da Antonio Iraci | Apr 12, 2018
(Teatro Vascello – Roma, 11 e 12 Aprile 2018)
La compagnia della contessa Ilse approda alla Villa della Scalogna, un luogo isolato dove il mago Cotrone, con altri reietti e disadattati, ha scelto di vivere lontano dalla civiltà per coltivare la passione per il teatro. Il conte, pur di assecondare la volontà dell’amata, si è ridotto senza contea e senza contanti, ma pur nella miseria è contento che la moglie si ostini a portare in scena La Favola del Figlio cambiato. Ilse, legata al poeta autore della piéce (nella realtà è lo stesso Pirandello), cerca con tenacia di portare avanti un messaggio di non facile comprensione per il suo pubblico, ed allora il mago le suggerisce di rappresentare lo spettacolo di fronte ai giganti, entità che vivono sulle montagne, dotati di poteri soprannaturali.
Con questi fatti e antefatti approdiamo a una delle opere più complesse di Luigi Pirandello, rimasta incompiuta a causa della sua morte avvenuta nel 1936, in cui il celebre drammaturgo siciliano fa nuovamente uso della formula del meta-teatro già in precedenza utilizzata in altri suoi lavori. La sua convinzione era che la vita di per sé è teatro, quindi anche ne I Giganti della Montagna si rappresenta un teatro nel teatro dove non esiste più la quarta parete che separa il pubblico dal palcoscenico in quanto ognuno diventa attore e interprete di sé. Nell’adattamento dell’opera pirandelliana Roberto Latini è regista e attore al tempo stesso. Capace di dare la sua voce a tutti i personaggi di scena, diventa una sorta di istrionico ventriloquo che con i suoi movimenti conquista il dono dell’ubiquità in una sospensione di tempo, fuori dalla realtà, nell’illusione di un sogno perpetuo senza soluzione di continuità. Molto coerente questa rilettura del testo dove riscontriamo elementi che superano il reale per invadere spazi ultraterreni che solo con la fantasia possiamo essere in grado di comprendere. I suoni (Gianluca Misiti) accompagnano la scena con un campo di grano sovrastato dal freddo chiarore della luna e dove si aggirano corvi con il loro gracchiare funesto, presagio di una morte che alla fine invade la scena: un fiume di magma primordiale che avvolge tutto quasi a cancellare ogni traccia di vita. Latini vola in alto, il suo corpo perde peso e consistenza e non ha più una propria identità, quasi un fantasma o forse un angelo asessuato reso impotente dai giganti che come dei dell’Olimpo giudicano e condannano, senza mai mostrarsi anche se ne avvertiamo la presenza. A questo punto il regista, al pari di Pirandello, si chiede e ci chiede: ma noi chi siamo? Di fronte a questa domanda non ci rimane altro che affrontare la paura di una verità crudele e l’unica via percorribile è quella di abbandonarsi al libero gioco dell’immaginazione e tentare così di recitare a essere se stessi.
Lo spettacolo è una produzione Fortebraccio Teatro, le scene sono state curate da Silvano Santinelli e Luca Baldini, mentre le luci da Max Mugnai.
Con questo lavoro Roberto Latini ha vinto il Premio della Critica 2015 (ANCT) mentre Gianluca Misiti il Premio Ubu come miglior progetto sonoro/musiche originali.
data di pubblicazione:12/04/2018
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Apr 2, 2018
Helene Kröller-Müller (1869-1939), figlia di ricchi industriali tedeschi, si era trasferita con il marito in Olanda. Seguendo le lezioni culturali del pittore Henk Bremmer, era venuta casualmente a conoscenza dell’arte e della personalità di Vincent Van Gogh, di cui ne rimase profondamente affascinata. Nel 1909 Helene acquista il primo quadro di Vincent e pian piano riesce a costituire una importante collezione di quadri e disegni del pittore arrivando persino a concepire un luogo dove riunire le opere e poterle così esporre. Un anno prima della sua morte lo Stato olandese riuscirà a portare a termine la costruzione del museo, a condizione che quelle opere sino ad allora di proprietà privata divenissero di proprietà pubblica. Il Kröller-Müller Museum si trova ad Otterlo, immerso nel verde di un parco, a circa un’ora d’auto da Amsterdam.
La 3D Produzioni e Nexo Digital presentano in anteprima mondiale nelle sale cinematografiche italiane e solo nei giorni 9, 10, 11 aprile un documentario di grande interesse culturale non soltanto perché si parla della vita e delle opere del celebre Van Gogh, ma anche perché in esso ci viene descritta la passione di Helene Kröller-Müller verso la sua pittura, ed ancor più della sua unione intellettuale con il pittore olandese. Anche se i due fisicamente non si incontrarono mai, dal momento che la donna era appena una ragazzina quando Vincent morì, tuttavia Helene si rese presto conto che la sua personalità era molto simile a quella dell’artista. Entrambi andavano alla ricerca di un qualcosa di trascendentale che andava ricercato nella natura dei semplici, operai e contadini, lasciando all’arte il compito di operare questa estrapolazione che assunse carattere religioso e filosofico allo stesso tempo. Pur partendo da condizioni sociali e soprattutto finanziarie completamente diverse, dal momento che Van Gogh era estremamente povero mentre Helene era considerata una delle donne più ricche del suo tempo, i due riuscirono a seguire un percorso spirituale parallelo spesso tormentato da un travaglio interiore dal quale difficilmente ne uscirono indenni. Altro elemento che unì i due singolari personaggi fu un’enorme mole di lettere, dalla quale emerge il complesso temperamento di entrambi e quanto fossero affascinati dalla bellezza della natura e dall’immensità dell’universo. Per Helene, Vincent fu inoltre un esempio morale da seguire soprattutto per quanto riguarda la sua attitudine ad immergersi nel quotidiano, tra i campi, dove i contadini erano impegnati nel duro lavoro. Il documentario ci racconta pertanto di queste due vite che ebbero molti punti in comune e ci porta per mano tra le sale del museo di Otterlo dove sono sistemate circa trecento opere di Van Gogh raccolte pazientemente negli anni da Helene Kröller-Müller, portando a conoscenza di tutti le opere del pittore che raggiunsero nel tempo quotazioni stratosferiche.
Il film si avvale della consulenza scientifica di Marco Goldin che ha anche curato l’allestimento della mostra omonima Van Gogh, tra il grano e il cielo presso la Basilica Palladiana di Vicenza. Al viaggio dentro le sale della mostra si aggiungono anche i luoghi dove è nata e si è evoluta l’arte dello sfortunato pittore olandese, il tutto accompagnato dalla voce narrante di Valeria Bruni Tedeschi e dalle musiche originali di Remo Anzovino, compositore considerato oggi tra i massimi esponenti della musica strumentale italiana.
data di pubblicazione:02/04/2018
da Antonio Iraci | Mar 20, 2018
(Milano, 11/18 Marzo 2018 – Roma, 19/20 Marzo 2018)
Giunto quest’anno alla sua 25esima edizione, Sguardi Altrove è un Film Festival Internazionale principalmente al femminile, in cui vengono presentati i lavori di cineaste che attraverso il cinema portano a conoscenza del pubblico il loro impegno sociale su problematiche delle donne e sui loro diritti spesso negati. Evidenti sono ancora oggi le discriminazioni di genere, che denunziano in maniera palese quanto ci sia ancora da fare affinché le donne non subiscano più maltrattamenti e violenze, sia in ambito domestico che lavorativo. Con la direzione artistica di Patrizia Rappazzo, che oramai da anni cura sapientemente la kermesse cinematografica, l’edizione 2018 ha come tema I Talenti delle Donne. L’Arte del fare, proprio per evidenziare come le donne siano capaci di andare, con il proprio sguardo, oltre i confini che la società vorrebbe a tutti i costi imporre loro, e sconfinare in luoghi proibiti o comunque di non facile accesso. Il Festival, con i suoi 70 film selezionati di cui 30 in anteprima italiana, è entrato di diritto tra i più attesi eventi culturali milanesi e, appena conclusosi, approda a Roma alla Casa del Cinema con una tappa di due giorni per presentare i lavori premiati nelle diverse Sezioni. Occasione quindi unica che è stata offerta al pubblico romano anche per saggiare i nuovi mezzi espressivi di registe che con i loro film spesso rimangono fuori dai normali circuiti distributivi. I film presentati sono i seguenti:
Punishment Island di Laura Cini, Uganda 2017 della Sezione FrameItalia, Concorso Italiano e premiato dal Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici. Il documentario tratta dell’isola di Akampene in Uganda dove venivano abbandonate a morire, per fame o annegamento, tutte le donne che erano rimaste incinte prima del matrimonio: un racconto molto toccante di tre sopravvissute perché salvate da uomini che le hanno scelte come mogli, pur essendo marchiate a vita come persone prive del diritto ad una vita sociale normale. Della stessa Sezione Il Club dei Centenari di Pietro Mereu, Italia 2016 premiato dalla Giuria Popolare, altro documentario su una provincia sarda dove esiste un’alta concentrazione di ultracentenari che raccontano episodi della loro vita e delle loro abitudini alimentari. La Giuria Giovani ha premiato invece il film Prova Contraria di Chiara Agnello, Italia 2016, che racconta l’impegno di riscattarsi socialmente da parte di alcuni giovani criminali del carcere minorile di Palermo. Altro premiato Thank you for the Rain di Julia Dahr, Norvegia/Regno Unito 2017 per la Sezione Nuovi Sguardi, Concorso Internazionale Lungometraggi – Premio Cinema Donna tra i dodici film in competizione: il documentario ha come protagonista un agricoltore che vive con la sua numerosa famiglia nel cuore del Kenya e che riesce a mobilitare la comunità locale per fronteggiare l’impatto che il cambiamento climatico ha sul territorio e sulla sopravvivenza delle stesse persone che lo abitano. La sua voce arriverà sino all’ONU e alla Conferenza sull’ambiente di Parigi dove la sua protesta avrà risonanza tra gli attivisti dei gruppi ambientalisti di tutto il mondo. Altra Sezione è Sguardi (S)confinati–Concorso Internazionale Cortometraggi–Premio Under 35 che ha premiato tra i 15 in selezione il film Large Soldier di Noa Gusakov, Israele 2017. Sherry è una quindicenne che desidera un fidanzato e lo cerca mettendo un bigliettino nelle uniformi dei soldati che insieme ad altre coetanee si è offerta di sistemare. Ai messaggi, inseriti solo in pantaloni con taglia large, risponderà solo il soldato Shaul che andrà subito a disattendere le aspettative della ragazza. Infine, più che meritato, il premio alla carriera a Francesca Archibugi con la seguente motivazione: “ Per aver saputo attraversare mestieri, generi e linguaggi diversi, passando dal cinema alla televisione, dalla recitazione, alla sceneggiatura e alla regia, dove ha dimostrato, anno dopo anno, di aver raggiunto la maturità artistica, restituendo, con maestria e sensibilità, la complessità e le sfaccettature di diverse età della vita: l’infanzia, l’adolescenza e il mondo degli adulti”. Dopo la consegna del premio è stato proiettato il suo film Il nome del figlio del 2015 in cui gli attori Alessandro Gassmann e Micaela Ramazzotti vinsero rispettivamente il nastro d’argento come miglior attore protagonista e miglior attrice non protagonista. Tra le Sezioni collaterali: Diritti umani, oggi film che indagano sulla violazione dei diritti umani nel mondo; Voci di donne per raccontare di personaggi femminili rimasti indimenticabili nell’immaginario di molti; Focus Bulgaria dedicato alla cinematografia bulgara al femminile. Sguardi Altrove è sicuramente un Festival in cui le donne entrano parlando non solo di sé stesse, ma anche del mondo che le circonda in cui appaiono talvolta vittime incomprese, ma anche eroine che sanno lottare per i loro diritti.
data di pubblicazione:20/02/2018
da Antonio Iraci | Mar 19, 2018
Le sorelle Teresa e Carolina Materassi (Emma e Irma Gramatica) sono due brave ricamatrici tanto famose da essere state persino invitate a Roma dal papa per la perfezione di un lavoro da loro inviato in Vaticano. Le due attempate zitelle conducono una vita abitudinaria insieme alla sorella Giselda (Olga Solbelli), che è andata a vivere con loro dopo essere stata abbandonata dal marito, e alla fidata cameriera Niobe. La serenità della casa viene improvvisamente turbata dall’arrivo del bel nipote Remo (Massimo Serato) che una volta trasferitosi in casa delle zie conduce una vita spensierata, conquistando con la sua seduzione tutte le donne che lo circondano, incluse quelle di casa. Il giovane, dopo tante avventure dispendiose che presto porteranno sul lastrico le zie, oramai ridotte per colpa sua all’indigenza, viene a conoscere la bella ereditiera Peggy (Clara Calamai) la quale con abili stratagemmi riuscirà a conquistare il cuore di Remo che innamorato acconsentirà a sposarla. La notizie delle nozze viene accolta con sgomento in casa Materassi, visto che le donne, incluso la domestica, sono tutte segretamente innamorate del giovane. Gli sposi partono quindi per l’America e le zie, indebitate fino all’osso, riprenderanno a lavorare nella monotonia di sempre. Tratto dal romanzo di Aldo Palazzeschi, il film fu realizzato nel ’44 quindi in piena guerra e in un periodo decisamente difficile per la sua piena diffusione tanto da non essere apprezzato né dal pubblico né tantomeno dalla critica. Dopo il ’45 arrivò il meritato successo soprattutto per la bravura delle protagoniste, attrici già molto note, alle quali si affiancò anche la grande Paola Borboni, che diventerà poi una figura di spicco sulla scena teatrale italiana. Il film ambientato a Firenze ci propone una ricetta di tipico stampo toscano, piatto povero di derivazione contadina: la panzanella.
INGREDIENTI: 400 grammi di pane casereccio raffermo – 4 cucchiai di aceto di vino bianco – 4 cucchiai di olio d’oliva extravergine – 1 cipolla rossa di Tropea – 2 cetrioli – 4 pomodori maturi – basilico – sale e pepe qb.
PROCEDIMENTO: Tagliare il pane a fette non troppo sottili e metterlo in ammollo per 20 minuti in contenitore con acqua fredda e 3 cucchiai di aceto. Strizzare bene il pane e sbriciolarlo in una insalatiera quindi unire i cetrioli puliti e tagliati a rondelle non troppo spesse, i pomodori privati dei semi e tagliati a spicchi, la cipolla tagliata a rondelle sottili, l’olio, 1 cucchiaio di aceto, sale e pepe macinato fresco e basilico sminuzzato grossolanamente. Conservare la panzanella in frigorifero fino al momento di servirla come piatto freddo estivo.
da Antonio Iraci | Mar 10, 2018
Nel luglio del 1937, in pieno regime nazista, furono organizzare a Monaco due mostre contemporaneamente. Nella prima erano presentate in maniera volutamente confusa lavori di artisti contemporanei, appartenenti alle cosiddette avanguardie moderniste, posti all’indice in quanto la loro opera veniva considerata degenerata. La seconda era una grande esposizione d’arte germanica di ispirazione classica che doveva anche servire come propaganda dell’ideologia al potere. Hitler e il suo principale luogotenente Goering iniziano una vera e propria razzia di capolavori nei musei dei paesi occupati e soprattutto nelle case dei collezionisti ebrei con il pretesto che le opere sarebbero state collocate in un nuovo museo a Linz, progetto grandioso che poi non fu mai realizzato.
Il documentario Hitler contro Picasso e gli altri, che verrà presentato nelle sale cinematografiche italiane il 13 e 14 marzo e successivamente distribuito in altri 50 paesi nel mondo, racconta il destino di migliaia d’opere d’arte saccheggiate dai nazisti, soprattutto nelle case di ricchi mercanti d’arte ebrei in cambio di una presunta via di fuga da quello che invece fu un ineluttabile destino. Al di là di importanti filmati storici di repertorio, il film descrive in maniera uniforme, attraverso la voce narrante di Toni Servillo, le varie fasi che portarono in un primo momento al bando di tutte quelle opere contemporanee considerate una vera degenerazione secondo quella che era la concezione nazista. Successivamente vengono presentate le testimonianze di tutti quei galleristi e esperti d’arte che ancora sono impegnati a recuperare le opere trafugate, allo scopo di restituirle agli eredi di coloro che un tempo ne erano i legittimi proprietari. Ancora oggi non si è infatti venuti a capo nel rintracciare in toto questo enorme patrimonio e la minima parte di esso è attualmente in mostra nei principali musei del mondo, poco restii a cederli a coloro che ne vantano il diritto. I lavori di artisti quali Max Beckmann, Paul Klee, Oscar Kokoschka, Otto Dix, Marc Chagall, El Lissitzky erano considerati come una deformazione del bello secondo la concezione nazista, frutto di menti perverse che travisavano e distorcevano il concetto stesso dell’armonia e dell’estetica. Queste opere sequestrate, venivano poi vendute in aste private e i proventi finivano nelle casse del regime o utilizzati per l’acquisto, a prezzi irrisori, di quadri e sculture più gradite a Hitler e a Goering, che entrambi fecero dell’arte una forma di ossessione personale. Interessanti le interviste a studiosi che si stanno occupando di riclassificare i capolavori recuperati e sulle tracce di quelli ancora da ritrovare. La complessa macchina del regime, con l’eliminazione dai musei delle opere ritenute indegne, mirava contestualmente a distruggere ogni manifestazione di pensiero che potesse offuscare la loro immagine. Come Picasso ebbe a dire: “la pittura non è fatta per decorare gli appartamenti. E’ uno strumento di guerra offensiva e difensiva contro il nemico…” Con il suo capolavoro Guernica, l’artista intese infatti illustrare quel conflitto fratricida che aveva invaso la Spagna con le nefaste conseguenze che tutti ben conosciamo. Il film di Claudio Poli, su soggetto di Didi Gnocchi e sceneggiatura di Sabina Fedeli e Arianna Marelli, con musiche di Remo Anzovino é distribuito nell’ambito del progetto della Grande Arte al Cinema con il patrocinio dalla Comunità Ebraica di Milano. Sicuramente un ottimo strumento didattico-informativo rivolto a tutti per conoscere la storia e per sapere come l’arte sia in grado di influenzarne gli eventi.
data di pubblicazione:10/02/2018
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