BERLINALE [1] –THE KINDESS OF STRANGERS di Lone Scherfig, 2019

BERLINALE [1] –THE KINDESS OF STRANGERS di Lone Scherfig, 2019

(69 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – Berlino,7/17 Febbraio 2019)

Clara e i suoi due bambini fuggono da casa in cerca di pace e libertà da un marito e padre violento. Lasciata la provincia in auto, li attende una New York gelida dove, non disponendo di risorse sufficienti per procurarsi un tetto ed un pasto decenti, faranno fatica a sbarcare il lunario. Nell’attuare vari stratagemmi per sopravvivere in quella giungla urbana, i tre incontreranno miracolosamente altri individui con le loro stesse difficoltà nell’affrontare il quotidiano, ognuno con il proprio bagaglio di problemi, con i quali troveranno la forza e la determinazione di aiutarsi reciprocamente, tirandosi fuori da una inevitabile solitudine esistenziale.

 

Lone Scherfig è una regista danese che ha trovato proprio qui a Berlino il suo debutto internazionale con il film Italiano per Principianti con il quale nel 2001 ottenne l’Orso d’Argento, Gran Premio della Giuria. Aderisce ufficialmente al movimento Dogma 95, fondato dai registi Lars Von Trier e Thomas Vinterberg, un manifesto programmatico di regole cinematografiche che prevede in pratica solo l’utilizzo della telecamera a mano e il rifiuto totale di altri effetti speciali. Il film presentato oggi in apertura della Berlinale centra in pieno una delle tematiche di quest’anno in quanto rivolto essenzialmente alla descrizione di una situazione di crisi all’interno della famiglia, dove sovente la violenza e l’intolleranza che ne scaturiscono vengono riversate sui figli. Come già in An Education del 2009, la Scherfig anche in The Kindness of Strangers sembra prediligere le problematiche intime di persone che riescono a farsi tormentare gli animi nel più profondo, ma che poi riescono ad uscire dal tunnel della disperazione per (ri)trovare una giusta pace. E così Clara (Zoe Kazan) farà fatica a proteggere sé e i suoi figli dal mondo ostile che li circonda, ma la forza di sopravvivenza le darà quella giusta dose di ottimismo che premierà i suoi sforzi. La storia si articola in maniera elementare ed i vari personaggi si muovono come tessere di un puzzle, elementi disarmonici che poi con pazienza trovano la maniera di incastrarsi vicendevolmente per costruire un tutto organico. Ed è proprio la voglia di volersi bene e di aiutarsi a far sì che ognuno possa ottenere ciò che merita. Come in una favola, i buoni dovranno affrontare mille difficoltà ma alla fine la loro bontà verrà ricompensata ed i cattivi avranno la giusta punizione.

Tuttavia, nonostante il cast di tutto rispetto (accanto alla brava Zoe Kazan, nipote del celebre regista Elia Kazan e già nota per altri lavori di successo, abbiamo Andrea Riseborough, Tahar Rahim, Caleb Landry Jones, Jay Baruchel e Bill Nighy), il film non sembra trovare quella giusta dimensione per coinvolgere emotivamente sino in fondo, forse a causa di un plot un po’ scontato e privo di quella forza sufficiente a trasmetterci le elementari regole di savoir-vivre, necessarie per farci comprendere realmente come i personaggi possano destreggiarsi con la dovuta leggerezza nel mondo torbido e buio come quello in cui sono costretti a stare.

data di pubblicazione:07/02/2019







69 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – BERLINALE

69 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – BERLINALE

(Berlino, 7/17 Febbraio 2019)

Siamo giunti al consueto appuntamento con la Berlinale, quest’anno alla sua 69esima edizione. Ultimi ritocchi ancora davanti al teatro di Marlene Dietrich Platz per l’attesissima kermesse cinematografica che vedrà riuniti per dieci giorni giornalisti e cinefili di ogni parte del mondo. Il programma è ricchissimo: 23 sono i film della selezione ufficiale, di cui 17 in concorso per l’ambito Orso d’Oro, oltre a quelli suddivisi nelle numerose sezioni collaterali. Dieter Kosslick, quest’anno al suo ultimo mandato in qualità di Direttore del Festival, incarico che ricopre dal 2001, ha sottolineato in conferenza stampa che i temi principali scelti quest’anno riguarderanno l’infanzia, la famiglia, i diritti di genere ed il modo in cui ci nutriamo. Sono temi che apparentemente rientrano nella sfera del nostro privato e che coinvolgono la nostra sensibilità, ma che al contrario dovrebbero riguardare la politica in generale perchè si parla dello sfruttamento e della molestia verso i minori, di prendere coscienza che il modello della famiglia tradizionale non esiste più e che avanzano nuovi schemi verso i quali bisogna mostrare rispetto oltre ad un adeguato riconoscimento da parte della società, e perché anche il semplice modo di nutrirsi che riteniamo sia una nostra libera decisione, altro non è che il prodotto manipolato delle grandi industrie agrarie e alimentarie.

Nel ringraziare tutti i suoi collaboratori per l’assistenza avuta in questi anni, Dieter Kosslick ha rivolto un caloroso augurio al nuovo team organizzativo che oramai in via ufficiale sarà diretto dall’italiano Carlo Chatrian, attualmente responsabile artistico del Locarno Film Festival.

Ecco i film della selezione ufficiale, di cui 20 in prima mondiale:

The Kindness of Strangers di Lone Scherfig (Danimarca-Canada-Svezia-Germania-Francia) film d’apertura

L’adieu à la nuit  di André Téchiné (Francia-Germania), fuori concorso

Amazing Grace di Alan Elliott (USA), documentario fuori concorso

Der Boden unter den Füßen di Marie Kreutzer (Austria)

Di jiu tian chang di Wang Xiaoshuai (Cina)

Elisa y Marcela di Isabel Coixet (Spagna)

Der Goldene Handschuh di Fatih Akin (Germania-Francia)

Gospod postoi, imeto i’ e Petrunija di Teona Strugar Mitevska (Macedonia-Belgio-Slovenia-Croazia-Francia)

Grâce à Dieu di François Ozon (Francia)

Ich war zuhause, aber di Angela Schanelec (Germania-Serbia)

Kız Kardeşler di Emin Alper (Turchia-Germania-Olanda-Grecia)

Marighella di Wagner Moura (Brasile), fuori concorso

Mr. Jones di Agnieszka Holland (Polonia-Regno Unito-Ucraina)

Öndög di Wang Quan’an (Mongolia)

The Operative di Yuval Adler (Germania-Israele-Francia-USA), fuori concorso

Répertoire des villes disparues di Denis Côté (Canada)

Synonymes di Nadav Lapid (Francia-Israele-Germania)

Systemsprenger di Nora Fingscheidt (Germania)

Ut og stjæle hester di Hans Petter Moland (Norvegia-Svezia-Danimarca)

Varda par Agnès di Agnès Varda (Francia), documentario fuori concorso

Vice di Adam McKay (USA), fuori concorso

Yi miao zhong di Zhang Yimou (Cina)

Il film italiano in concorso sarà La paranza dei bambini di Claudio Giovannesi tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano co-sceneggiatore. Il regista romano è già noto al pubblico soprattutto per Alì ha gli occhi azzurri presentato nel 2012 alla Festa del Cinema di Roma e per Fiore in concorso nel 2016 al Festival di Cannes – Quinzaine des Réalisateurs. Nella Sezione Panorama avremo il film Dafne di Federico Biondi e il documentario Selfie di Agostino Ferrente. Una scelta importante in rappresentanza del nostro cinema firmato da registi molto impegnati nel sociale per portare al pubblico internazionale una realtà tutta italiana dove i giovani devono confrontarsi nel quotidiano con un ambiente duro e spietato: un nuovo realismo cinematografico che testimonia la vita spesso disumana del mondo di oggi.

La giuria internazionale quest’anno sarà presieduta da Juliette Binoche, attrice di fama internazionale che proprio qui a Berlino nel 1997 vinse l’Orso d’Argento per la sua interpretazione nel film Il Paziente Inglese di Anthony Minghella. Gli altri membri che la affiancheranno sono: Justin Chang, critico cinematografico del Los Angeles Times; Sandra Huller, attrice tedesca già vincitrice nel 2006 dell’Orso d’Argento quale protagonista nel film Requiem di Hans-Christian Schmid; Sebastiàn Lelio, regista cileno oramai molto noto dopo aver vinto l’Orso d’Argento nel 2017 per la miglior sceneggiatura con Una Mujer fantàstica che in seguito ottenne anche l’Oscar come miglior film in lingua straniera; Rajendra Roy, da anni responsabile della Sezione cinematografica presso il Museo d’Arte Moderna di New York; Trudie Styler, attrice inglese Ambasciatrice UNICEF per il Regno Unito, impegnata nella produzione di importanti film sia per la televisione che per il grande schermo.

Ruolo importantissimo lo rivestono i film delle sezioni speciali: Berlinale Shorts, con una sempre più crescente presenza nell’ambito del Festival; Panorama, che con i suoi 45 film affronterà tematiche politiche e sociali in controtendenza; poi ancora la sezione Forum, che presenta un’interessante selezione di film sotto il motto “rischio più che perfezione” per i temi affrontati al di fuori di ogni schema o compromesso; la rassegna Generation, che quest’anno si pone diverse domande esistenziali: chi siamo? dove andiamo? cosa significa relazionarsi con gli altri?; Prospettive Cinema Tedesco, che riguarda lavori di giovani talenti tedeschi; Retrospettive, con un programma quest’anno dedicato alla filmografia della Repubblica Democratica Tedesca e della Repubblica Federale di Germania prima e dopo il 1990. Come nelle edizioni passate anche quest’anno avremo una rassegna Teddy Award, con vari lungometraggi a soggetto gay presi dalle varie sezioni; Kulinarisches Kino, che propone la relazione tra cinema e cibo; Berlinale goes Kiez, per la diffusione dei film in programma nei vari cinema periferici della città e Native, che ci porterà a scoprire isole e paesi nella lontana area del Pacifico.

Quest’anno l’Orso d’Oro alla carriera verrà assegnato a Charlotte Rampling, grande attrice inglese che tra l’altro nel 2017 vinse la Coppa Volpi a Venezia come migliore interpretazione femminile in Hannah di Andrea Pallaoro. A lei verrà dedicata una retrospettiva comprendente una decina di pellicole tra le più significative tra cui, ovviamente, Il Portiere di Notte di Liliana Cavani e La Caduta degli Dei di Luchino Visconti.

Accreditati, presente qui a Berlino, vi terrà ogni giorno informati sui film in programma, con particolare attenzione per quelli della selezione ufficiale.

data di pubblicazione:06/02/2019

DONNE – CORPO E IMMAGINE TRA SIMBOLO E RIVOLUZIONE

DONNE – CORPO E IMMAGINE TRA SIMBOLO E RIVOLUZIONE

(Galleria d’Arte Moderna – Roma, 24 gennaio/13 ottobre 2019)

Un centinaio di opere tra dipinti, sculture e fotografie, tutte provenienti dalle collezioni capitoline, sono state raccolte presso la Galleria d’Arte Moderna di Roma per illustrare l’universo femminile in un percorso singolare, attraverso l’Ottocento fino agli anni settanta del Novecento, per accompagnare quel processo di emancipazione che la donna nel tempo è riuscita ad imporre alla società e ad imporsi. Nel corso della storia l’immagine femminile è stata legata ad un’idea spesso contraddittoria: da un lato ispiratrice di una forma di bellezza pura, modello di protezione domestica in quanto fonte generatrice, dall’altro esempio di erotismo legato al peccato, se non addirittura simbolo satanico, minaccia tentatrice che induce alla perdizione eterna. Questa stridente dicotomia incomincia a dissolversi agli inizi del secolo scorso quando accanto alla pittura in cui la donna appare in pose a dir poco provocanti, si fa anche strada un tipo di letteratura che la pone come simbolo di seduzione e prepara il terreno per quei primi lavori cinematografici che hanno poi creato le dive dell’epoca moderna. Un primo decisivo sovvertimento di questo immaginario si è sicuramente avuto negli anni cinquanta quando il genere femminile entra nel mondo del lavoro rivendicando i propri diritti per equipararli a quelli degli uomini e iniziando così quel graduale processo di emancipazione che poi troverà ampio consenso e diffusione negli anni settanta. Da quel momento la donna storicamente si affranca dal ruolo esclusivo di madre e prende piena coscienza di sé maturando la percezione di poter entrare in ogni ambito del sociale. La nuova identità femminile è percepibile nella ricerca in campo artistico di nuove forme ispiratrici che tentano in ogni modo di rappresentare il soggetto non solo esclusivamente per il suo corpo ma anche per lo spirito che da esso promana, un’indagine mirata a scoprire un universo fino a quel momento rimasto oscuro e indecifrabile. Scopo di questa interessante mostra presso la Galleria d’Arte Moderna di Roma è quello di farci prendere coscienza che la donna, non più legata esclusivamente al mito e alla leggenda classica, nel tempo ha assunto varie configurazioni passando dall’idea maschilista che la vuole femme fatale al modello di essere indipendente, con un proprio status sociale imparando ad essere artefice del proprio destino. Partendo da Le vergini savie e le Vergini stolte di Sartorio si prosegue con L’angelo tra i fiori di Carosi fino a tutta una serie di ritratti tra cui spicca quello della moglie di Giacomo Balla mentre si volta a guardare qualcuno o qualcosa dietro di sé con un atteggiamento a dir poco misterioso. Interessanti pure le tele di Mario Mafai Donne che si spogliano e Vecchie carte di Baccio Maria Bacci dove in entrambe emerge una pesante solitudine esistenziale. A conclusione troviamo una serie di foto, manifesti e videoinstallazioni, forniti da Archivia – Archivi, Biblioteche e Centri di Documentazione e dall’Archivio dell’Istituto Luce – Cinecittà, che testimoniano gli anni delle lotte femministe, quando le donne scesero in piazza per rivendicare il diritto sul proprio corpo, travolgendo così gli ultimi avanzi di quel machismo, insano ed obsoleto. Una mostra straordinaria, sicuramente da visitare.

data di pubblicazione:05/02/2019

SUSPIRIA di Luca Guadagnino, 2019

SUSPIRIA di Luca Guadagnino, 2019

Dopo essere stato presentato in concorso nell’ultima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, finalmente è stato distribuito nelle sale l’attesissimo lavoro di Luca Guadagnino, tratto dall’omonimo film di Dario Argento: più che un remake, Suspiria, a detta dello stesso regista, è un doveroso omaggio a un autore che lo aveva letteralmente impressionato quando, appena adolescente, aveva avuto l’opportunità di vedere al cinema quello che sarebbe divenuto a breve un cult a livello internazionale. Una sfida non facile: trarre ispirazione da un soggetto così conosciuto dai cinefili di tutto il mondo è già di per sé un rischio, soprattutto per il genere horror.

 

Il film di Guadagnino segue le orme indelebili tracciate da Dario Argento in una rivisitazione dove, al di là delle linee fondamentali del plot originario, il regista inserisce del suo dandone una personale lettura in chiave più metafisica, in cui sono coinvolte donne e solo donne, che coesistono nella prestigiosa scuola di danza Markos Tanz ubicata nella Berlino ancora divisa dal muro. Il film è ambientato nel 1977, proprio nell’anno in cui Argento presentò il suo film, in una Germania scossa dai violenti attacchi terroristici della Raf, gruppo terroristico di matrice marxista-leninista chiamata anche banda Baader-Meinhof dal nome dei suoi fondatori, che il regista ha voluto porre come sfondo all’azione misteriosa che si svolge all’interno dell’Accademia. Fondamentale la figura della coreografa Madame Blanc, una magnetica ed eterea Tilda Swinton alla sua ennesima collaborazione con il regista, in una evocazione della grande Pina Bausch, la cui scuola ha decisamente rivoluzionato il concetto di danza contemporanea, ed intorno alla quale gravita l’apprensione emotiva che accompagna l’intero film. Il tema centrale è quello della stregoneria e della magia nera che ci riporta ad alcune riflessioni sul concetto dell’illusione e dell’ultraterreno, con uno sguardo particolare alla funzione delle donne, tema che sin dai primi fotogrammi è sintetizzato in una frase contenuta in un quadro “Una madre è una donna che può sostituire tutti ma non può essere sostituita”, e che si riallaccia al concetto di Mother nella trilogia di Argento.

Un mix quindi tra horror e stregoneria con uno sguardo anche alla psicoanalisi dal momento che tra i personaggi spicca la figura del dottor Klemperer interpretato da Lutz Ebersdorf, storico psicoanalista degli anni sessanta attivo anche nel teatro sperimentale di quegli anni.

Comunque il film rimane sicuramente una concreta testimonianza dell’universo femminile e dei suoi misteri, tema che come dichiarato dallo stesso regista in conferenza stampa a Venezia, trova ispirazione nella cinematografia del grande regista e drammaturgo Rainer Werner Fassbinder, uno dei maggiori esponenti del cinema tedesco moderno.

Suspiria si può considerare un esperimento realmente riuscito solo se non lo si vede come un fedele remake del capolavoro di Dario Argento: Guadagnino ha voluto seguire un suo stile personale cercando di affrontare per la prima volta il genere horror, con un taglio diverso e scevro da qualsiasi condizionamento. Nonostante l’eccessiva durata, il film non annoia grazie anche alla ricercatezza della fotografia e degli effetti speciali che lasciano lo spettatore con il fiato sospeso, coinvolgendolo in terrificanti tensioni emozionali. Bravissime le giovani interpreti, tra cui va menzionata Dakota Johnson nella parte della protagonista Susie Bannion, attrice oramai di fama internazionale dopo che nel 2015 ha vestito i panni di Anastasia Steele in Cinquanta sfumature di grigio di Sam Taylor-Johnson.

data di pubblicazione:03/01/2019


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CAPRI-REVOLUTION di Mario Martone, 2018

CAPRI-REVOLUTION di Mario Martone, 2018

Capri, scoppio della Prima Guerra Mondiale. Un gruppo di giovani nordeuropei ha trovato sull’isola il luogo adatto per fondare una comune e ricercare insieme l’arte e la propria stessa identità lontano dal mondo così detto civilizzato. La gente del posto, seppur con una certa riluttanza, li ha accolti bene pur avendo una propria tradizione da tutelare e trovandosi sovente in contrasto con gli ideali utopistici dei ragazzi i quali, tra danze e riti iniziatici, sperimentano con la nudità dei loro corpi il contatto con la natura selvaggia del posto.

 

Di quella stessa natura è intrisa Lucia, ragazza analfabeta che un giorno, badando alle capre, quasi per caso incontra il capo carismatico del gruppo e ne rimane attratta, iniziando così a coltivare l’autoconsapevolezza di essere una donna libera e matura a cominciare un percorso di emancipazione fuori dagli stereotipi che la famiglia le impone.

Con Capri-Revolution, presentato in concorso all’ultima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Mario Martone chiude la trilogia, dopo Noi credevamo e Il Giovane favoloso, sulla storia dell’Italia dal Risorgimento alla Prima Guerra Mondiale. La sceneggiatura, scritta insieme alla moglie Ippolita Di Majo, è perfetta in ogni suo aspetto: ambientata nel passato, ci parla dei problemi di oggi, del nostro rapporto con la natura, del progresso tecnologico e della sopravvivenza stessa dell’umanità.

Capri, con la sua essenza arcaica, quasi mitologica, trova identificazione in Lucia (Marianna Fontana, una delle due gemelle siamesi nel film Indivisibili di Edoardo De Angelis), una ragazza povera di cultura scolastica ma che è l’essenza di tutti quegli ideali di libertà e di riscatto sociale con i quali ancora oggi l’universo femminile deve ancora misurarsi. La giovane inizia il proprio percorso di liberazione esattamente come gli esuli russi, che a Capri in quegli anni si preparavano alla grande rivoluzione: in un momento storico ben preciso in cui l’Europa entrava nel conflitto mondiale, Lucia rappresenta per il regista il pretesto per parlare di due mondi contrapposti, quello della comunità dei pastori dell’isola e quello della comune di individui naturisti, omeopati, vegetariani e antimilitaristi. Il racconto prende spunto proprio dalla comune realmente fondata dal pittore spiritualista Karl Diefenbach che intendeva praticare la sua arte attraverso un radicale sovvertimento delle leggi tradizionali, in cui era di fondamentale importanza il contatto diretto con la natura, in particolare attraverso la danza. I principi basilari di questo pensiero troveranno poi sviluppo negli anni ’60 e ’70, diventando un fenomeno collettivo che portò molti giovani di quella generazione verso la ricerca di una spiritualità del tutto nuova, lontano dai condizionamenti sociali e consumistici.

Cast di ottimo livello, tra cui Donatella Finocchiaro nella parte della madre; bella la fotografia curata da Michele D’Attanasio, già vincitore nel 2017 del David di Donatello per il film Veloce come il vento di Matteo Rovere: la nitidezza delle immagini piene di colore rimanda al simbolismo dei pittori preraffaelliti e alle figure luminose ispirate all’arte neoromantica.

Il film, carico di sentimento, ben accolto dal pubblico del Festival e dalla critica, ha già ottenuto diversi riconoscimenti tra cui il Premio Francesco Pasinetti, il Premio Carlo Lizzani, il Premio Siae e Sfera 1932 oltre al Premio Arca Giovani.

data di pubblicazione:20/12/2018


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