10 GIORNI CON I SUOI di Alessandro Genovesi, 2025

10 GIORNI CON I SUOI di Alessandro Genovesi, 2025

Camilla, oramai diciottenne, ha deciso di iniziare l’Università in Puglia insieme al fidanzato con il quale vuole condividere casa. La famiglia Rovelli si appresta quindi ad accompagnare la ragazza e con l’occasione conoscere la famiglia del giovane. Carlo, padre di Camilla, non è molto convinto che la figlia vada a vivere con un ragazzo appena conosciuto. Dopo dieci giorni di vivace convivenza con i consuoceri accetterà, nonostante tutto, questa avventata decisione…

Dopo il successo dei due film precedenti, che seguivano le disavventure della famiglia Rovelli, Alessandro Genovesi chiude questa trilogia con una commedia veramente esilarante. Fabio De Luigi e Valentina Lodovini, i genitori della ragazza, riescono a mantenere un ritmo frizzante, contribuendo a realizzare una commedia dai toni leggeri. Lo scontro/incontro tra le due famiglie, diverse per mentalità e abitudini, renderà questa loro convivenza di dieci giorni un totale disastro. Le situazioni sono grottesche e gli equivoci si susseguono senza soluzione di continuità. Ma tutto affrontato con leggerezza e senza volgarità per approdare a un finale prevedibile, proprio perché senza pretesa di imporre una morale scontata. Nel cast anche Giulia Bevilacqua e Dino Abbrescia, i genitori del ragazzo, che faranno di tutto per accontentare gli ospiti, ma il risultato sarà devastante. Dopo tanti film impegnati, il cinema italiano si sta anche orientando verso la commedia leggera, utilizzando in questo caso, un cast collaudato in film precedenti. Cambiano le situazioni ma rimane la famiglia Rovelli al centro delle storie, con dinamiche tutte proprie che alleggeriscono lo spirito dello spettatore e lo coinvolgono. L’elemento catalizzatore rimane sempre Fabio De Luigi. É proprio lui, con la sua proverbiale espressività, che riesce a dare un tono alla storia alternando situazioni tragicomiche con momenti di ingenua tenerezza. Un film quindi semplice e che ripaga in pieno le aspettative di chi va al cinema per rilassarsi e divertirsi. Un cinema tutto italiano che si presenta oggi con diverse tipologie per accontentare un po’ tutti e alleggerire così gli spiriti più intransigenti. Il regista, dopo qualche anno di distanza, riprende a scrivere una storia creando un vero e proprio dream team che regala momenti di grande divertimento.

data di pubblicazione:24/01/2025


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IL RITO di Ingmar Bergman

IL RITO di Ingmar Bergman

Adattamento e regia di Alfonso Postiglione, con Alice Arcuri, Giampiero Judica, Antonio Zavatteri e Alfonso Postiglione

(Teatro Vascello – Roma, 21/26 gennaio 2025)

Tre attori di teatro (i coniugi Hans e Thea Winkelmann insieme a Sebastian Fischer) sono accusati di oscenità per il loro ultimo spettacolo. Il caso è stato affidato al giudice Abrahmsson che subito li convoca privatamente nel suo studio per iniziare le indagini. Durante i vari interrogatori, insieme e separatamente, i tre indagati riveleranno la loro vera identità. Alla fine, in mancanza di prove, si esibiranno in privato nell’ufficio del giudice per dimostrare l’infondatezza dell’imputazione nei loro confronti…

Pensato inizialmente da Bergman come film per la televisione svedese, successivamente Il Rito fu diretto dallo stesso regista nel 1969 per i circuiti cinematografici internazionali. Il film, girato in bianco e nero, è suddiviso in nove scene dove gli attori interpretano la loro parte per dimostrare l’assurdità dell’accusa. Un pretesto per criticare apertamente la censura che poneva spesso in discussione la validità delle sue opere e limitava così la sua libertà come artista. Alfonso Postiglione, regista e attore napoletano, mette mano alla sceneggiatura originaria di Bergman per riscrivere un adattamento per un’opera teatrale di grande impatto emotivo. Ritornano così i temi cari al grande regista e drammaturgo svedese soprattutto quelli riguardanti l’angoscia interiore che divora la coscienza dell’uomo. Il movimento di scena si articola su una piattaforma dove rimane in sospensione l’ufficio istruttorio del giudice. I personaggi vengono accolti prima in maniera molto cordiale, poi sempre più in maniera accusatoria, quasi a volerne provocare una reazione e un’ammissione di colpevolezza. Via via che l’interrogatorio va avanti, lo stesso giudice inizierà a prendere coscienza dei suoi stessi fallimenti, manifestando così una profonda fragilità interiore. Del resto anche il rapporto tra gli accusati non è proprio sincero. I coniugi Winkelmann hanno un passato tormentato e Sebastian, amante palese di Thea, non sembra voler più accettare una posizione sottomessa nel cuore della donna. L’esibizione in privato dello spettacolo, ritenuto osceno, di fronte al giudice si trasformerà presto in una sorta di rito propiziatorio con finalità mistiche. Servirà infatti a dimostrare l’origine divina dell’arte che non ammette alcuna censura e che bisogna accettarla in ogni sua manifestazione. Ottima l’interpretazione degli attori che si muovono dentro spazi claustrofobici, tra luci e ombre, disegnati su misura da Roberto Crea. Una produzione di Ente Teatro Cronaca, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Fondazione Campania dei Festival – Campania Teatro Festival.

IL MIO GIARDINO PERSIANO di Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha, 2025

IL MIO GIARDINO PERSIANO di Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha, 2025

Mahin è una donna di 70 anni che vive tutta sola a Teheran. Il marito le è morto da parecchi anni e i figli sono andati via dall’Iran con l’avvento della rivoluzione islamica khomeinista. Le sue giornate sono abbastanza monotone, tra la cura della casa e il giardino antistante. Dopo una piccola cena con le amiche, improvvisamente prende coscienza che la sua vita, nonostante l’età, potrebbe avere una svolta e persino ritrovare l’amore…

Presentato in concorso all’ultima edizione della Berlinale, pur non essendo stato premiato, il film ha riscosso grande successo da parte del pubblico e della critica. Tanto per rimanere coerenti con i principi del loro Paese, le autorità proibirono ai due registi di presentare personalmente la pellicola, ritenendola oltraggiosa all’etica civile. In effetti nel film si accenna, sia pur in maniera defilata, alla mancanza di qualsiasi rispetto della dignità umana, in ogni elementare espressione. Determinante a tal proposito il breve dialogo tra la protagonista Mahin (Lili Farhadpour) e una giovane, salvata dalla donna con determinazione quando la polizia morale vuole portarla in carcere con l’accusa di non indossare correttamente l’hijab. In tale breve scambio la giovane rimpiange di non aver vissuto un solo giorno dell’epoca pre-rivoluzionaria, quando alle donne era permesso di vestire all’occidentale. Per lei non c’è speranza di vedere un futuro migliore in cui tutto ciò potrà essere nuovamente possibile. Mahin sfiderà questo sistema invitando a casa sua Faramarz (Esmaeel Mehrabi), un tassista suo coetaneo che vive tra il lavoro e la completa solitudine. Il mio giardino persiano si concentra sulla storia dei due, persone mature che si incontrano per caso e che decidono di dare una svolta esistenziale alle proprie solitarie vite. L’occhio della telecamera sembra indugiare, con assoluta discrezione, sui due protagonisti che pian piano si spogliano delle loro reticenze per lasciarsi andare. Per la prima volta, dopo tanti anni, affronteranno quelle piccole trasgressioni che li renderanno disinvolti e felici. Mahin indosserà i suoi abiti migliori per far presa sull’uomo e preparerà una torta per festeggiare quest’incontro che entrambi vogliono trasformare in vero amore. Non a caso il titolo originale è My favourite cake perché è proprio questo dolce che è l’emblema dei loro sentiment, nati e vissuti per poche ore ma destinati a non esaurirsi, nonostante le avversità del destino. Crudele più che mai…

data di pubblicazione:22/01/2025


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A COMPLETE UNKNOWN di James Mangold, 2025

A COMPLETE UNKNOWN di James Mangold, 2025

Nel gennaio del 1961 uno squattrinato del Minnesota si presenta al New Jersey Hospital dove è ricoverato Woody Guthrie, tra i più conosciuti folksinger americani. In quella circostanza il ragazzo incontra per la prima volta Pete Seeger, grande precursore della musica di protesta e organizzatore del famoso Newport Folk Festival. Da quel momento il giovane, che ora si fa chiamare Bob Dylan, inizierà la sua carriera musicale per diventare l’idolo assoluto di intere generazioni…

Non era nelle intenzioni di James Mangold, realizzare una biografia su Bob Dylan né tanto meno una controfigura che potesse adattarsi al celebre cantante americano. La scelta di rappresentarlo, non certamente casuale, è ricaduta su Timothée Chalamet e non solo per la sua somiglianza fisica con il giovane del Minnesota. Entrambi infatti realizzano una perfetta sovrapposizione di caratteri schivi, ribelli, trasgressivi e nello stesso tempo celebri. Una celebrità per loro giunta forse troppo presto, inaspettata e certamente destabilizzante perché vuole etichettarli, mentre loro stessi preferirebbero rimanere illustri sconosciuti. Senza dubbio il Dylan degli inizi degli anni Sessanta sfugge a qualsiasi definizione perché troppo limitante. Bisogna in questo dare atto al regista statunitense di aver evitato di raccontare minuziosamente una storia che per sua natura poteva risultare incomprensibile o indecifrabile. Il film è quindi musica e solo musica. Ci si concentra sulle prime canzoni scritte per protesta, come atto politico e rivoluzionario, contro un certo establishment, condizionato da eventi di grande portata. L’impegno nella guerra del Vietnam o le sommosse anti apartheid, erano espressione solo di una minima parte dei grandi disagi sociali americani. Il film si conclude con l’indimenticabile partecipazione di Bob Dylan al Newport Folk Festival del 25 luglio 1965. In quell’occasione si esibì per la prima volta con una chitarra elettrica, segnando così un cambiamento radicale nella sua carriera artistica. Mangold parla di Dylan alle nuove generazioni, che non erano neanche nate in quel periodo, e le porta a riflettere sui conflitti sociali di oggi. Chalamet si lascia andare a un’interpretazione magistrale, rimasta in incubatrice per circa cinque anni, per impersonare un mito credibile proprio per le sue contraddizioni. Il protagonista è affiancato nel cast da Ed Norton, nella parte di Pete Seeger e da Monica Barbaro per Joan Baez. Un film veramente bello, da gustare in ogni dettaglio per una musica che non è solo folk, ma tocca anche il genere rock, country e blues. Una musica che bisogna lasciarsi scivolare addosso perché proprio un “Blowin’ in the Wind”. Film da non perdere!

data di pubblicazione:22/01/2025


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DOVE OSANO LE CICOGNE di Fausto Brizzi, 2025

DOVE OSANO LE CICOGNE di Fausto Brizzi, 2025

Angelo e Marta sono una coppia molto affiatata. Lui è un insegnante elementare, lei una psicoanalista. La loro vita coniugale potrebbe essere perfetta solo se la cicogna si degnasse di portar loro un bambino. Su suggerimento di un amico, i due si recano a Barcellona presso una clinica specializzata nella fecondazione assistita. Un rinomato primario troverà la soluzione giusta anche se ciò comporterà non pochi sacrifici. Ma la coppia è disposta a tutto pur di avere un figlio…

Fausto Brizzi porta per la prima volta sul grande schermo come protagonista Angelo Pintus in una commedia super divertente. Al popolare comico triestino viene affidato il compito, certamente gravoso, di affrontare lo spinoso tema della maternità surrogata. Argomento diventato ora tabù di cui non se ne dovrebbe neanche più parlare perché considerato reato universale. Proprio per la delicatezza dell’argomento, il regista sceglie la strada della commedia, più semplice ma di sicuro effetto. Angelo è un maestro elementare sui generis perché tratta i suoi  alunni in maniera poco ortodossa. A lui non piace parlare da insegnante tradizionale, preferisce il contatto diretto, colorito da espressioni poco adatte ai bambini che proprio per questo lo adorano. Insieme alla moglie Marta (Marta Zoboli) e all’amico infermiere Andrea (Andrea Perroni), Angelo troverà la soluzione per convincere la cicogna a consegnargli il desiderato bebè. In effetti l’eccentrico pennuto si materializzerà nelle vesti di Luce (Beatrice Arnera), una ragazza spagnola bella, disponibile ma estremamente capricciosa. Brizzi, veramente campione della commedia all’italiana, insieme allo stesso Pintus, riesce a firmare una sceneggiatura intelligente piena di simpatiche trovate. Ne viene fuori un film divertente che saprà conquistare anche il pubblico più serioso. Un cast ben affiatato dove troviamo anche attori di teatro ben noti come Antonio Catania e Tullio Solenghi. Una trama che trasmette un messaggio sfumato ma coerente, su un problema che molte coppie devono affrontare con le difficoltà che la società pone. Il film scatena una valanga di risate perché come afferma lo stesso Pintus: “solo un comico può raccontare cose serie”. Dove osano le cicogne è l’esempio lampante di come una storia leggera e senza pretese possa far divertire e nello stesso tempo far seriamente riflettere. Il film è prodotto da PiperFilm in collaborazione con Netflix.

data di pubblicazione: 01/01/2025


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