lungometraggio ed è tutto al femminile: il ruolo degli uomini è del tutto marginale ed il regista affronta una società ripiegata su se stessa, che nel suo inconfondibile carattere borghese sembra ancora beneficiare di particolari vantaggi sociali che la dittatura in Paraguay benevolmente le permette. Uno spaccato della vita di molte donne del suo paese di origine che amano circondarsi di privilegi senza più avere i mezzi economici per poterseli permettere, e che rifiutano quasi come un peso di apparire come eroine forti e resistenti al regime dove l’immaginario comune vorrebbe collocarle. Nella scelta del cast delle tre protagoniste (Ana Brun, Margarita Irùn e Ana Ivanova), il regista ha preferito delle figure che potessero comportarsi sulla scena naturalmente senza doversi inventare o imitare un particolare codice sociale. Nel film, accanto alle due anziane Chela e Chiquita, spicca in maniera prepotente la figura di Angy che al contrario delle altre usa parlare di sé e delle sue relazioni con vari uomini con quella giusta dose di spudoratezza, che al principio spaventa molto Chela. Questa giovane donna rappresenterà l’unica possibilità per Chela di aprirsi ad un radicale cambiamento affascinante e pericoloso al tempo stesso. In un paese dove il ruolo delle donne è destinato a rimanere nel silenzio delle proprie case, mentre all’uomo è attribuito il compito machista di poter sempre e comunque risolvere i problemi pratici della vita, il film vuole invece mostrare una visione diversa e più reale possibile di una società dove, al di là del giustificato pessimismo dovuto alla situazione politica, si intravede comunque uno spiraglio di apertura verso un nuovo mondo.
data di pubblicazione:16/02/2018
da Antonio Iraci | Feb 15, 2018
(68 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – Berlino, 15/25 Febbraio 2018)
Atari è un ragazzo di dodici anni che, a seguito della morte improvvisa dei genitori, viene dato in affidamento allo zio Kobayashi, uomo corrotto che ricopre la carica di sindaco di Megasaki. A seguito di un contestato decreto governativo, viene deciso che tutti i cani presenti in città debbano essere trasferiti in una isola lontana, dove sono solitamente raccolti tutti i rifiuti della città. Il ragazzo, privato del suo fedele cane da guardia Spots, decide di rintracciarlo e a bordo di un Junior-Turbo, piccolo aereo in miniatura da lui stesso costruito, approda sull’isola. Con l’aiuto di una “piccola banda” di altri 5 cani inizia un viaggio epico sulle tracce del suo fido amico, e l’esito di questa ricerca diverrà determinante per il futuro non solo dei poveri animali ma anche della Prefettura, i cui scandali da tempo nascosti diverranno di pubblico dominio.
Il regista, produttore, sceneggiatore texano Wes Anderson ama trasferire la propria personale eccentricità nei personaggi che crea e porta sul grande schermo. Già nel 2012 il suo Moonrise Kingdom, ambientato su un’isola leggendaria, venne prescelto come film d’apertura a Cannes e nel 2014 il suo The Grand Budapest Hotel con Ralph Fiennes apre il Festival di Berlino; così, anche il suo ultimo film Isle of Dogs è stato prescelto tra i vari film in concorso per avviare la kermesse berlinese. Dopo il successo di Fantastic Mr. Fox, oggi abbiamo assistito al suo secondo film di animazione in cui il brillante regista ricorre di nuovo allo stop motion – un particolare montaggio di foto che si susseguono creando il movimento stesso della scena – per deliziarci ancora una volta con il suo singolare modo di fare cinema. Il risultato ottenuto sono immagini molto nitide e naturali che ben si discostano dai normali animated cartoon a cui siamo abituati. La storia del piccolo e coraggioso Atari alla ricerca del suo fedele cane Spots si può considerare una favola dei giorni nostri, che ci riporta in un mondo di buoni e cattivi, dove ai primi non rimangono molte armi a disposizione per sconfiggere le ingiustizie perpetrate dai secondi. Come in tutte le favole che si rispettino gli animali possono esprimersi con parole che noi comprendiamo, ma in questo film è il linguaggio degli uomini ad essere incomprensibile, necessitando di una traduzione simultanea: lo spettatore entra quindi in sintonia con i quadrupedi esiliati e destinati allo sterminio, mentre trova difficoltà ad intendersi con gli umani, intenti solo a mettere in atto marchingegni per accaparrarsi a tutti i costi il potere. Atari, con la freschezza dei suoi dodici anni, è l’unico che riesce a riscattare l’uomo dall’inevitabile pantano di corruzione in cui è precipitato. Il film, che racchiude in sé una morale sincera, prerogativa questa di tutte le favole, sembra proporci ripetutamente la quintessenza delle domande: Chi siamo? Ma soprattutto: Chi vogliamo essere?
data di pubblicazione:15/02/2018
da Antonio Iraci | Feb 14, 2018
(Berlino, 15/25 Febbraio 2018)
Ancora una volta fervono i preparativi per l’inizio di questa 68esima edizione della Berlinale: tutto è pronto per dare il benvenuto a giornalisti e cinefili di tutto il mondo che saranno presenti qui a Berlino per questo evento cinematografico di rilevanza internazionale. Un programma come sempre ricchissimo di pellicole per un totale di circa 400 film, che verranno suddivisi tra quelli in concorso per aggiudicarsi il prestigioso Orso d’oro, e quelli presentati nelle sezioni collaterali. Il Direttore del Festival Dieter Kosslick ha ricordato in conferenza stampa come quest’anno ricorrano cinquanta anni dai famosi movimenti del 1968, che segnarono l’inizio di quel radicale cambiamento socio-culturale che trasformò il modo di vivere e di pensare di intere generazioni. Di questa rivoluzione si parlerà molto durante la Berlinale perché non fu solo una demolizione del modus vivendi di allora divenuto oramai obsoleto, ma perché investì tutte le forme di espressione, incluse quelle cinematografiche, offrendo al grande pubblico l’opportunità di spiegare il mondo in tutte le sue sfaccettature reali e non.
La selezione ufficiale prevede 24 film:
3 Tage in Quiberon di Emily Atef, Germania-Austria-Francia
7 Days in Entebbe di José Padilha, Usa-Gran Bretagna (fuori concorso)
Aga di Milko Lazarov, Bulgaria-Germania-Francia (fuori concorso)
Season of the devil di Lav Diaz, Filippine
Black 47 di Lance Daly, Irlanda-Lussemburgo (fuori concorso)
Damsel di David e Nathan Zellner, Usa
Don’t worry, he won’t get far on foot di Gus Van Sant, Usa
Dovlatov di Alexey German Jr., Federazione Russa-Polonia-Serbia
Eldorado di Markus Imhoof, Svizzera-Germania (fuori concorso)
Eva di Benoit Jacquot, Francia-Belgio
Las Herederas di Marcelo Martinessi, Paraguay-Uruguay-Germania- Brasile
In den gangen di Thomas Stuber, Germania
Isle of Dogs di Wes Anderson, Gran Bretagna-Germania
Khook di Mani Haghighi, Iran
My brother’s name is Robert and he is an idiot di Philip Groning, Germania-Francia-Svizzera
Museo di Alonso Ruizpalacios, Messico
La prière di Cédric Kahn, Francia
The real estate di Axel Petersén e Mans Mansson, Svezia-Gran Bretagna
Touch me not di Adina Pintilie, Romania-Germania-Repubblica Ceca
Transit di Christian Petzold, Germania-Francia
Twarz di Malgorzata Szumowska, Polonia
Unsane di Steven Soderbergh, Usa (fuori concorso)
U- July 22 di Erik Poppe, Norvegia
Il film italiano in concorso Figlia mia è di Laura Bispuri, che torna a Berlino dopo il suo esordio con Vergine giurata, accolto positivamente sia dal pubblico italiano che internazionale. L’Italia sarà presente anche con altri tre film: La Terra dell’abbastanza di Damiano e Fabio D’Innocenzo e Land di Babak Jalali, una coproduzione Italia-Francia-Olanda-Messico-Qatar, entrambi nella Sezione Panorama ed infine con Lorello e Brunello, documentario di Jacopo Quadri nella Sezione Culinary Cinema. Quattro film, come ha affermato Paolo Del Brocco di Rai Cinema, “che raccontano storie fortemente legate all’attualità, radicate nel sociale, dai tratti originali, in linea con un Festival, come quello di Berlino, che per tradizione predilige questi temi…”.
La giuria internazionale sarà presieduta dal regista e sceneggiatore tedesco Tom Tykwer che sarà affiancato da Stephanie Zacharek, critica cinematografica americana della rivista Time, dal compositore giapponese Ryuichi Sakamoto e dal fotografo spagnolo Chema Prado. Ancora in giuria la produttrice americana Adele Romanski e l’attrice belga Cécile de France.
Le sezioni speciali che accompagneranno i film in Concorso saranno: Berlinale Shorts che comprende 36 corti selezionati da ben 14 festival europei; Panorama che come sempre presenta pellicole con tematiche politiche e sociali, poi ancora la Sezione Forum, la rassegna Generation dedicata alle tematiche giovanili, Prospettive Cinema Tedesco che porta a conoscenza del grande pubblico pellicole di giovani talenti tedeschi, nonché Retrospettive con un programma quest’anno dedicato alla filmografia della Repubblica di Weimer a partire dal 1918 e fino al 1933. Come nelle edizioni passate anche quest’anno avremo una rassegna Teddy Award, con vari film a soggetto gay; Culinary Cinema con la proiezione di film riguardanti il cinema e la passione per il cibo; Berlinale goes Kiez, programma per la diffusione dei film della Berlinale nei vari cinema periferici della città e Native, che ci porterà ad esplorare principalmente le remote regioni della Polinesia, Australia e Nuova Zelanda.
Infine quest’anno l’Orso d’oro alla carriera verrà assegnato a Willem Dafoe, grande artista e attore statunitense più volte nominato ai Golden Globe e agli Oscar e noto come interprete in vari film di successo (Mississippi Burning, Le radici dell’odio, L’ultima tentazione di Cristo per citarne alcuni).
Accreditati sarà presente anche quest’anno alla Berlinale, con un occhio particolarmente attento alle pellicole in selezione ufficiale e con qualche incursione nelle sezioni collaterali.
data di pubblicazione:14/02/2018
da Antonio Iraci | Feb 9, 2018
(Teatro India – Roma, 8/11 febbraio 2018)
Il 24 ottobre 1917 viene ricordato come il giorno della disfatta di Caporetto, data memorabile nella storia della prima guerra mondiale: vari reparti, a presidio del fronte orientale, caddero in mano dell’esercito austro-germanico che riuscì cosi ad avanzare e a conquistare posizioni strategiche. Proprio in quel giorno, per circostanze del tutto casuali, si riunisce a Taranto la famiglia Fago per festeggiare l’onomastico del capofamiglia, così come documentato da una vecchia fotografia ritrovata in un polveroso album.
Questo prezioso documento fotografico dà inizio alla storia personale, quella appunto di Amedeo Fago, che da io narratore ricostruisce un dettagliato albero genealogico della sua famiglia a cavallo di due secoli, attraversando così la storia di un paese coinvolto in due conflitti mondiali. Non sarà una impresa facile rimodellare i cocci di questo “oggetto” andato in mille pezzi, ma Amedeo Fago, ideatore oltre che interprete di questo spettacolo, riesce a farlo con proverbiale pazienza certosina, spinto più che altro a far rivivere i suoi antenati che via via prendono forma vivente dalla foto, e dare loro la possibilità di raccontare ognuno la propria vita. Il regista restituisce così al teatro la sua vera natura che è quella di portare sul palcoscenico, in un punto preciso del qui e ora, quello che nel tempo convenzionalmente definiamo come passato e futuro e che, quasi per magia, viene ora posto sul medesimo piano temporale. Anche le immagini di fondo, come gli attori, sembrano confondere il reale con il virtuale per portarci inaspettatamente nella Taranto di oggi dove l’irrazionale industrializzazione ha portato ad un letale tasso di inquinamento, sfuggito per molto tempo ad ogni controllo ambientale. Il confronto finale padre-figlio (Giulio Pampiglione-Amedeo Fago) è un momento di grande intimità familiare in cui le situazioni si ribaltano dando spazio ad un dialogo serrato dove il futuro viene coniugato al passato ed il passato al futuro: sulla scena, l’orologio che scandisce il tempo può fermarsi per poi continuare a marciare ma a ritroso. Questo lavoro, con un impatto drammaturgico di rara intensità, è una produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale del 2015, e viene oggi ripreso per essere inserito nel programma Il dovere della memoria, un progetto che si propone di portare sulla scena fatti appartenenti alla storia e quindi patrimonio di tutti per favorirne la conoscenza alle nuove generazioni. Originali gli effetti speciali di Davide Ippolito e Luca Di Cecca che fanno rivivere virtualmente un cast di attori tutti di alto livello.
I costumi di scena sono curati da Lia Francesca Morandini.
data di pubblicazione: 9/2/2018
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